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Ecco il nuovo “triangolo industriale” tra Milano, Veneto ed Emilia: le sfide dell’economia aperta

Si scrivono pagine d’una rinnovata geografia economica. Si traccia, per esempio, un “nuovo triangolo industriale” che ha come vertici Milano, il Veneto delle piccole e medie imprese e l’Emilia delle multinazionali tascabili. E, dopo la stagione degli anni Cinquanta e Sessanta del boom economico, quando il “triangolo industriale” era quello delle grandi imprese tra la Genova dell’industria pubblica d’acciaio e cantieri, la Torino della Fiat e la Milano delle banche e delle “grandi famiglie” imprenditoriali, adesso le dinamiche economiche portano alla ribalta i servizi hi tech, l’economia della conoscenza e la manifattura competitiva della meccatronica, della chimica, della gomma, dell’agro-industria e dell’arredamento, nel segno di “Industry 4.0”, dell’export e delle eccellenze da secondo paese manifatturiero d’Europa, in stretta relazione con la Germania. Nei blog delle scorse settimane avevamo parlato di “Regione A4”, per indicare i territori che scorrono lungo l’autostrada che dal Piemonte, passando dal baricentro Milano, va verso il Veneto e il Friuli. Adesso questa geografia s’arricchisce di articolazioni e specificazioni. E nel tempo potrà trovare numeri originali d’interpretazione attraverso un nuovo strumento d’analisi dell’Istat, il Rsbl (Registro statistico di base dei luoghi), appena varato per fotografare meglio l’economia reale (Corriere della Sera, 14 giugno) e che già adesso indica proprio Milano al primo posto in Italia come valore aggiunto in generale ma anche come produttività (il valore aggiunto per addetto).

Di questo “nuovo triangolo industriale” spostato verso il Nord Est s’è molto parlato, la scorsa settimana, in occasione della nascita di una forte associazione territoriale di Confindustria, l’Assindustria Veneto Centro, che mette insieme le organizzazioni imprenditoriali di Padova e Treviso: 3.400 imprese associate (piccole, in maggioranza ma molto dinamiche), con 160mila dipendenti, espressione d’un sistema che nel 2017 ha esportato per 22,5 miliardi di euro, il 37% di tutto l’export veneto e il 5% dell’export nazionale. E’ la seconda organizzazione territoriale di Confindustria, dopo l’Assolombarda (che riunisce Milano, Lodi e Monza e la Brianza, quasi 6mila imprese). E si muove da tempo in sintonia, oltre che con l’Assolombarda, anche con la recente Confindustria Emilia Centro (riorganizzazione che tiene insieme Bologna, Modena e Ferrara). Il “nuovo triangolo industriale”, appunto, 324 miliardi di Pil (maggiore di quello della Danimarca), un valore aggiunto manifatturiero di 53 miliardi (più di quello del Belgio) e una grande capacità di pesare nel cuore della più forte manifattura europea.

Le aggregazioni sono il frutto migliore della “riforma Pesenti”, il profondo rinnovamento di Confindustria secondo le indicazioni d’una commissione presieduta da Carlo Pesenti (famiglia storica del miglior capitalismo italiano, al vertice dell’Italmobiliare, attività principali tra Milano e Bergamo). Ma il loro significato maggiore non sta solo nel miglioramento delle capacità di rappresentanza delle imprese e nel miglioramento dei servizi offerti alle aziende iscritte, quanto soprattutto nella scelta di fare emergere con forza il ruolo di soggetti sociali – le imprese ben organizzate – che hanno molto da dire sullo sviluppo sostenibile, il lavoro, le relazioni industriali, l’innovazione, il miglioramento dei mercati, le dinamiche di crescita internazionale dell’economia italiana in chiave europea.

