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L’enciclica ambientalista del Papa e le sfide per economia e società

“Laudato si’”, è il titolo della nuova enciclica di Papa Francesco. Francescana fin dall’incipit, appunto, con un richiamo esplicito alla predicazione sulla bellezza del creato e sulla responsabilità della sua conservazione, “sulla cura della casa comune”. Un’enciclica “green”, ambientalista, secondo la sintesi dei media. Un monito, comunque, che investe le responsabilità di politica, economia, società non solo sull’ambiente ma sulla qualità degli equilibri economici e sociali.

Da tempo, d’altronde, e giustamente, Papa Francesco spende la propria autorevolezza per ricordare alla Chiesa, ma anche a tutta l’’opinione pubblica internazionale, ai credenti di altre religioni e ai non credenti, l’importanza di una “economia giusta”, più equilibrata, rispettosa dei diritti delle persone e dell’ambiente. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e in altri interventi di forte spessore morale, aveva già denunciato “il feticismo del denaro”, i rischi di una “dittatura dell’economia senza volto né scopo”, le “iniquità radice dei mali sociali”. La nuova enciclica continua questi ragionamenti, con attenzione speciale per la tutela dell’eco-sistema, i diritti al cibo e alla vita di intere popolazioni. Il monito contro “la cultura dello spreco e dello scarto” è assolutamente condivisibile. Così come l’invito a frenare la rapacità finanziaria per costruire migliori equilibri di lavoro, di consumo, di vita.

Gli economisti e gli uomini e le donne d’impresa lo staranno a sentire? Si spera proprio di sì. Quelli posti dal Papa, peraltro, sono temi propri del miglior dibattito economico, come ci dicono, per esempio, le riletture degli scritti di John Maynard Keynes e di un grande economista italiano da riscoprire, Federico Caffè (Mario Draghi e Ignazio Visco sono stati tra i suoi allievi migliori).

Gli opportuni interventi del Papa rilanciano, infatti, il dibattito sul senso dell’economia, sulle relazioni tra “il capitalismo e il senso del limite”. Perché non può esservi né sviluppo di lungo periodo né buona economia senza una radicale riconsiderazione critica dei criteri di produzione e di consumo.

L’enciclica contiene una severissima critica della “finanza che soffoca l’economia reale” e ribadisce che “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo&rdquordquo;. Temi forti, ruvidi, che hanno suscitato critiche e perplessità. Senza demonizzare la finanza, quando è realmente al servizio dell’impresa e della crescita equilibrata (finanza sono i sostegni all’industria e all’innovazione, i sostegni per le case, le opere pubbliche e i nuovi stabilimenti, le assicurazioni come parte integrante del welfare), il Papa ha ragione nel rilanciare la centralità dell’economia reale, dell’industria, della fabbrica, i valori della produzione sostenibile e del lavoro, la dignità di chi produce creando ricchezza da condividere e migliorando la qualità della vita. Proprio la Grande Crisi scatenata dall’avidità dell’economia di carta e della finanza speculativa ha insegnato a tutto il mondo che bisogna tornare a guardare alla produzione di beni e servizi, alla concretezza e alla responsabilità del lavoro ben fatto.

L’attenzione alla persona, d’altronde, è prioritaria, per qualunque attore economico che sia consapevole dell’importanza e delle responsabilità del suo ruolo. Proprio Papa Francesco aveva detto, lo scorso anno: ‘La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita…’. E vale la pena ricordare il conseguente commento di un grande filosofo, Michael Novak, sulle pagine di un quotidiano cattolico, Avvenire: ‘Fare impresa è una vocazione, salverà il mondo dalla povertà’. Temi essenziali, dunque, d’un consapevole discorso pubblico sull’impresa, lo sviluppo, la sostenibilità. Una sfida che, al di là dell’impresa, investe soprattutto i governi, la politica.

L’enciclica sostiene, ancora, che “serve la decrescita in alcune parti del mondo”, procurando risorse per far crescere in modo sano altre parti. E’ forse la parte più debole e criticabile. Perché sarebbe invece necessaria non una decrescita ma, piuttosto, una crescita più equilibrata, che punti sulla qualità e non sulla quantità di produzioni e ricchezza, sul superamento degli squilibri, su riforme attente la sicurezza, al territorio, ai diritti delle nuove generazioni e dei ceti sociali più deboli. Temi, anche in questo caso, di forte rilievo politico. Bisogna passare dall’ossessione della crescita ad ogni costo alla responsabilità dello sviluppo sostenibile. E cambiare anche strumenti di misurazione: non più solo il Pil, il prodotto interno lordo, la il Bes, l’indice del “benessere equo e sostenibile”, uno strumento messo a punto proprio dell’Istat, in Italia e già in uso. Sui temi ecologici c’è un forte appello affinché si faccia una vera “rivoluzione” che metta sullo stesso piano difesa della natura e difesa dell’uomo. E qui il Papa ha proprio ragione: è necessaria una vera e propria svolta culturale, contro l’avidità finanziaria e le illusioni di onnipotenza della tecnologia. Si riconduce tutto alla misura dell’uomo. E proprio in questa dimensione l’enciclica è di grande importanza, al di là di singoli temi su cui si può molto discutere, anche criticamente. Lega infatti questioni diverse in nome dello sviluppo equilibrato: la difesa dell’ambiente, la battaglia contro gli sprechi, la responsabilità dell’impresa e del lavoro, la condanna dell’illegalità, l’importanza dell’impegno personale. Un’idea globale dell’impegno. Con cui confrontarsi, anche da posizioni diverse. Un essenziale invito alla ricerca, alla riflessione, al dialogo.

