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Ecco perché la scienza ha bisogno della filosofia: un saggio di nove scienziati internazionali e un libro sulla “verità”

Fare leva sulla cultura. Sui pensieri critici. Sulla filosofia e sulla scienza. E dunque sui buoni libri, le ricerche libere, le conversazioni “per amore di verità”. E sulla riscoperta di una vera e propria civiltà del dialogo su cui si sono costruite le nostre democrazie liberali e dunque lo sviluppo, il benessere e la salute, la convivenza civile. E l’Europa che vale la pena difendere, riformare, rafforzare.

In tempi di passioni tristi e pensieri mediocri in cui, nel discorso pubblico, prevalgono retorica, propaganda, fake news, subculture ostili alla scienza e al libero confronto, bullismi politici e violenze verbali (che sconfinano più d’una volta in violenze fisiche) c’è per fortuna una ripresa d’impegno sui temi del dialogo, una difesa dei valori civili.

Scienza e qualità dello sviluppo economico sono tra i temi centrali. Un contributo importante arriva proprio in questi giorni da un saggio intitolato “Why science needs philosophy” e pubblicato da Pnas, e cioè Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale. Tra le firme, quelle di due grandi scienziati italiani, Alberto Mantovani, immunologo di fama internazionale e direttore scientifico dell’Humanitas di Milano e Carlo Rovelli, fisico attualmente all’università di Marsiglia, uno dei cento migliori “global thinkers” secondo la rivista Foreign Policy, e poi di Lucie Laplane (filosofa alla Sorbona a Parigi), Paolo Mantovani (professore di cultura umanistica all’università di Roehampton  a Londra), Ralph Adolphs (Humanities and Social Sciences al Caltech a Pasadena, California), Hasok Chang (storia e filosofia della scienza a Cambridge), Margaret McFall-Ngai (Pacific Biosciences Research Center all’università delle Hawai), Elliot Sober (filosofo all’università del Wisconsin) e Thomas Pradeu (Storia e filosofia della Scienza alla Sorbona). Personalità delle scienze e della cultura umanistica, donne e uomini di valore internazionale, impegnati a ragionare con conoscenza e competenza sulle leve fondamentali del pensiero contemporaneo. Dei veri intellettuali: un termine da rivalutare, ricordando la lezione di Tullio De Mauro: “E’ parola bella, è progresso culturale, è possibilità di affrontare più consapevoli in mondo”. Attenti a costruire e innovare, nel corso del tempo, una “cultura politecnica” di cui proprio l’Italia ha dato indicazioni esemplari (se ne comincia a discutere molto, proprio in queste ultime settimane, per tutte le iniziative e le manifestazioni per ricordare il Cinquecentenario di Leonardo da Vinci). E su cui non solo la nostra cultura ma anche le nostre imprese migliori continuano a dare straordinarie testimonianze, tra memoria e futuro, competenze con radici storiche e innovazione hi tech.

Del saggio su Pnas ha scritto domenica 24 marzo, sulla prima pagina del Corriere della Sera, Alberto Mantovani: “In un momento in cui il divario fra le due culture rischia di ampliarsi ulteriormente, un gruppo di filosofi e di scienziati pubblicano insieme un lavoro su una rivista scientifica autorevole in cui sostengono, argomentandolo, come la scienza abbia bisogno della filosofia. Un paradosso di questi tempi, soprattutto in un Paese come il nostro, purtroppo scientificamente analfabeta? Non lo è affatto, così come non è un caso che, come illustrazione dell’articolo, gli autori abbiano scelto la ‘Scuola di Atene’ di Raffaello: un tributo alla cultura classica ed umanistica del nostro Paese”.

Un grande quadro italiano. E, come exergo, la citazione di una lettera di Albert Einstein a Robert Thornton del 1944: “A knowledge of the historic and philosophical background gives that kind of independence from prejudices of his generation from which most scientists are suffering. This independence created by philosophical insight is—in my opinion—the mark of distinction between a mere artisan or specialist and a real seeker after truth”. La necessità della ricerca, l’indipendenza dai pregiudizi, il valore della verità (ci torneremo nelle prossime righe, a proposito di un nuovo libro, “La verità al potere” di Franca d’Agostini e Maurizio Ferrera, appena pubblicato da Enaudi).