Ancora un paio di dati, per capire meglio. Tutta l’area racchiusa in questo “nuovo triangolo industriale” ha un Pil complessivo maggiore di quello dei Paesi Bassi, della Svezia e della Polonia, un valore aggiunto manifatturiero maggiore della Spagna, un peso europeo, insomma, di primissimo piano. E’ una zona economica densa non solo d’imprese legate tra loro da vincoli da filiere e piattaforme produttive molto innovative, ma anche di università e centri di ricerca, strutture modernissime di servizi e logistica, poli turistici, centri d’arte, organizzazioni culturali di prestigio internazionale (teatri, musica, festival letterari, gallerie) e attività di editoria e comunicazione, tradizionali e multimediali. E proprio per queste caratteristiche, oltre che per un elevato livello di qualità della vita (molte delle sue città sono da tempo ai primi posti della classifica annuale de “Il Sole24Ore” Sole città dove si vive meglio) può fare da traino d’un ambizioso progetto di sviluppo europeo che saldi l’Europa continentale al Mediterraneo.

È un’economia aperta, fortemente segnata dall’export, ben integrata con l’industria tedesca ma anche francese e quanto mai sensibile a processi di attività di mercati dinamici. E dunque ostile a dazi, barriere, chiusure, protezionismi e nazionalismi economici e semmai, proprio al contrario, attenta ad attrarre capitali, investimenti internazionali, conoscenze e competenze, talenti caratterizzati da un forte grado d’innovazione.

Cosa serve, a questo vero e proprio motore di sviluppo italiano? Politiche industriali che rafforzino ricerca e innovazione (in continuità con i provvedimenti dei precedenti governi su Industry 4.0: metà delle imprese lombarde ne hanno fatto buon uso, investendo in macchinari “digital” e processi innovativi). Sostegni alla competitività e all’export. Scelte per la formazione di capitale umano di qualità. E infrastrutture, materiali e immateriali: strade, porti, ferrovie con il completamento dell’Alta Velocità lungo l’asse Ovest-Est, aeroporti, centri logistici intermodali e “banda larga” per le comunicazioni hi tech. Proprio quelle infrastrutture (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) su cui in ambienti del nuovo governo si covano forti resistenze, per malinteso ambientalismo. Un giudizio netto di prospettiva arriva proprio da Assolombarda, con le parole del suo presidente Carlo Bonomi: “Non siamo disposti a transigere, non accettiamo pregiudiziali ideologiche che siano d’ostacolo alla realizzazione delle opere necessarie per lo sviluppo dei nostri territori”. Il “nuovo triangolo industriale”, insomma, è un’originale figura geometrica e geografica: veloce, dinamica. E aperta.

Si scrivono pagine d’una rinnovata geografia economica. Si traccia, per esempio, un “nuovo triangolo industriale” che ha come vertici Milano, il Veneto delle piccole e medie imprese e l’Emilia delle multinazionali tascabili. E, dopo la stagione degli anni Cinquanta e Sessanta del boom economico, quando il “triangolo industriale” era quello delle grandi imprese tra la Genova dell’industria pubblica d’acciaio e cantieri, la Torino della Fiat e la Milano delle banche e delle “grandi famiglie” imprenditoriali, adesso le dinamiche economiche portano alla ribalta i servizi hi tech, l’economia della conoscenza e la manifattura competitiva della meccatronica, della chimica, della gomma, dell’agro-industria e dell’arredamento, nel segno di “Industry 4.0”, dell’export e delle eccellenze da secondo paese manifatturiero d’Europa, in stretta relazione con la Germania. Nei blog delle scorse settimane avevamo parlato di “Regione A4”, per indicare i territori che scorrono lungo l’autostrada che dal Piemonte, passando dal baricentro Milano, va verso il Veneto e il Friuli. Adesso questa geografia s’arricchisce di articolazioni e specificazioni. E nel tempo potrà trovare numeri originali d’interpretazione attraverso un nuovo strumento d’analisi dell’Istat, il Rsbl (Registro statistico di base dei luoghi), appena varato per fotografare meglio l’economia reale (Corriere della Sera, 14 giugno) e che già adesso indica proprio Milano al primo posto in Italia come valore aggiunto in generale ma anche come produttività (il valore aggiunto per addetto).

