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Le imprese non sono orologi

TQM ovvero Total Quality Management ovvero l’impresa perfetta. Questo, almeno, è ciò che i manuali di gestione d’impresa ci dicono.  Il modello pare essere quello di un’azienda gestita come un orologio perfettamente funzionante, che tiene il tempo, ben lubrificato e resistente a tutte le intemperie. In realtà la TQM deve fare i conti con le persone che la devono creare e far funzionare. Tutta un’altra storia.

Il lavoro di Radoica Luburić (della Banca Centrale del Montenegro), è utile per mettere in collegamento la teoria della TQM con la pratica e, soprattutto, con gli aspetti umani e sociali che la influenzano.

Con la TQM “si potrebbe arrivare – viene spiegato nella ricerca -, a un modello che consente un raggiungimento simultaneo di un livello di qualità superiore da un lato e un livello di gestione superiore, dall’altro”. In altre parole, la Total Quality Management è davvero “un paradigma del business di successo in tutto il mondo”. E’ un concetto che “infonde fiducia nei clienti e innesca reazioni a catena di miglioramento dei rapporti con i fornitori”. Ma tutto questo non spiega ancora bene cosa sia la qualità totale. Ci sono cioè forti legami fra la TQM e la cultura della collaborazione all’interno dell’impresa stessa.

Luburić spiega bene cosa questo significhi attraverso una serie di schemi che mostrano le intersecazioni fra qualità, lavoro, management e azioni conseguenti. E, spostandosi poi dalla teoria alla pratica della TQM in Giappone, USA ed Europa, Luburić aggiunge elementi di approfondimento importanti.

“I giapponesi – spiega la ricerca -, sono così ossessionati con l’alta qualità che quasi fanno festa quando  trovano un errore, dal momento che serve loro come un ulteriore incentivo per ulteriori miglioramenti”. Il modo con cui le decisioni vengono prese nelle imprese USA, invece, differisce totalmente da quello delle aziende giapponesi. Secondo Luburić, nelle imprese americane poche persone decidono cosa fare: si fa più veloce, ma occorre poi convincere molti più attori d’impresa della bontà delle scelte assunte. Ancora diverso l’approccio degli europei che per Luburić è sintetizzato da una frase di Raymond Levy (chairman di Renault nel 1990): “La qualità è rappresentativa di una cultura che noi europei  non abbiamo alcun motivo di lasciare che gli altri monopolizzino. L’Europa di Cartesio, l’Europa dell’Età della Ragione e dell’Illuminismo, l’Europa industriale e della rivoluzione tecnologica degli ultimi due secoli, racchiude in sé tutti gli elementi di metodo e di esattezza veicolati con il termine qualità totale”.

Insomma, la TQM non è un meccanismo ma un modo di essere e va certamente ricercata in ogni azienda, ma da sola non basta. Per il semplice fatto che le imprese non sono orologi: al loro interno non ci sono rotelle e molle, ma uomini e donne. Come si diceva all’inizio, tutta un’altra storia, ma anche tutta un’altra qualità.

Total Quality Management as a  Paradigm of Business Success

Radoica Luburić (Central Bank of  Montenegro)

Journal of Central Banking Theory and Practice, 2014, Vol.3 No.1, pp. 59-80

TQM ovvero Total Quality Management ovvero l’impresa perfetta. Questo, almeno, è ciò che i manuali di gestione d’impresa ci dicono.  Il modello pare essere quello di un’azienda gestita come un orologio perfettamente funzionante, che tiene il tempo, ben lubrificato e resistente a tutte le intemperie. In realtà la TQM deve fare i conti con le persone che la devono creare e far funzionare. Tutta un’altra storia.

Il lavoro di Radoica Luburić (della Banca Centrale del Montenegro), è utile per mettere in collegamento la teoria della TQM con la pratica e, soprattutto, con gli aspetti umani e sociali che la influenzano.

Con la TQM “si potrebbe arrivare – viene spiegato nella ricerca -, a un modello che consente un raggiungimento simultaneo di un livello di qualità superiore da un lato e un livello di gestione superiore, dall’altro”. In altre parole, la Total Quality Management è davvero “un paradigma del business di successo in tutto il mondo”. E’ un concetto che “infonde fiducia nei clienti e innesca reazioni a catena di miglioramento dei rapporti con i fornitori”. Ma tutto questo non spiega ancora bene cosa sia la qualità totale. Ci sono cioè forti legami fra la TQM e la cultura della collaborazione all’interno dell’impresa stessa.

Luburić spiega bene cosa questo significhi attraverso una serie di schemi che mostrano le intersecazioni fra qualità, lavoro, management e azioni conseguenti. E, spostandosi poi dalla teoria alla pratica della TQM in Giappone, USA ed Europa, Luburić aggiunge elementi di approfondimento importanti.

“I giapponesi – spiega la ricerca -, sono così ossessionati con l’alta qualità che quasi fanno festa quando  trovano un errore, dal momento che serve loro come un ulteriore incentivo per ulteriori miglioramenti”. Il modo con cui le decisioni vengono prese nelle imprese USA, invece, differisce totalmente da quello delle aziende giapponesi. Secondo Luburić, nelle imprese americane poche persone decidono cosa fare: si fa più veloce, ma occorre poi convincere molti più attori d’impresa della bontà delle scelte assunte. Ancora diverso l’approccio degli europei che per Luburić è sintetizzato da una frase di Raymond Levy (chairman di Renault nel 1990): “La qualità è rappresentativa di una cultura che noi europei  non abbiamo alcun motivo di lasciare che gli altri monopolizzino. L’Europa di Cartesio, l’Europa dell’Età della Ragione e dell’Illuminismo, l’Europa industriale e della rivoluzione tecnologica degli ultimi due secoli, racchiude in sé tutti gli elementi di metodo e di esattezza veicolati con il termine qualità totale”.

Insomma, la TQM non è un meccanismo ma un modo di essere e va certamente ricercata in ogni azienda, ma da sola non basta. Per il semplice fatto che le imprese non sono orologi: al loro interno non ci sono rotelle e molle, ma uomini e donne. Come si diceva all’inizio, tutta un’altra storia, ma anche tutta un’altra qualità.

Total Quality Management as a  Paradigm of Business Success

Radoica Luburić (Central Bank of  Montenegro)

Journal of Central Banking Theory and Practice, 2014, Vol.3 No.1, pp. 59-80

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