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Le imprese scendono in piazza per protesta contro le manovre del governo. E l’euro riscuote più successo

Le imprese scendono in piazza. Quelle piccole, soprattutto. L’appuntamento è per il 13 dicembre, a Milano. Dove i dirigenti di Confartigianato hanno convocato i loro iscritti di Veneto, Lombardia, Emilia e delle altre regioni del Nord per una manifestazione di protesta contro i provvedimenti del Governo previsti nella legge di Bilancio: pochi sostegni alle imprese che innovano, scarsi investimenti in infrastrutture e grandi opere, finanziamenti per pensioni e redditi di cittadinanza di sapore assistenziale e di basso impatto sulla ripresa economica. “Protestiamo perché non vogliamo mollare il treno della crescita dopo tanti sacrifici fatti in questi anni”, commenta Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato di Varese. Come lui, tanti. A cominciare da Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato Veneto, che nei giorni scorsi aveva già mobilitato i suoi 60mila iscritti.

Altre iniziative imprenditoriali sono in calendario. Confindustria ha convocato il suo Consiglio Generale, allargato a una platea di imprenditori impegnati nelle strutture dell’organizzazione, per il 3 dicembre a Torino, per protestare contro il blocco dei cantieri di opere pubbliche. E il 14, a Verona, hanno deciso di incontrarsi tutte le forze produttive per una manifestazione a favore dell’Alta Velocità e di altre infrastrutture giudicate “essenziali”, come la pedemontana del Veneto. “Così il partito del Pil fa il terzo incomodo tra la Lega e i 5Stelle”, commenta Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” (26 novembre), registrando l’imbarazzo di Matteo Salvini, leader della Lega e vicepresidente del Consiglio, diviso tra le spinte del tradizionale elettorato leghista (produttivista, imprenditoriale, legato all’Europa), un nazionalismo che tra gli industriali non trova consensi e un’alleanza con i “grillini” considerati come “fumo negli occhi” da chi rivendica infrastrutture, investimenti e innovazione per lo sviluppo economico e sociale.

Da cosa nasce tanto disagio tra gli imprenditori, piccoli innanzitutto ma anche medi e grandi? Dalla consapevolezza che l’economia italiana s’è fermata e che le previsioni, per i prossimi mesi, sono negative e comunque ben diverse da quelle ottimistiche diffuse dal governo per cercare di giustificare una manovra che promette sussidi e pensioni per una ventina di miliardi e sfora tutti i vincoli Ue. Carlo Robiglio, presidente della Piccola Industria di Confindustria, dà voce alle preoccupazioni di tutti: “Si rischia una Caporetto”, una disfatta dell’economia, dichiara a “Il Sole24Ore” (25 novembre). E spiega: “L’incertezza frena gli investimenti”, dunque da parte del governo è indispensabile avere “più dialogo” con le imprese. Un dialogo finora mancato. Con gravi danni economici.

Il “decreto dignità” voluto dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Di Maio sta facendo sentire i suoi effetti negativi, con un crollo delle opportunità di impiego e le conseguenze difficoltà per le imprese (“Nel 2017 assumevo 15 persone al mese, ora neanche una”, taglia corto Marco Bonometti,  industria d’eccellenza nell’automotive a Brescia,  presidente di Confindustria Lombardia). E la crescita dello spread, sempre legata all’inattendibilità della manovra di governo e alle polemiche con l’Europa, aggrava il quadro: denaro più caro per mutui e prestiti alle imprese, credito ridotto. Come si fa, dicono le imprese, a reagire ai rischi di una nuova recessione?

C’è appunto un malumore crescente, nel “partito del Pil”, nell’Italia produttiva. Le cronache recenti ne sono evidente testimonianza. L’assemblea di Assolombarda, il 18 ottobre scorso, con la relazione del presidente Carlo Bonomi, molto applaudita nei passaggi polemici verso un governo ostile alle imprese, alle infrastrutture, alla scienza, alla Ue. E le successive assemblee delle Confindustrie di Brescia, Lecco, Sondrio, Varese. Le oltre 30mila persone in piazza a Torino per dire “Sì Tav” e protestare contro i blocchi alle opere pubbliche. Le tensioni a Genova, contro le lentezze per la ricostruzione del Ponte Morandi e gli ostacoli alle opere pubbliche che possono riconnettere la Liguria ai grandi flussi economici europei e al dinamismo imprenditoriale del Nord Ovest. La presa di posizione, a Firenze, di Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio, che interpreta i sentimenti delle imprese locali e, sul “Corriere della Sera” di domenica 25 novembre, intima ai partiti di maggioranza: “Basta tatticismi, il partito del Pil chiede sviluppo”.

