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La buona cultura del welfare d’impresa

Dalla Ca’ Foscari un approfondimento che mette ordine in uno dei temi d’attualità delle relazioni industriali

L’impresa come soggetto sociale, che lavora per il profitto e per il territorio, costituita da macchine ma soprattutto da donne e uomini d’ingegno. Modello di organizzazione ma anche di convivenza, con obiettivi che non si fermano alla buona chiusura di un bilancio contabile, ma che fa di una diversa cultura d’impresa uno dei suoi pilastri. L’impresa che fa del welfare aziendale un suo elemento fondante. Proprio sul welfare, tuttavia, si sono accumulate osservazioni e analisi disparate, che necessitano di attenzione e di ordine. Un tentativo in questo senso è stato compiuto da Alessandra Vincenti (Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia), con “Le famiglie e i nuovi strumenti di protezione sociale: il welfare aziendale”.

L’articolo si focalizza sull’introduzione in Italia del welfare aziendale nel quadro dei processi di mutamento del sistema di welfare che a partire dagli anni Novanta è stato chiamato a far fronte ai nuovi rischi sociali cui sono esposte le famiglie. Figlio di una stagione nella quale la crisi ha spinto al cambiamento il sistema delle relazioni industriali, il welfare aziendale viene affrontato ricostruendo sinteticamente il quadro legislativo che ne ha promosso la diffusione, con particolare attenzione alle peculiarità del sistema delle piccole imprese e all’aumento della contrattazione territoriale.

Vincenti scrive con linguaggio piano ed ottiene un risultato indubbio: fa comprendere un tema per certi versi ostico e arido, almeno nella saggistica corrente.

Ne emerge un welfare del quale sono poste in risalto le opportunità ma anche i rischi di accentuazione dei dualismi territoriale, settoriale, relativo alle dimensioni aziendali; con il profilarsi  di un rischio diffuso: la rinuncia all’universalismo.

Scrive Alessandra Vincenti quasi alla fine del suo lavoro: “(…) il welfare aziendale rappresenta per alcuni aspetti un’opportunità (per famiglie sempre meno in grado di acquisire servizi sul mercato), ma rischia di accentuare il welfare categoriale e lavoristico così che i margini dell’esclusione e l’area della partecipazione si definiscono in dipendenza sempre più dal rapporto di lavoro (…). In un’epoca di dibattito su come sganciare il reddito dal lavoro anche perché il problema strutturale del mercato del lavoro italiano è da sempre il basso tasso di occupazione, si rischia di aumentare la frammentazione del welfare italiano segnando e avviando la rinuncia all’universalismo”.

Le famiglie e i nuovi strumenti di protezione sociale: il welfare aziendale

Alessandra Vincenti

Argomenti, terza serie, 9/2018

Dalla Ca’ Foscari un approfondimento che mette ordine in uno dei temi d’attualità delle relazioni industriali

L’impresa come soggetto sociale, che lavora per il profitto e per il territorio, costituita da macchine ma soprattutto da donne e uomini d’ingegno. Modello di organizzazione ma anche di convivenza, con obiettivi che non si fermano alla buona chiusura di un bilancio contabile, ma che fa di una diversa cultura d’impresa uno dei suoi pilastri. L’impresa che fa del welfare aziendale un suo elemento fondante. Proprio sul welfare, tuttavia, si sono accumulate osservazioni e analisi disparate, che necessitano di attenzione e di ordine. Un tentativo in questo senso è stato compiuto da Alessandra Vincenti (Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia), con “Le famiglie e i nuovi strumenti di protezione sociale: il welfare aziendale”.

L’articolo si focalizza sull’introduzione in Italia del welfare aziendale nel quadro dei processi di mutamento del sistema di welfare che a partire dagli anni Novanta è stato chiamato a far fronte ai nuovi rischi sociali cui sono esposte le famiglie. Figlio di una stagione nella quale la crisi ha spinto al cambiamento il sistema delle relazioni industriali, il welfare aziendale viene affrontato ricostruendo sinteticamente il quadro legislativo che ne ha promosso la diffusione, con particolare attenzione alle peculiarità del sistema delle piccole imprese e all’aumento della contrattazione territoriale.

Vincenti scrive con linguaggio piano ed ottiene un risultato indubbio: fa comprendere un tema per certi versi ostico e arido, almeno nella saggistica corrente.

Ne emerge un welfare del quale sono poste in risalto le opportunità ma anche i rischi di accentuazione dei dualismi territoriale, settoriale, relativo alle dimensioni aziendali; con il profilarsi  di un rischio diffuso: la rinuncia all’universalismo.

Scrive Alessandra Vincenti quasi alla fine del suo lavoro: “(…) il welfare aziendale rappresenta per alcuni aspetti un’opportunità (per famiglie sempre meno in grado di acquisire servizi sul mercato), ma rischia di accentuare il welfare categoriale e lavoristico così che i margini dell’esclusione e l’area della partecipazione si definiscono in dipendenza sempre più dal rapporto di lavoro (…). In un’epoca di dibattito su come sganciare il reddito dal lavoro anche perché il problema strutturale del mercato del lavoro italiano è da sempre il basso tasso di occupazione, si rischia di aumentare la frammentazione del welfare italiano segnando e avviando la rinuncia all’universalismo”.

Le famiglie e i nuovi strumenti di protezione sociale: il welfare aziendale

Alessandra Vincenti

Argomenti, terza serie, 9/2018

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