Di questo “nuovo triangolo industriale” spostato verso il Nord Est s’è molto parlato, la scorsa settimana, in occasione della nascita di una forte associazione territoriale di Confindustria, l’Assindustria Veneto Centro, che mette insieme le organizzazioni imprenditoriali di Padova e Treviso: 3.400 imprese associate (piccole, in maggioranza ma molto dinamiche), con 160mila dipendenti, espressione d’un sistema che nel 2017 ha esportato per 22,5 miliardi di euro, il 37% di tutto l’export veneto e il 5% dell’export nazionale. E’ la seconda organizzazione territoriale di Confindustria, dopo l’Assolombarda (che riunisce Milano, Lodi e Monza e la Brianza, quasi 6mila imprese). E si muove da tempo in sintonia, oltre che con l’Assolombarda, anche con la recente Confindustria Emilia Centro (riorganizzazione che tiene insieme Bologna, Modena e Ferrara). Il “nuovo triangolo industriale”, appunto, 324 miliardi di Pil (maggiore di quello della Danimarca), un valore aggiunto manifatturiero di 53 miliardi (più di quello del Belgio) e una grande capacità di pesare nel cuore della più forte manifattura europea.

Le aggregazioni sono il frutto migliore della “riforma Pesenti”, il profondo rinnovamento di Confindustria secondo le indicazioni d’una commissione presieduta da Carlo Pesenti (famiglia storica del miglior capitalismo italiano, al vertice dell’Italmobiliare, attività principali tra Milano e Bergamo). Ma il loro significato maggiore non sta solo nel miglioramento delle capacità di rappresentanza delle imprese e nel miglioramento dei servizi offerti alle aziende iscritte, quanto soprattutto nella scelta di fare emergere con forza il ruolo di soggetti sociali – le imprese ben organizzate – che hanno molto da dire sullo sviluppo sostenibile, il lavoro, le relazioni industriali, l’innovazione, il miglioramento dei mercati, le dinamiche di crescita internazionale dell’economia italiana in chiave europea.

Ancora un paio di dati, per capire meglio. Tutta l’area racchiusa in questo “nuovo triangolo industriale” ha un Pil complessivo maggiore di quello dei Paesi Bassi, della Svezia e della Polonia, un valore aggiunto manifatturiero maggiore della Spagna, un peso europeo, insomma, di primissimo piano. E’ una zona economica densa non solo d’imprese legate tra loro da vincoli da filiere e piattaforme produttive molto innovative, ma anche di università e centri di ricerca, strutture modernissime di servizi e logistica, poli turistici, centri d’arte, organizzazioni culturali di prestigio internazionale (teatri, musica, festival letterari, gallerie) e attività di editoria e comunicazione, tradizionali e multimediali. E proprio per queste caratteristiche, oltre che per un elevato livello di qualità della vita (molte delle sue città sono da tempo ai primi posti della classifica annuale de “Il Sole24Ore” Sole città dove si vive meglio) può fare da traino d’un ambizioso progetto di sviluppo europeo che saldi l’Europa continentale al Mediterraneo.

È un’economia aperta, fortemente segnata dall’export, ben integrata con l’industria tedesca ma anche francese e quanto mai sensibile a processi di attività di mercati dinamici. E dunque ostile a dazi, barriere, chiusure, protezionismi e nazionalismi economici e semmai, proprio al contrario, attenta ad attrarre capitali, investimenti internazionali, conoscenze e competenze, talenti caratterizzati da un forte grado d’innovazione.

Cosa serve, a questo vero e proprio motore di sviluppo italiano? Politiche industriali che rafforzino ricerca e innovazione (in continuità con i provvedimenti dei precedenti governi su Industry 4.0: metà delle imprese lombarde ne hanno fatto buon uso, investendo in macchinari “digital” e processi innovativi). Sostegni alla competitività e all’export. Scelte per la formazione di capitale umano di qualità. E infrastrutture, materiali e immateriali: strade, porti, ferrovie con il completamento dell’Alta Velocità lungo l’asse Ovest-Est, aeroporti, centri logistici intermodali e “banda larga” per le comunicazioni hi tech. Proprio quelle infrastrutture (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) su cui in ambienti del nuovo governo si covano forti resistenze, per malinteso ambientalismo. Un giudizio netto di prospettiva arriva proprio da Assolombarda, con le parole del suo presidente Carlo Bonomi: “Non siamo disposti a transigere, non accettiamo pregiudiziali ideologiche che siano d’ostacolo alla realizzazione delle opere necessarie per lo sviluppo dei nostri territori”. Il “nuovo triangolo industriale”, insomma, è un’originale figura geometrica e geografica: veloce, dinamica. E aperta.

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