Come reagire? La protesta, sino alla mobilitazione di piazza di cui abbiamo detto. E la proposta. Investimenti, chiede Confindustria. Sostegni fiscali alle imprese che innovano ed esportano (il governo invece, li ha drasticamente tagliati). Nessun protezionismo. E appoggio, invece, alle riforme e al rilancio dell’Europa, valorizzandone ruoli e risorse.

Trova, in questo quadro, crescenti consensi la proposta lanciata da Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli, su “Il Sole24Ore” del 16 novembre scorso (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) per un grande “Piano Marshall” della Ue sulle infrastrutture. “Giovani e conoscenza per ritrovare il sogno europeo”, sostiene, sempre su “Il Sole24Ore”, Gianfelice Rocca, presidente della Techint e dell’Humanitas. E ancora: “Grandi investimenti in infrastrutture sono una premessa necessaria per ripartire, perché quello che serve è un’Europa dei ‘ponti’ e non dei ‘muri’”. E Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italmobiliare, famiglia storica del buon capitalismo italiano, concorda e aggiunge un’altra considerazione: “Europa ed euro restano elementi irrinunciabili” ma la Ue deve saper rispondere rapidamente anche all’emergere di gravi disagi sociali che minano la fiducia nelle istituzioni europee e dunque preparare “un grande progetto di welfare moderno e sostenibile che possa rispondere ai bisogni delle categorie più vulnerabili. Un piano per chi studia, assistendo il giovane nel suo percorso, per le madri che vogliono lavorare, per coloro che perdono l’impiego e devono essere formati e ricollocati, per gli anziani: l’Europa, oggi percepita come ‘vecchia’ e burocratica, per ripartire deve prendersi cura delle persone”.

Europa hi tech e solidale, dunque. “Occorre investire sulle reti, colmando il ritardo europeo”, commenta Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa San Paolo; “Gli europeisti veri sono convinti che vada rilanciato il processo d’integrazione”, sostiene Albero Bombassei, presidente Brembo. E sull’Europa come spazio cardine di competitività insistono Marco Bonometti, Omr, industria automotive, Giuseppe Pasini, acciaio, presidente degli industriali di Brescia, Alessandro Spada, impiantistica, vicepresidente di Assolombarda e un autorevole economista come Giorgio Barba Navaretti: “Europa casa comune con regole e progetti”.

Al diffuso disagio sociale, ai rischi d’impoverimento che toccano larga parte del ceto medio (non solo in Italia, ma in parecchie aree dell’Europa) si può rispondere risvegliando i fantasmi del nazionalismo, rispolverando l’intervento pubblico in economia (Alitalia, reti telefoniche) e promettendo nuovo e vecchio assistenzialismo (pensioni, redditi di cittadinanza, contributi a settori e categorie). Oppure impegnandosi per rimettere il moto l’economia, sulla stessa strada virtuosa già percorsa dalle imprese tra il 2015 e il 2017: ricerca, innovazione, investimenti. Il governo segue una cattiva strada. Le imprese si fanno giustamente sentire. E pretendono di essere ascoltate: creano lavoro, ricchezza, cambiamenti di qualità della vita, inclusione sociale, sono un motore prezioso per il futuro dell’Italia.

L’Europa sta al centro dell’attenzione delle imprese. Non perché sia esente da critiche. Tutt’altro. Ma perché riforme e rilancio sono condizioni indispensabili di sviluppo.

La maggioranza degli italiani, d’altronde, pur critica con Bruxelles, mostra di apprezzare l’euro. E non vuole correre avventure (come quelle sull’uscita dalla moneta unica su cui chiacchierano con irresponsabile disinvoltura e scarsa comprensione dei rischi parecchi esponenti della maggioranza Lega-5Stelle e dello stesso governo). L’euro, infatti, è apprezzato dal 57% degli italiani, conferma Eurobarometro, l’autorevole istituto statistico di Bruxelles. Ed è un consenso crescente: il 12% in più dell’anno precedente. Anche questa è una indicazione politica molto precisa: l’euro è oramai una realtà consolidata, i cittadini italiani ne percepiscono i vantaggio, le polemiche del governo con la Eu in uno scontro esasperato non fanno l’interesse né dei cittadini in generale né soprattutto di quella parte che lavora e produce. E vorrebbe continuare a farlo, senza dover scendere in piazza contro chi rovina l’economia.