Ma torniamo a Pnas. Sostiene Mantovani: “Scienza e filosofia hanno radici storiche antiche comuni. Non dimentichiamo, infatti, che nell’antica Grecia Aristotele è stato un grande scienziato oltre che un grande filosofo. E nell’800 la grande scienza inglese e la sua rinascita a Cambridge, uno dei luoghi nel mondo con la più alta intensità di Premi Nobel, nascono dalla cosiddetta Philosophical Society. In passato, anche in quello più recente, la contaminazione tra filosofia e scienza ha portato avanzamenti in campo scientifico. Ha radici filosofiche, ad esempio, in immunologia l’ultima ipotesi di paradigma generale del funzionamento del sistema immunitario: riconoscere la discontinuità, con il mondo microbico e nel danno ai tessuti. Ancora, nel settore delle staminali la definizione delle varie classi di cellule effettuata da Hans Clevers. Anche se, probabilmente, il settore delle scienze della vita in cui c’è stato un impatto più diretto della filosofia è quello delle scienze cognitive, dove le riflessioni di alcuni filosofi come Jerry Fodor sulla modularità della mente hanno anticipato e guidato la ricerca di tipo psiconeurologico sui meccanismi cognitivi”.

Competenze a confronto. Ma anche valori forti, da difendere, riaffermare e rilanciare, guardando molto pure allo sviluppo sostenibile, all’ambiente, al futuro delle nuove generazioni. I valori del pensiero critico.

Sostiene giustamente Mantovani: “Al di là dei contributi specifici, tuttavia, c’è un valore fondamentale e fondante della riflessione filosofica che è alla base della ricerca scientifica e medica: è la formazione al pensiero critico, che costituisce il vaccino di cui abbiamo bisogno per poterci orientare correttamente nei confronti delle cosiddette fake news. È questa la cultura umanistica di cui la scienza ha bisogno, e da cui non può prescindere. Difenderla non significa arroccarsi su posizioni obsolete e acritiche discutendo, ad esempio, dell’insegnamento di materie scientifiche in inglese. Significa, piuttosto, promuovere il pensiero critico che riflette sulle frontiere della scienza, sulle sfide anche di tipo etico che ci attendono. Penso ai recenti casi di modificazione genetica di embrioni umani che hanno portato alla nascita, in Cina, di due gemelli il cui Dna è stato modificato per renderli resistenti al virus dell’Aids, senza uno scopo medico che lo giustificasse”.

Per concludere: “L’incontro e il merge delle due culture è ciò che gli autori dell’articolo su Pnas si augurano, per il progresso della scienza e del pensiero. La filosofia che conosce bene la scienza e che si confronta con il suo avanzamento può essere dunque — magari anche attraverso la frequentazione di centri di ricerca, come proposto nell’articolo — uno strumento importante per costruire ponti al servizio della società”.

Ponti tra pensieri e punti di vista diversi, tra culture. Con un grande bisogno comune. Di tornare a parlare di “verità”, in opposizione alla propaganda, alla retorica della disinformazione, all’indifferenza tra le opinioni.

Pensiero critico e ricerca della verità convivono nelle pagine del bel libro di Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera di cui abbiamo detto all’inizio di questo blog. “Ci servono nuovi diritti e una nuova idea di politica democratica, per tutelare il nostro bisogno di verità e fermare la circolazione incontrollata di insensatezze e falsità dannose per tutti”, scrivono gli autori, ricordando che la verità “non è una nozione dogmatica, generatrice di conflitti irriducibili” (generati invece “dalla tendenza diffusa a ritenere vero quello che non lo è affatto”) ma il risultato di una ricerca in una “società aperta” che riconosca “i diritti aletici” (dal greco a-letheia, cioè “non nascondimento”), tra cui quelli del ricevere un’educazione “tale da metterci in grado di discriminare, per quanto è possibile, il vero dal falso” e quello di “disporre di un sistema scientifico e in generale di autorità epistemiche che conferiscano credibilità a individui, tesi e teorie in modo aletico e cioè orientato alla verità, prima che a interessi esclusivamente economici o politici”.  Una sfida di verità, appunto, in un sistema che ama pregiudizi, discriminazioni, “pensieri magici” indifferenti alla scienza e ai fatti, propaganda fondata sulla paura e il disagio. Una sfida anche per “il pensiero liberale” che deve saper “attingere alle capacità e alle arti critiche che ha storicamente sviluppato”.