“Laudato si’”, è il titolo della nuova enciclica di Papa Francesco. Francescana fin dall’incipit, appunto, con un richiamo esplicito alla predicazione sulla bellezza del creato e sulla responsabilità della sua conservazione, “sulla cura della casa comune”. Un’enciclica “green”, ambientalista, secondo la sintesi dei media. Un monito, comunque, che investe le responsabilità di politica, economia, società non solo sull’ambiente ma sulla qualità degli equilibri economici e sociali.

Da tempo, d’altronde, e giustamente, Papa Francesco spende la propria autorevolezza per ricordare alla Chiesa, ma anche a tutta l’’opinione pubblica internazionale, ai credenti di altre religioni e ai non credenti, l’importanza di una “economia giusta”, più equilibrata, rispettosa dei diritti delle persone e dell’ambiente. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e in altri interventi di forte spessore morale, aveva già denunciato “il feticismo del denaro”, i rischi di una “dittatura dell’economia senza volto né scopo”, le “iniquità radice dei mali sociali”. La nuova enciclica continua questi ragionamenti, con attenzione speciale per la tutela dell’eco-sistema, i diritti al cibo e alla vita di intere popolazioni. Il monito contro “la cultura dello spreco e dello scarto” è assolutamente condivisibile. Così come l’invito a frenare la rapacità finanziaria per costruire migliori equilibri di lavoro, di consumo, di vita.

Gli economisti e gli uomini e le donne d’impresa lo staranno a sentire? Si spera proprio di sì. Quelli posti dal Papa, peraltro, sono temi propri del miglior dibattito economico, come ci dicono, per esempio, le riletture degli scritti di John Maynard Keynes e di un grande economista italiano da riscoprire, Federico Caffè (Mario Draghi e Ignazio Visco sono stati tra i suoi allievi migliori).

Gli opportuni interventi del Papa rilanciano, infatti, il dibattito sul senso dell’economia, sulle relazioni tra “il capitalismo e il senso del limite”. Perché non può esservi né sviluppo di lungo periodo né buona economia senza una radicale riconsiderazione critica dei criteri di produzione e di consumo.

L’enciclica contiene una severissima critica della “finanza che soffoca l’economia reale” e ribadisce che “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo&rdquordquo;. Temi forti, ruvidi, che hanno suscitato critiche e perplessità. Senza demonizzare la finanza, quando è realmente al servizio dell’impresa e della crescita equilibrata (finanza sono i sostegni all’industria e all’innovazione, i sostegni per le case, le opere pubbliche e i nuovi stabilimenti, le assicurazioni come parte integrante del welfare), il Papa ha ragione nel rilanciare la centralità dell’economia reale, dell’industria, della fabbrica, i valori della produzione sostenibile e del lavoro, la dignità di chi produce creando ricchezza da condividere e migliorando la qualità della vita. Proprio la Grande Crisi scatenata dall’avidità dell’economia di carta e della finanza speculativa ha insegnato a tutto il mondo che bisogna tornare a guardare alla produzione di beni e servizi, alla concretezza e alla responsabilità del lavoro ben fatto.

L’attenzione alla persona, d’altronde, è prioritaria, per qualunque attore economico che sia consapevole dell’importanza e delle responsabilità del suo ruolo. Proprio Papa Francesco aveva detto, lo scorso anno: ‘La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita…’. E vale la pena ricordare il conseguente commento di un grande filosofo, Michael Novak, sulle pagine di un quotidiano cattolico, Avvenire: ‘Fare impresa è una vocazione, salverà il mondo dalla povertà’. Temi essenziali, dunque, d’un consapevole discorso pubblico sull’impresa, lo sviluppo, la sostenibilità. Una sfida che, al di là dell’impresa, investe soprattutto i governi, la politica.

L’enciclica sostiene, ancora, che “serve la decrescita in alcune parti del mondo”, procurando risorse per far crescere in modo sano altre parti. E’ forse la parte più debole e criticabile. Perché sarebbe invece necessaria non una decrescita ma, piuttosto, una crescita più equilibrata, che punti sulla qualità e non sulla quantità di produzioni e ricchezza, sul superamento degli squilibri, su riforme attente la sicurezza, al territorio, ai diritti delle nuove generazioni e dei ceti sociali più deboli. Temi, anche in questo caso, di forte rilievo politico. Bisogna passare dall’ossessione della crescita ad ogni costo alla responsabilità dello sviluppo sostenibile. E cambiare anche strumenti di misurazione: non più solo il Pil, il prodotto interno lordo, la il Bes, l’indice del “benessere equo e sostenibile”, uno strumento messo a punto proprio dell’Istat, in Italia e già in uso. Sui temi ecologici c’è un forte appello affinché si faccia una vera “rivoluzione” che metta sullo stesso piano difesa della natura e difesa dell’uomo. E qui il Papa ha proprio ragione: è necessaria una vera e propria svolta culturale, contro l’avidità finanziaria e le illusioni di onnipotenza della tecnologia. Si riconduce tutto alla misura dell’uomo. E proprio in questa dimensione l’enciclica è di grande importanza, al di là di singoli temi su cui si può molto discutere, anche criticamente. Lega infatti questioni diverse in nome dello sviluppo equilibrato: la difesa dell’ambiente, la battaglia contro gli sprechi, la responsabilità dell’impresa e del lavoro, la condanna dell’illegalità, l’importanza dell’impegno personale. Un’idea globale dell’impegno. Con cui confrontarsi, anche da posizioni diverse. Un essenziale invito alla ricerca, alla riflessione, al dialogo.

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