Le imprese scendono in piazza. Quelle piccole, soprattutto. L’appuntamento è per il 13 dicembre, a Milano. Dove i dirigenti di Confartigianato hanno convocato i loro iscritti di Veneto, Lombardia, Emilia e delle altre regioni del Nord per una manifestazione di protesta contro i provvedimenti del Governo previsti nella legge di Bilancio: pochi sostegni alle imprese che innovano, scarsi investimenti in infrastrutture e grandi opere, finanziamenti per pensioni e redditi di cittadinanza di sapore assistenziale e di basso impatto sulla ripresa economica. “Protestiamo perché non vogliamo mollare il treno della crescita dopo tanti sacrifici fatti in questi anni”, commenta Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato di Varese. Come lui, tanti. A cominciare da Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato Veneto, che nei giorni scorsi aveva già mobilitato i suoi 60mila iscritti.

Altre iniziative imprenditoriali sono in calendario. Confindustria ha convocato il suo Consiglio Generale, allargato a una platea di imprenditori impegnati nelle strutture dell’organizzazione, per il 3 dicembre a Torino, per protestare contro il blocco dei cantieri di opere pubbliche. E il 14, a Verona, hanno deciso di incontrarsi tutte le forze produttive per una manifestazione a favore dell’Alta Velocità e di altre infrastrutture giudicate “essenziali”, come la pedemontana del Veneto. “Così il partito del Pil fa il terzo incomodo tra la Lega e i 5Stelle”, commenta Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” (26 novembre), registrando l’imbarazzo di Matteo Salvini, leader della Lega e vicepresidente del Consiglio, diviso tra le spinte del tradizionale elettorato leghista (produttivista, imprenditoriale, legato all’Europa), un nazionalismo che tra gli industriali non trova consensi e un’alleanza con i “grillini” considerati come “fumo negli occhi” da chi rivendica infrastrutture, investimenti e innovazione per lo sviluppo economico e sociale.

Da cosa nasce tanto disagio tra gli imprenditori, piccoli innanzitutto ma anche medi e grandi? Dalla consapevolezza che l’economia italiana s’è fermata e che le previsioni, per i prossimi mesi, sono negative e comunque ben diverse da quelle ottimistiche diffuse dal governo per cercare di giustificare una manovra che promette sussidi e pensioni per una ventina di miliardi e sfora tutti i vincoli Ue. Carlo Robiglio, presidente della Piccola Industria di Confindustria, dà voce alle preoccupazioni di tutti: “Si rischia una Caporetto”, una disfatta dell’economia, dichiara a “Il Sole24Ore” (25 novembre). E spiega: “L’incertezza frena gli investimenti”, dunque da parte del governo è indispensabile avere “più dialogo” con le imprese. Un dialogo finora mancato. Con gravi danni economici.

Il “decreto dignità” voluto dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Di Maio sta facendo sentire i suoi effetti negativi, con un crollo delle opportunità di impiego e le conseguenze difficoltà per le imprese (“Nel 2017 assumevo 15 persone al mese, ora neanche una”, taglia corto Marco Bonometti,  industria d’eccellenza nell’automotive a Brescia,  presidente di Confindustria Lombardia). E la crescita dello spread, sempre legata all’inattendibilità della manovra di governo e alle polemiche con l’Europa, aggrava il quadro: denaro più caro per mutui e prestiti alle imprese, credito ridotto. Come si fa, dicono le imprese, a reagire ai rischi di una nuova recessione?

C’è appunto un malumore crescente, nel “partito del Pil”, nell’Italia produttiva. Le cronache recenti ne sono evidente testimonianza. L’assemblea di Assolombarda, il 18 ottobre scorso, con la relazione del presidente Carlo Bonomi, molto applaudita nei passaggi polemici verso un governo ostile alle imprese, alle infrastrutture, alla scienza, alla Ue. E le successive assemblee delle Confindustrie di Brescia, Lecco, Sondrio, Varese. Le oltre 30mila persone in piazza a Torino per dire “Sì Tav” e protestare contro i blocchi alle opere pubbliche. Le tensioni a Genova, contro le lentezze per la ricostruzione del Ponte Morandi e gli ostacoli alle opere pubbliche che possono riconnettere la Liguria ai grandi flussi economici europei e al dinamismo imprenditoriale del Nord Ovest. La presa di posizione, a Firenze, di Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio, che interpreta i sentimenti delle imprese locali e, sul “Corriere della Sera” di domenica 25 novembre, intima ai partiti di maggioranza: “Basta tatticismi, il partito del Pil chiede sviluppo”.

