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Quale differenza tra imprenditori e speculatori? Le sfide di Papa Francesco e la rilettura di Zola

Economia per fare soldi, “scienza triste” tutta costruita sulla dinamica dei “profitti”, sempre e a ogni costo. Ed economia, invece, come motore dell’attività, della creatività, dello sviluppo. Il denaro. E l’impresa, luogo che crea ricchezza, certo, ma anche lavoro e, in molti casi, coesione sociale. Economia d’impresa, insomma, come comunità, secondo la lezione, tutta italiana, dei suoi migliori imprenditori, dall’Olivetti di Camillo e Adriano alla Pirelli. La discussione economica gira da tempo attorno a queste diverse concezioni. Non antinomie, anche se spesso vissute come tali. Ma polarità animate da spirito e da valori diversi. Su cui riscoprire e costruire originali convergenze.

L’ultima sfida viene da un recente discorso di Papa Francesco, che ha fatto molto dibattere economisti, personalità della cultura, imprenditori. Economia, appunto. Ed etica. Dimensioni dell’attività umana in profonda relazione.

Parlando a Genova, a Cornigliano (27 maggio), davanti ai padiglioni d’una acciaieria oramai in gran parte non più attiva, Papa Bergoglio è stato molto netto: “Una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù chiama mercenario. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli creano alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e mezzi per il suo profitto”. Sono parole forti. Ma non improvvise né inusuali.

Nella sua “Evangelii gaudium” (la prima esortazione apostolica del pontificato, nel novembre 2013), il Papa aveva già indicato quattro figure negative della globalizzazione economica: la negazione dell’umano attraverso l’affermazione dell’idolo del denaro; il consumismo sfrenato che riduce l’essere e la sua relazione sociale alla figura di produttore e consumatore; l’economia dell’esclusione che riduce la figura umana a una funzione, scartabile quando non necessaria; l’ideologia dell’assoluta autonomia dei mercati. “Ribadire quei temi e riprendere l’etica del lavoro significa per Papa Francesco tentare una risposta a questi mali”, ha commentato Gianfranco Brunelli (Il Sole24Ore 28 maggio).

Il Papa è uomo di sofisticata cultura e di solida esperienza sociale, vissuta anche in territori di controverso andamento economico. Sa cogliere le sfide economiche e morali dei tempi difficili che tutti viviamo. E infatti, alla denuncia contro “lo speculatore” accompagna riflessioni acute sulla responsabilità dell’imprenditore, consapevole che “non c’è buona economia senza buoni imprenditori”. Cita Luigi Einaudi, pensatore liberale, banchiere e politico di gran livello: “Milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante ciò che si fa per ostacolarli. Costituiscono una molla di progresso potente. Ci sono imprenditori che investono ingenti capitali ottenendo utili più modesti di quelli che potrebbero ottenere con la speculazione”. E insiste sulla “dignità del lavoro ben fatto”. Cita l’articolo 1 della Costituzione italiana (il fondamento della Repubblica appunto sul lavoro). E ribadisce che “la dignità del lavoro viene prima del reddito” (insistenza d’attualità, contro le ipotesi del reddito minimo garantito a prescindere dal lavoro). Temi sociali e morali, dunque. Su cui, proprio in tempi di crisi e radicali modifiche degli assetti economici e sociali, vale la pena fermarsi a riflettere. Studiare. Cercare risposte politiche e culturali non banali né facili.

Leggere, aiuta. I classici della letteratura. E le riflessioni contemporanei dei buoni economisti. Uno scrittore come Émile Zola, per esempio. “Il denaro, il letame da cui nasceva l’umanità di domani”. E “avvelenatore e distruttore, fermento di ogni vegetazione sociale”. Sono le ultime pagine de “Il denaro” di Zola, appunto, appena ripubblicato da Sellerio: un poderoso romanzo di 125 anni fa che ha una straordinaria forza d’attualità. Perché il suo protagonista, Aristide Saccard, speculatore finanziario, è un abile e cinico avventuriero ma anche un visionario imprenditore. E le tensioni per l’accumulazione di ricchezza si legano, ieri come oggi, a una controversa ma potente passione di costruire mondi nuovi. Anime torbide. E occhi avidi di futuro. Quel denaro è catena. E motore. Zola ne sa mettere appunto in scena tutte le ambivalenze, descrivendo con grande realismo gli ambienti finanziari della Parigi del Secondo Impero, seconda metà dell’Ottocento, sotto il dominio di Napoleone III, “il piccolo”. Affari, speculazioni, argent, denaro appunto. Da accumulare e consumare, con vitalismo esagerato. L’idea di Saccard è di creare una Banque Universelle. E di lanciarsi nel finanziamento delle ferrovie collegate all’appena costruito Canale di Suez. L’odore dei soldi attira partners spregiudicati. E anima un mondo che ruota attorno a Palazzo Brogniart, la Borsa parigina, affollato da banchieri, parlamentari corrotti, giornalisti di pochi scrupoli, donne ambiziose in cerca d’amanti ricchi, rivoluzionari da salotto. Tutto un giro che si ritroverà, con caratteristiche analoghe, nella Wall Street d’un secolo dopo e in altre città in cui il “fare soldi per mezzo di soldi” corromperà mercati e anime. Finanza rapace. Nel racconto di una vera e propria giungla morale, Zola è maestro. E come i veri scrittori, si rivela assolutamente contemporaneo.

