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Psicologia aziendale e responsabilità aziendale

Un’impresa è fatta anche di psicologia. Non si tratta solo della capacità – che comunque l’imprenditore deve avere -, di coinvolgere i collaboratori, di avere quell’empatia che rende i compiti gravosi più facilmente affrontabili, di guardare oltre i numeri di bilancio per comprendere i significati più profondi della produzione.  Tutto questo ci deve essere, ma accanto occorre anche un’attenzione ai risvolti sociali dell’azione d’impresa, aspetti  che non sempre sono di immediata comprensione. Anche quando l’azienda fa della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), uno dei suoi strumenti principali per trovarsi un posto nel contesto nel quale opera.

Gianvito D’Aprile (PhD in Psicologia sociale e di comunità  all’Università del Salento), ha cercato di studiare proprio la RSI non dal punto di vista gestionale-organizzativo ma da quello psicologico e sociale. L’assunto di partenza è che la Responsabilità Sociale d’Impresa è appunto processo ampiamente esplorato nella letteratura socio-economica e organizzativa – perché considerato una leva competitiva delle imprese nel medio e lungo termine e soprattutto nell’attuale scenario di crisi finanziaria -, ma poco considerato da quello psicologico. Pare che gli studi esistenti siano prevalentemente orientati ad individuare gli strumenti di misura della RSI, le tecnicalità di questa  e ad esplorare la relazione tra RSI, cultura, committenti organizzativi e capitale sociale. Più in ombra restano gli aspetti psicosociali e le modalità attraverso cui sia possibile attivare pratiche d’impresa socialmente responsabili oltre che efficaci.

L’autore valuta quindi la RSI con strumenti come la Teoria dell’Identità Sociale e il Senso di Comunità per spiegare come la stessa RSI possa essere potenziata con una migliore partecipazione collettiva all’organizzazione alle iniziative aziendali.

L’analisi che conduce D’Aprile lancia però un messaggio. La RSI è possibile e più  efficace se va al di là del meccanicismo gestionale ma guarda alle persone e ai loro vissuti. Chi lavora in azienda non può essere considerato un numero e basta – sembra dire l’autore -, anche e soprattutto quando l’azienda vuole  fare della Responsabilità Sociale d’Impresa uno dei suoi cavalli di battaglia. Anzi, proprio dal coinvolgimento delle persone la RSI acquista più motivazioni e, quindi, più forza ed efficacia. Un’indicazione che può apparire banale, ma che spesso rischia di essere dimenticata.

Quello di D’Aprile è un libro breve – meno di duecento pagine – ma riesce a dare il senso della complessità del tema, così come del suo fascino profondo per la cultura d’impresa dalla quale nasce e che può contribuire a trasformare.

Responsabilità Sociale d’Impresa. La prospettiva psicosociale

Gianvito D’Aprile

Edizione Accademiche Italiane, 2014

Un’impresa è fatta anche di psicologia. Non si tratta solo della capacità – che comunque l’imprenditore deve avere -, di coinvolgere i collaboratori, di avere quell’empatia che rende i compiti gravosi più facilmente affrontabili, di guardare oltre i numeri di bilancio per comprendere i significati più profondi della produzione.  Tutto questo ci deve essere, ma accanto occorre anche un’attenzione ai risvolti sociali dell’azione d’impresa, aspetti  che non sempre sono di immediata comprensione. Anche quando l’azienda fa della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), uno dei suoi strumenti principali per trovarsi un posto nel contesto nel quale opera.

Gianvito D’Aprile (PhD in Psicologia sociale e di comunità  all’Università del Salento), ha cercato di studiare proprio la RSI non dal punto di vista gestionale-organizzativo ma da quello psicologico e sociale. L’assunto di partenza è che la Responsabilità Sociale d’Impresa è appunto processo ampiamente esplorato nella letteratura socio-economica e organizzativa – perché considerato una leva competitiva delle imprese nel medio e lungo termine e soprattutto nell’attuale scenario di crisi finanziaria -, ma poco considerato da quello psicologico. Pare che gli studi esistenti siano prevalentemente orientati ad individuare gli strumenti di misura della RSI, le tecnicalità di questa  e ad esplorare la relazione tra RSI, cultura, committenti organizzativi e capitale sociale. Più in ombra restano gli aspetti psicosociali e le modalità attraverso cui sia possibile attivare pratiche d’impresa socialmente responsabili oltre che efficaci.

L’autore valuta quindi la RSI con strumenti come la Teoria dell’Identità Sociale e il Senso di Comunità per spiegare come la stessa RSI possa essere potenziata con una migliore partecipazione collettiva all’organizzazione alle iniziative aziendali.

L’analisi che conduce D’Aprile lancia però un messaggio. La RSI è possibile e più  efficace se va al di là del meccanicismo gestionale ma guarda alle persone e ai loro vissuti. Chi lavora in azienda non può essere considerato un numero e basta – sembra dire l’autore -, anche e soprattutto quando l’azienda vuole  fare della Responsabilità Sociale d’Impresa uno dei suoi cavalli di battaglia. Anzi, proprio dal coinvolgimento delle persone la RSI acquista più motivazioni e, quindi, più forza ed efficacia. Un’indicazione che può apparire banale, ma che spesso rischia di essere dimenticata.

Quello di D’Aprile è un libro breve – meno di duecento pagine – ma riesce a dare il senso della complessità del tema, così come del suo fascino profondo per la cultura d’impresa dalla quale nasce e che può contribuire a trasformare.

Responsabilità Sociale d’Impresa. La prospettiva psicosociale

Gianvito D’Aprile

Edizione Accademiche Italiane, 2014

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