Come reagire? La protesta, sino alla mobilitazione di piazza di cui abbiamo detto. E la proposta. Investimenti, chiede Confindustria. Sostegni fiscali alle imprese che innovano ed esportano (il governo invece, li ha drasticamente tagliati). Nessun protezionismo. E appoggio, invece, alle riforme e al rilancio dell’Europa, valorizzandone ruoli e risorse.

Trova, in questo quadro, crescenti consensi la proposta lanciata da Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli, su “Il Sole24Ore” del 16 novembre scorso (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) per un grande “Piano Marshall” della Ue sulle infrastrutture. “Giovani e conoscenza per ritrovare il sogno europeo”, sostiene, sempre su “Il Sole24Ore”, Gianfelice Rocca, presidente della Techint e dell’Humanitas. E ancora: “Grandi investimenti in infrastrutture sono una premessa necessaria per ripartire, perché quello che serve è un’Europa dei ‘ponti’ e non dei ‘muri’”. E Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italmobiliare, famiglia storica del buon capitalismo italiano, concorda e aggiunge un’altra considerazione: “Europa ed euro restano elementi irrinunciabili” ma la Ue deve saper rispondere rapidamente anche all’emergere di gravi disagi sociali che minano la fiducia nelle istituzioni europee e dunque preparare “un grande progetto di welfare moderno e sostenibile che possa rispondere ai bisogni delle categorie più vulnerabili. Un piano per chi studia, assistendo il giovane nel suo percorso, per le madri che vogliono lavorare, per coloro che perdono l’impiego e devono essere formati e ricollocati, per gli anziani: l’Europa, oggi percepita come ‘vecchia’ e burocratica, per ripartire deve prendersi cura delle persone”.

Europa hi tech e solidale, dunque. “Occorre investire sulle reti, colmando il ritardo europeo”, commenta Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa San Paolo; “Gli europeisti veri sono convinti che vada rilanciato il processo d’integrazione”, sostiene Albero Bombassei, presidente Brembo. E sull’Europa come spazio cardine di competitività insistono Marco Bonometti, Omr, industria automotive, Giuseppe Pasini, acciaio, presidente degli industriali di Brescia, Alessandro Spada, impiantistica, vicepresidente di Assolombarda e un autorevole economista come Giorgio Barba Navaretti: “Europa casa comune con regole e progetti”.

Al diffuso disagio sociale, ai rischi d’impoverimento che toccano larga parte del ceto medio (non solo in Italia, ma in parecchie aree dell’Europa) si può rispondere risvegliando i fantasmi del nazionalismo, rispolverando l’intervento pubblico in economia (Alitalia, reti telefoniche) e promettendo nuovo e vecchio assistenzialismo (pensioni, redditi di cittadinanza, contributi a settori e categorie). Oppure impegnandosi per rimettere il moto l’economia, sulla stessa strada virtuosa già percorsa dalle imprese tra il 2015 e il 2017: ricerca, innovazione, investimenti. Il governo segue una cattiva strada. Le imprese si fanno giustamente sentire. E pretendono di essere ascoltate: creano lavoro, ricchezza, cambiamenti di qualità della vita, inclusione sociale, sono un motore prezioso per il futuro dell’Italia.

L’Europa sta al centro dell’attenzione delle imprese. Non perché sia esente da critiche. Tutt’altro. Ma perché riforme e rilancio sono condizioni indispensabili di sviluppo.

La maggioranza degli italiani, d’altronde, pur critica con Bruxelles, mostra di apprezzare l’euro. E non vuole correre avventure (come quelle sull’uscita dalla moneta unica su cui chiacchierano con irresponsabile disinvoltura e scarsa comprensione dei rischi parecchi esponenti della maggioranza Lega-5Stelle e dello stesso governo). L’euro, infatti, è apprezzato dal 57% degli italiani, conferma Eurobarometro, l’autorevole istituto statistico di Bruxelles. Ed è un consenso crescente: il 12% in più dell’anno precedente. Anche questa è una indicazione politica molto precisa: l’euro è oramai una realtà consolidata, i cittadini italiani ne percepiscono i vantaggio, le polemiche del governo con la Eu in uno scontro esasperato non fanno l’interesse né dei cittadini in generale né soprattutto di quella parte che lavora e produce. E vorrebbe continuare a farlo, senza dover scendere in piazza contro chi rovina l’economia.

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