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Milano futura, smart city costruita su innovazione e inclusione

Nelle megacittà c’è la frontiera dell’innovazione”, sostiene Maurizio Molinari, direttore de “La Stampa” (13 marzo), ricordando che nel mondo il 30% del Pil globale e la maggiore fonte d’innovazione tecnologica vengono dalle 100 città più popolose, come accerta una recente ricerca McKinsey e che proprio lì si giocano le carte principali della competitività internazionale: o ci stai dentro o sei condannato alla marginalità. Una grande sfida. Che riguarda anche il nostro Paese. E qui, per le particolari condizioni che vive proprio in questi anni, innanzitutto Milano. Milano metropoli, naturalmente. Come cardine d’un processo di crescita che riguarda tutta l’Italia. E chiama in causa progettualità, capacità di concretezza e senso di responsabilità dell’intera classe dirigente, non solo politica. Cui tocca essere anche lei “smart”. Vivace, veloce, creativa, produttiva.

Quale Milano? Una città al centro dell’Europa, innanzitutto.

“Una città come Milano – si legge sull’Huffington Post Italia – si può provare a definirla con una misura di tempo. Un’ora per andare in treno a Torino, Bologna o Verona. Un’ora per raggiungere in aereo Roma, Francoforte, Monaco e Zurigo e poco di più per arrivare a Parigi o a Londra. Un’ora, per l’andata e poi per il ritorno. Viaggio in giornata. Commuting. Tempi svelti degli incontri d’affari ma anche degli incroci di vita. Un’ora, per sottolineare una centralità. Milano, nel cuore europeo svelto e creativo”.

L’alta velocità ferroviaria e una maggiore efficienza degli aeroporti stanno cambiando la geografia economica, sociale, perfino sentimentale e familiare. E le nuove dimensioni delle interconnessioni, non solo fisiche ma anche e soprattutto digitali, pongono a chi governa e governerà le metropoli come Milano questioni essenziali sui servizi, la mobilità, l’organizzazione degli spazi urbani, la nuova scansione dei tempi di lavoro e di vita: temi politici fondamentali, proprio adesso che, per esempio, sia Milano che Torino sono alla vigilia di elezioni per i nuovi sindaci. Chi e come pensa al futuro di MiTo, grande metropoli integrata, ben più dei legami attuali mostrati da finanza e cultura?

La centralità di Milano è geografica, secondo tradizione storica e attualità: città da sempre aperta, rotonda pure per struttura urbana, mai tagliente negli spigoli d’angolo anche quando conflittuale, accogliente, tendenzialmente inclusiva. Ed è economica, rispetto all’Italia che vuole avere una dimensione europea: nel raggio di 60 chilometri si produce il 25% dell’export italiano e altrettanto valore aggiunto manifatturiero, una dimensione da record nel contesto Ue. In questa metropoli (la “Milano grande”) vivono più di tre milioni di abitanti, di cui 500mila stranieri, ci sono oltre 200mila studenti (di cui quasi 20mila stranieri, un numero in crescita negli ultimi anni), hanno sede 288 mila imprese, 123 delle quali con un fatturato superiore a un miliardo di euro (più che a Monaco o a Barcellona). E sempre qui ci sono 3.100 multinazionali estere, che rafforzano il carattere internazionale della città. “Una grande Milano supermetropolitana”, sostiene Gianfelice Rocca, presidente dell’Assolombarda, nella prefazione al bel libro “Milano metropoli possibile” curato da Vittorio Biondi e pubblicato da Marsilio.

Bisogna fare attenzione a quell’aggettivo, “possibile”, per fare un passo avanti nel ragionamento. Insistere su quel che c’è. E avere sguardo lungo. In quel “possibile” c’è una grade sfida culturale, sociale e, naturalmente, politica.

Milano, infatti, ha già adesso dimensione metropolitana. Ma deve rapidamente crescere, per salvaguardare e rilanciare la sua competitività. Negli ultimi anni ha fatto importanti passi avanti, sulla strada dello sviluppo di qualità, dopo le stagioni in grigio delle incertezze economiche e amministrative, dopo il declino degli assetti tradizionali dell’economia e della politica. Nel primo decennio del Duemila, è ripartita. L’Expo ha fatto da catalizzatore dell’innovazione. Ma non ci si può fermare.

Assolombarda parla di “cinque città in una”, partendo dalla forza di un settore manifatturiero che vale il 29% del Pil (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana), già adesso ben oltre gli ambiziosi obiettivi che Bruxelles ha posto a tutta la Ue, il raggiungimento entro il 2020 di una incidenza del 20%: la città dell’innovazione, della bellezza, del fare, del benessere e della creatività. Sono indicazioni importanti, che hanno già adesso forza di progetti e d’iniziative in corso, nella consapevolezza imprenditoriale che bisogna “far volare Milano per far volare l’Italia”.

La sfida sul futuro dell’area ex Expo, con “Human Technopole”, i padiglioni scientifici dell’Università Statale e gli insediamenti di una serie d’imprese innovative, dalle multinazionali più note alle start up più creative, va in questa direzione.

Altri passi sono essenziali. Qualificare Milano come “smart city”, lavorando su tutte le caratteristiche dell’innovazione nel quadro dell’”economia della conoscenza”: processi produttivi, prodotti, relazioni, competenze, ricerca, nuove ibridazioni tra talenti creativi e radicate competenze manifatturiere. Ma anche insistere su altre caratteristiche su cui Milano ha già adesso buone qualità da giocare: una “sharing economy” che, dentro le culture dell’economia circolare, lavori su territorio, energie, capitale umano e capitale sociale, inclusione, come ha spiegato bene Aldo Bonomi (Il Sole24Ore, 13 marzo). E innovazione, vale la pena ripeterlo, è la parola chiave. Innovazione continua.

