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Quando l’impresa riporta “a casa” la propria attività

L’impresa cresce se si diversifica e tenta nuovi mercati oltre che modalità produttive rinnovate. È il concetto di base, quello “alla moda” della buona industria moderna. Ma, a bene vedere, c’è anche dell’altro. L’anima industriale è fatta, da sempre, anche da capacità di cambiamento più vasta, sapienza nel saper cogliere il vento che muta, maestria nel rielaborare organizzazione della produzione e mercati di sbocco. In ogni caso, è messa alla prova la cultura d’impresa propria di ogni struttura produttiva. “Strategie di back-reshoring in Italia: vantaggi competitivi per le aziende, opportunità di sviluppo per il paese” pubblicato da poche settimane, prende in considerazione un particolare cambiamento nelle imprese la cui comprensione può essere utile per tutti.

Scritta da Antonio Ricciardi, Patrizia Pastore, Antonio Russo e Silvia Tommaso (ricercatori fra l’Università della Calabria e quella di Messina),  la ricerca approfondisce motivazioni e modalità operative delle strategie di back-reshoring di processi industriali precedentemente affidati a fornitori esteri o localizzati all’estero, valutandone l’impatto strategico sulla gestione aziendale. Per arrivare all’obiettivo, i quattro autori usano bene la teoria, ma si avvalgono anche di una serie di casi come quelli di Whirlpool, AmFor Electronics, Marchon, il marchio Jimmy Choo, Gaudì, Philip Morris.

L’articolo è scritto in maniera piana e inizia dalla analisi dei fattori che determinano le scelte di rilocalizzazione, valuta i vantaggi ma anche i rischi che le aziende che applicano tali strategie possono incontrare segnalando alcuni interventi di politica industriale che potrebbero favorire la rilocalizzazione anche in Italia di produzioni in precedenza delocalizzate. Viene fatta una analisi a livello mondiale, europei e italiano della situazione del back-reshoring.

Leggendo la fatica di Ricciardi e dei suoi colleghi, si ottiene un quadro esaustivo di cosa possa scatenare il back-reshoring all’interno di un’impresa e come il mutamento possa essere affrontato.

I quattro, poi, insistono sulle ricadute positive ma anche sui costi per l’organizzazione di processi di questo genere. Ciò che emerge è la necessità di un cambiamento strategico aziendale cosi come quella di reintegrare la conoscenza e sviluppare nuove capacità e competenze. Occorre cioè un mutamento della cultura d’impresa che forma di sè l’agire dell’organizzazione produttiva.

Strategie di back-reshoring in Italia: vantaggi competitivi per le aziende, opportunità di sviluppo per il paese

Antonio Ricciardi (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche), Patrizia Pastore (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche), Antonio Russo (Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Scienze giuridiche e Storia delle istituzioni) e Silvia Tommaso (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche).

IPE Working Paper, n. 5, settembre 2015

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L’impresa cresce se si diversifica e tenta nuovi mercati oltre che modalità produttive rinnovate. È il concetto di base, quello “alla moda” della buona industria moderna. Ma, a bene vedere, c’è anche dell’altro. L’anima industriale è fatta, da sempre, anche da capacità di cambiamento più vasta, sapienza nel saper cogliere il vento che muta, maestria nel rielaborare organizzazione della produzione e mercati di sbocco. In ogni caso, è messa alla prova la cultura d’impresa propria di ogni struttura produttiva. “Strategie di back-reshoring in Italia: vantaggi competitivi per le aziende, opportunità di sviluppo per il paese” pubblicato da poche settimane, prende in considerazione un particolare cambiamento nelle imprese la cui comprensione può essere utile per tutti.

Scritta da Antonio Ricciardi, Patrizia Pastore, Antonio Russo e Silvia Tommaso (ricercatori fra l’Università della Calabria e quella di Messina),  la ricerca approfondisce motivazioni e modalità operative delle strategie di back-reshoring di processi industriali precedentemente affidati a fornitori esteri o localizzati all’estero, valutandone l’impatto strategico sulla gestione aziendale. Per arrivare all’obiettivo, i quattro autori usano bene la teoria, ma si avvalgono anche di una serie di casi come quelli di Whirlpool, AmFor Electronics, Marchon, il marchio Jimmy Choo, Gaudì, Philip Morris.

L’articolo è scritto in maniera piana e inizia dalla analisi dei fattori che determinano le scelte di rilocalizzazione, valuta i vantaggi ma anche i rischi che le aziende che applicano tali strategie possono incontrare segnalando alcuni interventi di politica industriale che potrebbero favorire la rilocalizzazione anche in Italia di produzioni in precedenza delocalizzate. Viene fatta una analisi a livello mondiale, europei e italiano della situazione del back-reshoring.

Leggendo la fatica di Ricciardi e dei suoi colleghi, si ottiene un quadro esaustivo di cosa possa scatenare il back-reshoring all’interno di un’impresa e come il mutamento possa essere affrontato.

I quattro, poi, insistono sulle ricadute positive ma anche sui costi per l’organizzazione di processi di questo genere. Ciò che emerge è la necessità di un cambiamento strategico aziendale cosi come quella di reintegrare la conoscenza e sviluppare nuove capacità e competenze. Occorre cioè un mutamento della cultura d’impresa che forma di sè l’agire dell’organizzazione produttiva.

Strategie di back-reshoring in Italia: vantaggi competitivi per le aziende, opportunità di sviluppo per il paese

Antonio Ricciardi (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche), Patrizia Pastore (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche), Antonio Russo (Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Scienze giuridiche e Storia delle istituzioni) e Silvia Tommaso (Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche).

IPE Working Paper, n. 5, settembre 2015

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