Rileggere Zola è dunque utile in tempi di crescente riflessione critica sugli assetti economici, sui rapporti di potere tra finanza e politica, sulle ideologie ma anche sulle regole e sulle pratiche dell’economia di mercato. C’è un’abbondante letteratura sul tema. Tra cui segnalare “Ripensare il capitalismo”, un’antologia di saggi curata per Laterza da Mariana Mazzucato (insegna all’University College di Londra) e da Michael Jacobs, economista, consulente dell’ex primo ministro inglese Gordon Brown. L’idea di fondo è che “un sistema economico più innovativo, sostenibile e inclusivo è possibile, ma richiede cambiamenti radicali nella nostra maniera di interpretare il capitalismo e di concepire le politiche pubbliche”. Il mercato e le culture della competizione pretendono regole chiare, trasparenza nei rapporti economici, più giusti equilibri sociali. Un’etica degli affari. Buone leggi. E migliori rapporti tra “democrazia e capitalismo” (ne scrivono efficacemente Joseph Stiglitz, economista premio Nobel e Colin Crouch, il sofisticato analista critico della “post democrazia”). Un ruolo cardine ce l’ha l’innovazione. Che chiede investimenti pubblici forti in ricerca e formazione del capitale umano, ma anche un’idea lunga del tempo, più ambiziosa e generosa delle passioni “short terms” della speculazione finanziaria e meno schiava della “dittatura” dei profitti immediati.

Innovazione, persone, tempo. Impresa. Lavoro. Rieccoci ai temi di partenza. Temi non “economicistici”. Ma, appunto, sociali. E morali.

Economia per fare soldi, “scienza triste” tutta costruita sulla dinamica dei “profitti”, sempre e a ogni costo. Ed economia, invece, come motore dell’attività, della creatività, dello sviluppo. Il denaro. E l’impresa, luogo che crea ricchezza, certo, ma anche lavoro e, in molti casi, coesione sociale. Economia d’impresa, insomma, come comunità, secondo la lezione, tutta italiana, dei suoi migliori imprenditori, dall’Olivetti di Camillo e Adriano alla Pirelli. La discussione economica gira da tempo attorno a queste diverse concezioni. Non antinomie, anche se spesso vissute come tali. Ma polarità animate da spirito e da valori diversi. Su cui riscoprire e costruire originali convergenze.

L’ultima sfida viene da un recente discorso di Papa Francesco, che ha fatto molto dibattere economisti, personalità della cultura, imprenditori. Economia, appunto. Ed etica. Dimensioni dell’attività umana in profonda relazione.

Parlando a Genova, a Cornigliano (27 maggio), davanti ai padiglioni d’una acciaieria oramai in gran parte non più attiva, Papa Bergoglio è stato molto netto: “Una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù chiama mercenario. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli creano alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, mangia persone e mezzi per il suo profitto”. Sono parole forti. Ma non improvvise né inusuali.

Nella sua “Evangelii gaudium” (la prima esortazione apostolica del pontificato, nel novembre 2013), il Papa aveva già indicato quattro figure negative della globalizzazione economica: la negazione dell’umano attraverso l’affermazione dell’idolo del denaro; il consumismo sfrenato che riduce l’essere e la sua relazione sociale alla figura di produttore e consumatore; l’economia dell’esclusione che riduce la figura umana a una funzione, scartabile quando non necessaria; l’ideologia dell’assoluta autonomia dei mercati. “Ribadire quei temi e riprendere l’etica del lavoro significa per Papa Francesco tentare una risposta a questi mali”, ha commentato Gianfranco Brunelli (Il Sole24Ore 28 maggio).