Nelle megacittà c’è la frontiera dell’innovazione”, sostiene Maurizio Molinari, direttore de “La Stampa” (13 marzo), ricordando che nel mondo il 30% del Pil globale e la maggiore fonte d’innovazione tecnologica vengono dalle 100 città più popolose, come accerta una recente ricerca McKinsey e che proprio lì si giocano le carte principali della competitività internazionale: o ci stai dentro o sei condannato alla marginalità. Una grande sfida. Che riguarda anche il nostro Paese. E qui, per le particolari condizioni che vive proprio in questi anni, innanzitutto Milano. Milano metropoli, naturalmente. Come cardine d’un processo di crescita che riguarda tutta l’Italia. E chiama in causa progettualità, capacità di concretezza e senso di responsabilità dell’intera classe dirigente, non solo politica. Cui tocca essere anche lei “smart”. Vivace, veloce, creativa, produttiva.

Quale Milano? Una città al centro dell’Europa, innanzitutto.

“Una città come Milano – si legge sull’Huffington Post Italia – si può provare a definirla con una misura di tempo. Un’ora per andare in treno a Torino, Bologna o Verona. Un’ora per raggiungere in aereo Roma, Francoforte, Monaco e Zurigo e poco di più per arrivare a Parigi o a Londra. Un’ora, per l’andata e poi per il ritorno. Viaggio in giornata. Commuting. Tempi svelti degli incontri d’affari ma anche degli incroci di vita. Un’ora, per sottolineare una centralità. Milano, nel cuore europeo svelto e creativo”.

L’alta velocità ferroviaria e una maggiore efficienza degli aeroporti stanno cambiando la geografia economica, sociale, perfino sentimentale e familiare. E le nuove dimensioni delle interconnessioni, non solo fisiche ma anche e soprattutto digitali, pongono a chi governa e governerà le metropoli come Milano questioni essenziali sui servizi, la mobilità, l’organizzazione degli spazi urbani, la nuova scansione dei tempi di lavoro e di vita: temi politici fondamentali, proprio adesso che, per esempio, sia Milano che Torino sono alla vigilia di elezioni per i nuovi sindaci. Chi e come pensa al futuro di MiTo, grande metropoli integrata, ben più dei legami attuali mostrati da finanza e cultura?

La centralità di Milano è geografica, secondo tradizione storica e attualità: città da sempre aperta, rotonda pure per struttura urbana, mai tagliente negli spigoli d’angolo anche quando conflittuale, accogliente, tendenzialmente inclusiva. Ed è economica, rispetto all’Italia che vuole avere una dimensione europea: nel raggio di 60 chilometri si produce il 25% dell’export italiano e altrettanto valore aggiunto manifatturiero, una dimensione da record nel contesto Ue. In questa metropoli (la “Milano grande”) vivono più di tre milioni di abitanti, di cui 500mila stranieri, ci sono oltre 200mila studenti (di cui quasi 20mila stranieri, un numero in crescita negli ultimi anni), hanno sede 288 mila imprese, 123 delle quali con un fatturato superiore a un miliardo di euro (più che a Monaco o a Barcellona). E sempre qui ci sono 3.100 multinazionali estere, che rafforzano il carattere internazionale della città. “Una grande Milano supermetropolitana”, sostiene Gianfelice Rocca, presidente dell’Assolombarda, nella prefazione al bel libro “Milano metropoli possibile” curato da Vittorio Biondi e pubblicato da Marsilio.

Bisogna fare attenzione a quell’aggettivo, “possibile”, per fare un passo avanti nel ragionamento. Insistere su quel che c’è. E avere sguardo lungo. In quel “possibile” c’è una grade sfida culturale, sociale e, naturalmente, politica.

Milano, infatti, ha già adesso dimensione metropolitana. Ma deve rapidamente crescere, per salvaguardare e rilanciare la sua competitività. Negli ultimi anni ha fatto importanti passi avanti, sulla strada dello sviluppo di qualità, dopo le stagioni in grigio delle incertezze economiche e amministrative, dopo il declino degli assetti tradizionali dell’economia e della politica. Nel primo decennio del Duemila, è ripartita. L’Expo ha fatto da catalizzatore dell’innovazione. Ma non ci si può fermare.

Assolombarda parla di “cinque città in una”, partendo dalla forza di un settore manifatturiero che vale il 29% del Pil (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana), già adesso ben oltre gli ambiziosi obiettivi che Bruxelles ha posto a tutta la Ue, il raggiungimento entro il 2020 di una incidenza del 20%: la città dell’innovazione, della bellezza, del fare, del benessere e della creatività. Sono indicazioni importanti, che hanno già adesso forza di progetti e d’iniziative in corso, nella consapevolezza imprenditoriale che bisogna “far volare Milano per far volare l’Italia”.

La sfida sul futuro dell’area ex Expo, con “Human Technopole”, i padiglioni scientifici dell’Università Statale e gli insediamenti di una serie d’imprese innovative, dalle multinazionali più note alle start up più creative, va in questa direzione.

Altri passi sono essenziali. Qualificare Milano come “smart city”, lavorando su tutte le caratteristiche dell’innovazione nel quadro dell’”economia della conoscenza”: processi produttivi, prodotti, relazioni, competenze, ricerca, nuove ibridazioni tra talenti creativi e radicate competenze manifatturiere. Ma anche insistere su altre caratteristiche su cui Milano ha già adesso buone qualità da giocare: una “sharing economy” che, dentro le culture dell’economia circolare, lavori su territorio, energie, capitale umano e capitale sociale, inclusione, come ha spiegato bene Aldo Bonomi (Il Sole24Ore, 13 marzo). E innovazione, vale la pena ripeterlo, è la parola chiave. Innovazione continua.

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