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Scandalo Volkswagen, un sondaggio Ipsos mette in discussione “l’industria” e chiede una vera “operazione fiducia”

Sono “fatti loro”, dei costruttori d’auto tedeschi, gli sviluppi e le conseguenze dello scandalo Volkswagen? O, a parte le responsabilità specifiche di persone al vertice dell’impresa per le “centraline truccate”, la vicenda, in generale, riguarda in un modo o nell’altro coloro che vivono e lavorano nell’industria europea? La storia pone a tutti il tema della credibilità dell’impresa, della ferita alla fiducia dei consumatori e, più in generale, dei cittadini? Per capire meglio quali siano le reazioni del pubblico, Ipsos (l’autorevole istituto di sondaggi diretto da Nando Pagnoncelli) ha appena fatto un’interessante indagine, di cui vale la pena leggere i risultati.

La vicenda Volkswagen, naturalmente, ha avuto una notevole eco: il 72% degli italiani l’ha seguita con attenzione e un ulteriore 20% ne ha sentito parlare. Tra gli informati, ben il 70% dichiara di aver peggiorato la propria opinione su Volkswagen. Problema di reputazione tedesco, sin qui.

Ma il sondaggio va avanti. E a distanza di due settimane dallo scandalo (quando viene effettuato), sembra che a essere colpito sia tutto il settore automobilistico e industriale in generale. A fronte di un 18% di italiani che ritiene che Volkswagen sia incappata in un “incidente di percorso”, il 19% attribuisce alla sola azienda la responsabilità completa nella vicenda. Per quasi la metà del campione, questo è un comportamento abituale di tutte le aziende del settore automobilistico (25%) o delle aziende industriali (25%) in genere.

Dunque un intervistato su due ritiene che l’industria si comporti male, sia inaffidabile, non rispetti i consumatori. Un dato allarmante. Che porta a rilevare come la questione riguardi l’intero mondo dell’impresa e chieda risposte urgenti, serie, in termini di impegni e di comportanti. Di affidabile e rigorosa cultura d’impresa. Guai, naturalmente, a far passare una grande impresa come la Volkswagen per un covo di truffatori. E a dimenticare che nel mondo dell’impresa italiana ed europea ci sono moltissime imprese serie, affidabili, responsabili, “green”, coerenti con i valori di sostenibilità e fiducia. Ma la questione è comunque aperta. E merita risposte.

Vale la pena tenere in considerazione anche una recente dichiarazione di Giacomo Vaciago, economista, che conosce bene il mondo dell’economia italiana e internazionale: “Di questi tempi, di scandali ne abbiamo visti tanti nel capitalismo finanziario. E ci eravamo forse illusi che la “qualità“ del mercato dei beni industriali fosse molto migliore, che ci fossero più trasparenza, migliore competitività”. Dopo la Grande Crisi, le critiche si sono infatti concentrate sulla “rapacità finanziaria”, sulle tensioni speculative, sulla fragilità e sull’avidità della cosiddetta “economia di carta”. Ed è stata contemporaneamente rilanciata “l’economia reale”, l’industria, la manifattura, la fabbrica, con i loro valori. Lo scandalo Volkswagen, al di là degli accertamenti delle responsabilità specifiche, impone d’avere uno sguardo critico anche verso “l’economia reale”. E le reazioni dei cittadini-consumatori, appunto come quelli intervistati da Ipsos, interpellano severamente le imprese e chiedono che la loro responsabilità sociale sia severa, coerente, intransigente. Una sfida impegnativa. Che non si può non cogliere.

Sono “fatti loro”, dei costruttori d’auto tedeschi, gli sviluppi e le conseguenze dello scandalo Volkswagen? O, a parte le responsabilità specifiche di persone al vertice dell’impresa per le “centraline truccate”, la vicenda, in generale, riguarda in un modo o nell’altro coloro che vivono e lavorano nell’industria europea? La storia pone a tutti il tema della credibilità dell’impresa, della ferita alla fiducia dei consumatori e, più in generale, dei cittadini? Per capire meglio quali siano le reazioni del pubblico, Ipsos (l’autorevole istituto di sondaggi diretto da Nando Pagnoncelli) ha appena fatto un’interessante indagine, di cui vale la pena leggere i risultati.

La vicenda Volkswagen, naturalmente, ha avuto una notevole eco: il 72% degli italiani l’ha seguita con attenzione e un ulteriore 20% ne ha sentito parlare. Tra gli informati, ben il 70% dichiara di aver peggiorato la propria opinione su Volkswagen. Problema di reputazione tedesco, sin qui.

Ma il sondaggio va avanti. E a distanza di due settimane dallo scandalo (quando viene effettuato), sembra che a essere colpito sia tutto il settore automobilistico e industriale in generale. A fronte di un 18% di italiani che ritiene che Volkswagen sia incappata in un “incidente di percorso”, il 19% attribuisce alla sola azienda la responsabilità completa nella vicenda. Per quasi la metà del campione, questo è un comportamento abituale di tutte le aziende del settore automobilistico (25%) o delle aziende industriali (25%) in genere.

Dunque un intervistato su due ritiene che l’industria si comporti male, sia inaffidabile, non rispetti i consumatori. Un dato allarmante. Che porta a rilevare come la questione riguardi l’intero mondo dell’impresa e chieda risposte urgenti, serie, in termini di impegni e di comportanti. Di affidabile e rigorosa cultura d’impresa. Guai, naturalmente, a far passare una grande impresa come la Volkswagen per un covo di truffatori. E a dimenticare che nel mondo dell’impresa italiana ed europea ci sono moltissime imprese serie, affidabili, responsabili, “green”, coerenti con i valori di sostenibilità e fiducia. Ma la questione è comunque aperta. E merita risposte.

Vale la pena tenere in considerazione anche una recente dichiarazione di Giacomo Vaciago, economista, che conosce bene il mondo dell’economia italiana e internazionale: “Di questi tempi, di scandali ne abbiamo visti tanti nel capitalismo finanziario. E ci eravamo forse illusi che la “qualità“ del mercato dei beni industriali fosse molto migliore, che ci fossero più trasparenza, migliore competitività”. Dopo la Grande Crisi, le critiche si sono infatti concentrate sulla “rapacità finanziaria”, sulle tensioni speculative, sulla fragilità e sull’avidità della cosiddetta “economia di carta”. Ed è stata contemporaneamente rilanciata “l’economia reale”, l’industria, la manifattura, la fabbrica, con i loro valori. Lo scandalo Volkswagen, al di là degli accertamenti delle responsabilità specifiche, impone d’avere uno sguardo critico anche verso “l’economia reale”. E le reazioni dei cittadini-consumatori, appunto come quelli intervistati da Ipsos, interpellano severamente le imprese e chiedono che la loro responsabilità sociale sia severa, coerente, intransigente. Una sfida impegnativa. Che non si può non cogliere.

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