Il Papa è uomo di sofisticata cultura e di solida esperienza sociale, vissuta anche in territori di controverso andamento economico. Sa cogliere le sfide economiche e morali dei tempi difficili che tutti viviamo. E infatti, alla denuncia contro “lo speculatore” accompagna riflessioni acute sulla responsabilità dell’imprenditore, consapevole che “non c’è buona economia senza buoni imprenditori”. Cita Luigi Einaudi, pensatore liberale, banchiere e politico di gran livello: “Milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante ciò che si fa per ostacolarli. Costituiscono una molla di progresso potente. Ci sono imprenditori che investono ingenti capitali ottenendo utili più modesti di quelli che potrebbero ottenere con la speculazione”. E insiste sulla “dignità del lavoro ben fatto”. Cita l’articolo 1 della Costituzione italiana (il fondamento della Repubblica appunto sul lavoro). E ribadisce che “la dignità del lavoro viene prima del reddito” (insistenza d’attualità, contro le ipotesi del reddito minimo garantito a prescindere dal lavoro). Temi sociali e morali, dunque. Su cui, proprio in tempi di crisi e radicali modifiche degli assetti economici e sociali, vale la pena fermarsi a riflettere. Studiare. Cercare risposte politiche e culturali non banali né facili.

Leggere, aiuta. I classici della letteratura. E le riflessioni contemporanei dei buoni economisti. Uno scrittore come Émile Zola, per esempio. “Il denaro, il letame da cui nasceva l’umanità di domani”. E “avvelenatore e distruttore, fermento di ogni vegetazione sociale”. Sono le ultime pagine de “Il denaro” di Zola, appunto, appena ripubblicato da Sellerio: un poderoso romanzo di 125 anni fa che ha una straordinaria forza d’attualità. Perché il suo protagonista, Aristide Saccard, speculatore finanziario, è un abile e cinico avventuriero ma anche un visionario imprenditore. E le tensioni per l’accumulazione di ricchezza si legano, ieri come oggi, a una controversa ma potente passione di costruire mondi nuovi. Anime torbide. E occhi avidi di futuro. Quel denaro è catena. E motore. Zola ne sa mettere appunto in scena tutte le ambivalenze, descrivendo con grande realismo gli ambienti finanziari della Parigi del Secondo Impero, seconda metà dell’Ottocento, sotto il dominio di Napoleone III, “il piccolo”. Affari, speculazioni, argent, denaro appunto. Da accumulare e consumare, con vitalismo esagerato. L’idea di Saccard è di creare una Banque Universelle. E di lanciarsi nel finanziamento delle ferrovie collegate all’appena costruito Canale di Suez. L’odore dei soldi attira partners spregiudicati. E anima un mondo che ruota attorno a Palazzo Brogniart, la Borsa parigina, affollato da banchieri, parlamentari corrotti, giornalisti di pochi scrupoli, donne ambiziose in cerca d’amanti ricchi, rivoluzionari da salotto. Tutto un giro che si ritroverà, con caratteristiche analoghe, nella Wall Street d’un secolo dopo e in altre città in cui il “fare soldi per mezzo di soldi” corromperà mercati e anime. Finanza rapace. Nel racconto di una vera e propria giungla morale, Zola è maestro. E come i veri scrittori, si rivela assolutamente contemporaneo.

Rileggere Zola è dunque utile in tempi di crescente riflessione critica sugli assetti economici, sui rapporti di potere tra finanza e politica, sulle ideologie ma anche sulle regole e sulle pratiche dell’economia di mercato. C’è un’abbondante letteratura sul tema. Tra cui segnalare “Ripensare il capitalismo”, un’antologia di saggi curata per Laterza da Mariana Mazzucato (insegna all’University College di Londra) e da Michael Jacobs, economista, consulente dell’ex primo ministro inglese Gordon Brown. L’idea di fondo è che “un sistema economico più innovativo, sostenibile e inclusivo è possibile, ma richiede cambiamenti radicali nella nostra maniera di interpretare il capitalismo e di concepire le politiche pubbliche”. Il mercato e le culture della competizione pretendono regole chiare, trasparenza nei rapporti economici, più giusti equilibri sociali. Un’etica degli affari. Buone leggi. E migliori rapporti tra “democrazia e capitalismo” (ne scrivono efficacemente Joseph Stiglitz, economista premio Nobel e Colin Crouch, il sofisticato analista critico della “post democrazia”). Un ruolo cardine ce l’ha l’innovazione. Che chiede investimenti pubblici forti in ricerca e formazione del capitale umano, ma anche un’idea lunga del tempo, più ambiziosa e generosa delle passioni “short terms” della speculazione finanziaria e meno schiava della “dittatura” dei profitti immediati.

Innovazione, persone, tempo. Impresa. Lavoro. Rieccoci ai temi di partenza. Temi non “economicistici”. Ma, appunto, sociali. E morali.

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