Fare leva sulla cultura. Sui pensieri critici. Sulla filosofia e sulla scienza. E dunque sui buoni libri, le ricerche libere, le conversazioni “per amore di verità”. E sulla riscoperta di una vera e propria civiltà del dialogo su cui si sono costruite le nostre democrazie liberali e dunque lo sviluppo, il benessere e la salute, la convivenza civile. E l’Europa che vale la pena difendere, riformare, rafforzare.

In tempi di passioni tristi e pensieri mediocri in cui, nel discorso pubblico, prevalgono retorica, propaganda, fake news, subculture ostili alla scienza e al libero confronto, bullismi politici e violenze verbali (che sconfinano più d’una volta in violenze fisiche) c’è per fortuna una ripresa d’impegno sui temi del dialogo, una difesa dei valori civili.

Scienza e qualità dello sviluppo economico sono tra i temi centrali. Un contributo importante arriva proprio in questi giorni da un saggio intitolato “Why science needs philosophy” e pubblicato da Pnas, e cioè Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale. Tra le firme, quelle di due grandi scienziati italiani, Alberto Mantovani, immunologo di fama internazionale e direttore scientifico dell’Humanitas di Milano e Carlo Rovelli, fisico attualmente all’università di Marsiglia, uno dei cento migliori “global thinkers” secondo la rivista Foreign Policy, e poi di Lucie Laplane (filosofa alla Sorbona a Parigi), Paolo Mantovani (professore di cultura umanistica all’università di Roehampton  a Londra), Ralph Adolphs (Humanities and Social Sciences al Caltech a Pasadena, California), Hasok Chang (storia e filosofia della scienza a Cambridge), Margaret McFall-Ngai (Pacific Biosciences Research Center all’università delle Hawai), Elliot Sober (filosofo all’università del Wisconsin) e Thomas Pradeu (Storia e filosofia della Scienza alla Sorbona). Personalità delle scienze e della cultura umanistica, donne e uomini di valore internazionale, impegnati a ragionare con conoscenza e competenza sulle leve fondamentali del pensiero contemporaneo. Dei veri intellettuali: un termine da rivalutare, ricordando la lezione di Tullio De Mauro: “E’ parola bella, è progresso culturale, è possibilità di affrontare più consapevoli in mondo”. Attenti a costruire e innovare, nel corso del tempo, una “cultura politecnica” di cui proprio l’Italia ha dato indicazioni esemplari (se ne comincia a discutere molto, proprio in queste ultime settimane, per tutte le iniziative e le manifestazioni per ricordare il Cinquecentenario di Leonardo da Vinci). E su cui non solo la nostra cultura ma anche le nostre imprese migliori continuano a dare straordinarie testimonianze, tra memoria e futuro, competenze con radici storiche e innovazione hi tech.

Del saggio su Pnas ha scritto domenica 24 marzo, sulla prima pagina del Corriere della Sera, Alberto Mantovani: “In un momento in cui il divario fra le due culture rischia di ampliarsi ulteriormente, un gruppo di filosofi e di scienziati pubblicano insieme un lavoro su una rivista scientifica autorevole in cui sostengono, argomentandolo, come la scienza abbia bisogno della filosofia. Un paradosso di questi tempi, soprattutto in un Paese come il nostro, purtroppo scientificamente analfabeta? Non lo è affatto, così come non è un caso che, come illustrazione dell’articolo, gli autori abbiano scelto la ‘Scuola di Atene’ di Raffaello: un tributo alla cultura classica ed umanistica del nostro Paese”.

Un grande quadro italiano. E, come exergo, la citazione di una lettera di Albert Einstein a Robert Thornton del 1944: “A knowledge of the historic and philosophical background gives that kind of independence from prejudices of his generation from which most scientists are suffering. This independence created by philosophical insight is—in my opinion—the mark of distinction between a mere artisan or specialist and a real seeker after truth”. La necessità della ricerca, l’indipendenza dai pregiudizi, il valore della verità (ci torneremo nelle prossime righe, a proposito di un nuovo libro, “La verità al potere” di Franca d’Agostini e Maurizio Ferrera, appena pubblicato da Enaudi).

