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Distretti e poli industriali trainano la ripresa: è la cultura della “collaborazione competitiva”

Sono i distretti industriali a guidare la ripresa manifatturiera italiana. Crescono, innovano, conquistano spazi crescenti sui mercati internazionali. E mostrano come il miglioramento della competitività dell’industria italiana dipenda dalla originale combinazione tra radicamento territoriale (la forza della tradizione per la qualità) e sguardo aperto al mondo. Cultura d’impresa d’eccellenza, insomma. Con la solida consapevolezza del significato più profondo della parola “competizione”, da rilanciare facendo buon uso della memoria delle sue origini: il latino “cum petere”, camminare insieme verso un obiettivo comune (ne abbiamo fatto cenno altre volte, in questi nostri blog).

Le stime di crescita dei distretti industriali (la punta più dinamica dell’industria italiana, con una aumentata capacità di innovazione, non solo per prodotti e produzione, ma anche per servizio), vengono dalle recenti indagini del Centro Studi di Intesa Sanpaolo (febbraio 2015), dicono che l’export è cresciuto del 3,5% tra gennaio e sempre 2014, più che in Germania. E le previsioni sul fatturato sono positive anche per 2015 e 2016. In testa, i distretti del mobile, con una crescita attesa del 4% circa nel 2015 e del 3,7% nel 2016, rispetto a una media generale appena superiore al 3%. Poi, la meccanica, i prodotti in metallo, l’alimentare e il sistema moda. “Ricerca e reshoring spingono i distretti”, commenta Il Sole24Ore, insistendo sull’innovazione, ma anche sulla recente tendenza di molte imprese a tornare a produrre in Italia, “rimpatriando” molte produzioni che nel corso degli anni 80 e 90 del Novecento erano state spostate all’estero. Un “reshoring” legato alla più matura consapevolezza che la competitività si gioca sull’alta qualità, nelle nicchie ad alto valore aggiunto e non può raggiungere alta qualità se non valorizzando le capacità del cosiddetto “bello e ben fatto”, le competenze della migliore manifattura “made in Italy”, le sintesi tra design e funzionalità.

E’ la lezione che viene anche dalle filiere e dalle piattaforme produttive, una meta-organizzazione tipica dell’industria italiana che trova, appunto nello “stare insieme”, la chiave per superare le angustie e i limiti delle piccole dimensioni e, sulla dinamicità delle relazioni tra piccole e medie imprese specializzate, costruisce le ragioni d’una migliore competitività,

Oltre ai distretti, sempre secondo la ricerca di Intesa Sanpaolo, vanno bene anche tre poli tecnologici (aeronautico, farmaceutico e biomedicale) che sono cresciuti anche negli anni più duri e seletivi della crisi. Anche per questi poli, vale la pena insistere sulle caratteristiche distintive italiane: “collaborazione competitiva”, legami con strutture d’eccellenza dei territori (le migliori università, i centri di ricerca pubblici e privati), cross fertilization delle esperienze, intelligente utilizzo del capitale umano.

Nasce anche ad queste considerazioni la necessità di una politica industriale mirata, costruita cioè sul sostegno a ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, formazione, stimolo ai nuovi investimenti, anche internazionali. E supporto alle collaborazioni pure nel mondo dei servizi, dalla logistica alla finanza, dalla distribuzione al miglioramento del capitale umano, anche con solidi innesti manageriali. Dinamismo. E trasformazione.

Sono i distretti industriali a guidare la ripresa manifatturiera italiana. Crescono, innovano, conquistano spazi crescenti sui mercati internazionali. E mostrano come il miglioramento della competitività dell’industria italiana dipenda dalla originale combinazione tra radicamento territoriale (la forza della tradizione per la qualità) e sguardo aperto al mondo. Cultura d’impresa d’eccellenza, insomma. Con la solida consapevolezza del significato più profondo della parola “competizione”, da rilanciare facendo buon uso della memoria delle sue origini: il latino “cum petere”, camminare insieme verso un obiettivo comune (ne abbiamo fatto cenno altre volte, in questi nostri blog).

Le stime di crescita dei distretti industriali (la punta più dinamica dell’industria italiana, con una aumentata capacità di innovazione, non solo per prodotti e produzione, ma anche per servizio), vengono dalle recenti indagini del Centro Studi di Intesa Sanpaolo (febbraio 2015), dicono che l’export è cresciuto del 3,5% tra gennaio e sempre 2014, più che in Germania. E le previsioni sul fatturato sono positive anche per 2015 e 2016. In testa, i distretti del mobile, con una crescita attesa del 4% circa nel 2015 e del 3,7% nel 2016, rispetto a una media generale appena superiore al 3%. Poi, la meccanica, i prodotti in metallo, l’alimentare e il sistema moda. “Ricerca e reshoring spingono i distretti”, commenta Il Sole24Ore, insistendo sull’innovazione, ma anche sulla recente tendenza di molte imprese a tornare a produrre in Italia, “rimpatriando” molte produzioni che nel corso degli anni 80 e 90 del Novecento erano state spostate all’estero. Un “reshoring” legato alla più matura consapevolezza che la competitività si gioca sull’alta qualità, nelle nicchie ad alto valore aggiunto e non può raggiungere alta qualità se non valorizzando le capacità del cosiddetto “bello e ben fatto”, le competenze della migliore manifattura “made in Italy”, le sintesi tra design e funzionalità.

E’ la lezione che viene anche dalle filiere e dalle piattaforme produttive, una meta-organizzazione tipica dell’industria italiana che trova, appunto nello “stare insieme”, la chiave per superare le angustie e i limiti delle piccole dimensioni e, sulla dinamicità delle relazioni tra piccole e medie imprese specializzate, costruisce le ragioni d’una migliore competitività,

Oltre ai distretti, sempre secondo la ricerca di Intesa Sanpaolo, vanno bene anche tre poli tecnologici (aeronautico, farmaceutico e biomedicale) che sono cresciuti anche negli anni più duri e seletivi della crisi. Anche per questi poli, vale la pena insistere sulle caratteristiche distintive italiane: “collaborazione competitiva”, legami con strutture d’eccellenza dei territori (le migliori università, i centri di ricerca pubblici e privati), cross fertilization delle esperienze, intelligente utilizzo del capitale umano.

Nasce anche ad queste considerazioni la necessità di una politica industriale mirata, costruita cioè sul sostegno a ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, formazione, stimolo ai nuovi investimenti, anche internazionali. E supporto alle collaborazioni pure nel mondo dei servizi, dalla logistica alla finanza, dalla distribuzione al miglioramento del capitale umano, anche con solidi innesti manageriali. Dinamismo. E trasformazione.

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