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Imparare dagli altri e dalla storia

Il successo di un’impresa si costruisce anche guardando ciò che fanno le altre aziende. E anche gettando un occhio – avveduto -, al passato. Formula strana e indefinibile, quella del buon imprenditore è fatta di calcolo e azzardo, concretezza e capacità di sognare e di far sognare. Così è anche la buona cultura d’impresa, che dell’imprenditore e della sua squadra ne è emanazione diretta.

Di libri di storie d’impresa ne sono piene ormai molte librerie. E molti di questi sono da leggere e da rileggere. Ma certamente Business Adventures. Twelve Classic Tales from the World of Wall Street di John Brooks, pubblicato la prima volta nel 1959, poi ristampato negli USA e adesso tradotto in Italia come “Business Adventures. Otto storie classiche dal mondo dell’economia”, è uno di quei volumi che servono molto più di altri a costruire una cultura d’impresa utile per tutti gli imprenditori.

Scritto da un giornalista che faceva per davvero il suo mestiere, il libro è la raccolta di una serie di reportages pubblicati negli anni Sessanta sul “The New Yorker” e racconta le peripezie – non sempre con un finale positivo -, di alcuni dei grandi capitani d’industria d’allora e delle loro aziende.

Si parte con la vicenda della Xerox e dalla sua fotocopiatrice che rivoluzionò il mondo dell’ufficio, e si passa subito dopo con la storia di un fallimento: quello della Ford Edsel. La terza storia (perché sempre di storie si tratta, cioè di vicende umane raccontate in maniera disincantata), è quella del cosiddetto “piccolo crollo” di Wall Street del 1962 spiegato con minuzia di particolari e chiarezza di linguaggio attraverso l’esperienza di chi l’ha vissuto. Brooks passa poi a illustrare le vicende dell’imposta federale sul reddito e dell’atteggiamento nei suoi confronti da parte della classe degli imprenditori e dei grandi manager dell’epoca.  Il libro, poi, torna direttamente alle vicende di altre aziende USA: la Texas Gulf Sulphur per parlare di insider trading, poi la General Electric per approfondire il tema dei danni provocati dall’incomunicabilità aziendale, poi ancora la Piggly Wiggly Stores per raccontare cosa accade quando si verificano perversi giochi di borsa. Chiude la serie di storie, la vicenda dei rapporti fra dollari, sterline e banche centrali sempre negli anni ’60.

Leggere Brooks è cosa piacevole ma anche istruttiva. Piacevole perché il testo si legge davvero come un avvincente romanzo (senza, come fa notare nella sua bella Prefazione Federico Rampini, decaloghi e ricette miracolose per diventare “buoni” manager e imprenditori), ma soprattutto istruttivo per un fatto fondamentale che Bill Gates, ricordato da Rampini, ebbe a scrivere proprio su questo libro: “Da allora sono cambiate parecchie cose: ma non quelle fondamentali”.

Business Adventures. Otto storie classiche dal mondo dell’economia

John Brooks

Einaudi, 2016

Il successo di un’impresa si costruisce anche guardando ciò che fanno le altre aziende. E anche gettando un occhio – avveduto -, al passato. Formula strana e indefinibile, quella del buon imprenditore è fatta di calcolo e azzardo, concretezza e capacità di sognare e di far sognare. Così è anche la buona cultura d’impresa, che dell’imprenditore e della sua squadra ne è emanazione diretta.

Di libri di storie d’impresa ne sono piene ormai molte librerie. E molti di questi sono da leggere e da rileggere. Ma certamente Business Adventures. Twelve Classic Tales from the World of Wall Street di John Brooks, pubblicato la prima volta nel 1959, poi ristampato negli USA e adesso tradotto in Italia come “Business Adventures. Otto storie classiche dal mondo dell’economia”, è uno di quei volumi che servono molto più di altri a costruire una cultura d’impresa utile per tutti gli imprenditori.

Scritto da un giornalista che faceva per davvero il suo mestiere, il libro è la raccolta di una serie di reportages pubblicati negli anni Sessanta sul “The New Yorker” e racconta le peripezie – non sempre con un finale positivo -, di alcuni dei grandi capitani d’industria d’allora e delle loro aziende.

Si parte con la vicenda della Xerox e dalla sua fotocopiatrice che rivoluzionò il mondo dell’ufficio, e si passa subito dopo con la storia di un fallimento: quello della Ford Edsel. La terza storia (perché sempre di storie si tratta, cioè di vicende umane raccontate in maniera disincantata), è quella del cosiddetto “piccolo crollo” di Wall Street del 1962 spiegato con minuzia di particolari e chiarezza di linguaggio attraverso l’esperienza di chi l’ha vissuto. Brooks passa poi a illustrare le vicende dell’imposta federale sul reddito e dell’atteggiamento nei suoi confronti da parte della classe degli imprenditori e dei grandi manager dell’epoca.  Il libro, poi, torna direttamente alle vicende di altre aziende USA: la Texas Gulf Sulphur per parlare di insider trading, poi la General Electric per approfondire il tema dei danni provocati dall’incomunicabilità aziendale, poi ancora la Piggly Wiggly Stores per raccontare cosa accade quando si verificano perversi giochi di borsa. Chiude la serie di storie, la vicenda dei rapporti fra dollari, sterline e banche centrali sempre negli anni ’60.

Leggere Brooks è cosa piacevole ma anche istruttiva. Piacevole perché il testo si legge davvero come un avvincente romanzo (senza, come fa notare nella sua bella Prefazione Federico Rampini, decaloghi e ricette miracolose per diventare “buoni” manager e imprenditori), ma soprattutto istruttivo per un fatto fondamentale che Bill Gates, ricordato da Rampini, ebbe a scrivere proprio su questo libro: “Da allora sono cambiate parecchie cose: ma non quelle fondamentali”.

Business Adventures. Otto storie classiche dal mondo dell’economia

John Brooks

Einaudi, 2016

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