Ma torniamo a Pnas. Sostiene Mantovani: “Scienza e filosofia hanno radici storiche antiche comuni. Non dimentichiamo, infatti, che nell’antica Grecia Aristotele è stato un grande scienziato oltre che un grande filosofo. E nell’800 la grande scienza inglese e la sua rinascita a Cambridge, uno dei luoghi nel mondo con la più alta intensità di Premi Nobel, nascono dalla cosiddetta Philosophical Society. In passato, anche in quello più recente, la contaminazione tra filosofia e scienza ha portato avanzamenti in campo scientifico. Ha radici filosofiche, ad esempio, in immunologia l’ultima ipotesi di paradigma generale del funzionamento del sistema immunitario: riconoscere la discontinuità, con il mondo microbico e nel danno ai tessuti. Ancora, nel settore delle staminali la definizione delle varie classi di cellule effettuata da Hans Clevers. Anche se, probabilmente, il settore delle scienze della vita in cui c’è stato un impatto più diretto della filosofia è quello delle scienze cognitive, dove le riflessioni di alcuni filosofi come Jerry Fodor sulla modularità della mente hanno anticipato e guidato la ricerca di tipo psiconeurologico sui meccanismi cognitivi”.

Competenze a confronto. Ma anche valori forti, da difendere, riaffermare e rilanciare, guardando molto pure allo sviluppo sostenibile, all’ambiente, al futuro delle nuove generazioni. I valori del pensiero critico.

Sostiene giustamente Mantovani: “Al di là dei contributi specifici, tuttavia, c’è un valore fondamentale e fondante della riflessione filosofica che è alla base della ricerca scientifica e medica: è la formazione al pensiero critico, che costituisce il vaccino di cui abbiamo bisogno per poterci orientare correttamente nei confronti delle cosiddette fake news. È questa la cultura umanistica di cui la scienza ha bisogno, e da cui non può prescindere. Difenderla non significa arroccarsi su posizioni obsolete e acritiche discutendo, ad esempio, dell’insegnamento di materie scientifiche in inglese. Significa, piuttosto, promuovere il pensiero critico che riflette sulle frontiere della scienza, sulle sfide anche di tipo etico che ci attendono. Penso ai recenti casi di modificazione genetica di embrioni umani che hanno portato alla nascita, in Cina, di due gemelli il cui Dna è stato modificato per renderli resistenti al virus dell’Aids, senza uno scopo medico che lo giustificasse”.

Per concludere: “L’incontro e il merge delle due culture è ciò che gli autori dell’articolo su Pnas si augurano, per il progresso della scienza e del pensiero. La filosofia che conosce bene la scienza e che si confronta con il suo avanzamento può essere dunque — magari anche attraverso la frequentazione di centri di ricerca, come proposto nell’articolo — uno strumento importante per costruire ponti al servizio della società”.

Ponti tra pensieri e punti di vista diversi, tra culture. Con un grande bisogno comune. Di tornare a parlare di “verità”, in opposizione alla propaganda, alla retorica della disinformazione, all’indifferenza tra le opinioni.

Pensiero critico e ricerca della verità convivono nelle pagine del bel libro di Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera di cui abbiamo detto all’inizio di questo blog. “Ci servono nuovi diritti e una nuova idea di politica democratica, per tutelare il nostro bisogno di verità e fermare la circolazione incontrollata di insensatezze e falsità dannose per tutti”, scrivono gli autori, ricordando che la verità “non è una nozione dogmatica, generatrice di conflitti irriducibili” (generati invece “dalla tendenza diffusa a ritenere vero quello che non lo è affatto”) ma il risultato di una ricerca in una “società aperta” che riconosca “i diritti aletici” (dal greco a-letheia, cioè “non nascondimento”), tra cui quelli del ricevere un’educazione “tale da metterci in grado di discriminare, per quanto è possibile, il vero dal falso” e quello di “disporre di un sistema scientifico e in generale di autorità epistemiche che conferiscano credibilità a individui, tesi e teorie in modo aletico e cioè orientato alla verità, prima che a interessi esclusivamente economici o politici”.  Una sfida di verità, appunto, in un sistema che ama pregiudizi, discriminazioni, “pensieri magici” indifferenti alla scienza e ai fatti, propaganda fondata sulla paura e il disagio. Una sfida anche per “il pensiero liberale” che deve saper “attingere alle capacità e alle arti critiche che ha storicamente sviluppato”.

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