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Università e conoscenza: le sfide del Piano di Draghi e i Politecnici impegnati a formare “ingegneri filosofi”

Ripartire dalla conoscenza”, sostiene Ferruccio Resta, per passare “dalle aule svuotate dal virus alla nuova centralità dell’Università”. Resta è rettore del Politecnico di Milano e attuale presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. È un ingegnere, professore di Meccanica applicata alle Macchine (l’espressione “civiltà delle macchine” gli si adatta bene). E nelle pagine del nuovo libro, costruito attraverso un dialogo con Ferruccio de Bortoli e pubblicato da Bollati Boringhieri, ragiona non solo sulla necessità di investire massicciamente sulla formazione, per rendere l’Italia più competitiva, nella stagione del predominio della “economia della conoscenza”, ma anche sui contenuti della formazione, tenendo insieme, in modo originale, tecnologia e bellezza, saperi umanistici e conoscenze scientifiche, matematica e letteratura, ingegneria e filosofia, come peraltro proprio la migliore storia culturale ed economica italiana ci insegna. Serve una “cultura politecnica”, con la straordinaria attualità di un “umanesimo industriale” che oggi, in tempi di digital economy e di Intelligenza Artificiale, va declinato anche come “umanesimo digitale” (tutti temi, peraltro, più volte affrontati in questo blog).

Il Pnrr (la sigla difficilmente pronunciabile che sta per “Piano nazionale di ripresa e resilienza”) e cioè la versione italiana del Recovery Plan della Ue, stanzia 31,9 miliardi per Istruzione e Ricerca, per rafforzare, cioè, “il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico”, come spiega Palazzo Chigi in un comunicato. In dettaglio, “il Piano investe negli asili nido, nelle scuole materne, nei servizi di educazione e cura per l’infanzia; crea 152.000 posti per i bambini fino a 3 anni e 76.000 per i bambini tra i 3 e i 6
anni”. Si investe nel risanamento strutturale degli edifici scolastici, con l’obiettivo di ristrutturare una superficie complessiva di 2.400.000 metri quadri. E, per quel che riguarda i contenuti, si prevede una riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea, per esempio con l’aggiornamento della disciplina dei dottorati e un loro aumento di circa 3.000 unità. Sempre un comunicato di Palazzo Chigi spiega che “si sviluppa l’istruzione professionalizzante e si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico”. Con un’attenzione particolare per gli Its, gli Istituti tecnici superiori, per incrementare gli studenti iscritti, rafforzare i laboratori con tecnologie 4.0, formare i docenti e adattare i programmi formativi secondo le esigenze delle imprese in cerca di capitale umano qualificato, sviluppare una piattaforma nazionale per fare incontrare offerta e domanda di lavoro.

Siamo insomma di fronte a risorse di un certo livello, progetti ambiziosi, da realizzare in tempi brevi (il 2026, come scadenza massima). Il governo Draghi, insomma, s’è mosso. La Ue ritrova anche in questo capitolo il senso di fondo della sua strategia del Recovery Plan, in coerenza con l’orientamento di fondo indicato fin dal nome, “Next Generation”. L’impegno, adesso, è passare tempestivamente dalle pagine del Piano ai cantieri delle opere, alle scelte dei programmi didattici e alle realizzazioni.

Il libro di Resta e de Bortoli offre indicazioni preziose, su come fare funzionare meglio università e ricerca, su come rafforzare il dialogo tra università, comunità sui territori e imprese. E su come progettare una formazione superiore che tenga conto del rapido sviluppo delle nuove conoscenze e dunque sull’usura altrettanto intensa di quello che oggi si sa.

Bisogna insegnare a imparare. E tenere testa a una seconda sfida, proprio di fronte all’impetuoso cambiamento delle tecnologie: quella di capire il senso delle cose che si fanno, indagare sui valori di riferimento, sulle conseguenze umane ed etiche dei progressi tecnologici. Non solo, dunque, saper scrivere efficacemente gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale, ma comprenderne, controllarne e governarne gli effetti. Per evitare manipolazioni occulte (il monito etico di Luciano Floridi, professore a Oxford di Filosofia dell’Informazione) e cercare di conciliare sviluppo hi tech, libertà, responsabilità. Come devono saper fare degli ingegneri filosofi, dei tecnologi poeti, appunto.

Le discipline universitarie, suggerisce Resta, non vanno più inquadrate in “gabbie rigide”. E, proprio pensando ai Politecnici, insiste: “Un ingegnere oggi non è più il tecnico che deve rispondere al singolo problema, ma deve dare risposte a sfide sociali e problemi complessi che sempre più spesso coinvolgono anche la sfera etica delle tecnologie”. Proprio le indicazioni di fondo del Recovery Plan della Ue, ambiente e innovazione, sostenibilità ed economia digitale, hanno bisogno di persone, di figure professionali formate in modo multi-disciplinare, adatta a fare sintesi originali di saperi in continua mutazione.

Il nostro Paese, insomma, ha urgente bisogno di investire su conoscenza e formazione, ricerca e innovazione. Risorse finanziarie e riforme del Recovery Plan ne sono finalmente strumento adeguato. Per costruire cultura del futuro, competenze, produttività e competitività. Abbiamo la necessità di superare il gap dei 13 milioni di persone che hanno solo un titolo di studio di scuola media inferiore formazione e il limite del basso numero di laureati, soprattutto nelle materie scientifiche. E dobbiamo dunque costruire una formazione migliore, non solo nei cicli scolastici, ma nelle relazioni lunghe tra scuola e lavoro, quella che tecnicamente si chiama long life learning, un’attitudine a imparare che ci accompagni per tutta la vita. Anche da questo punto di vista le università colte, aperte, efficaci nei processi formativi sono, come dice Resta, “centrali”. La conoscenza è il nostro migliore futuro.

Ripartire dalla conoscenza”, sostiene Ferruccio Resta, per passare “dalle aule svuotate dal virus alla nuova centralità dell’Università”. Resta è rettore del Politecnico di Milano e attuale presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. È un ingegnere, professore di Meccanica applicata alle Macchine (l’espressione “civiltà delle macchine” gli si adatta bene). E nelle pagine del nuovo libro, costruito attraverso un dialogo con Ferruccio de Bortoli e pubblicato da Bollati Boringhieri, ragiona non solo sulla necessità di investire massicciamente sulla formazione, per rendere l’Italia più competitiva, nella stagione del predominio della “economia della conoscenza”, ma anche sui contenuti della formazione, tenendo insieme, in modo originale, tecnologia e bellezza, saperi umanistici e conoscenze scientifiche, matematica e letteratura, ingegneria e filosofia, come peraltro proprio la migliore storia culturale ed economica italiana ci insegna. Serve una “cultura politecnica”, con la straordinaria attualità di un “umanesimo industriale” che oggi, in tempi di digital economy e di Intelligenza Artificiale, va declinato anche come “umanesimo digitale” (tutti temi, peraltro, più volte affrontati in questo blog).

Il Pnrr (la sigla difficilmente pronunciabile che sta per “Piano nazionale di ripresa e resilienza”) e cioè la versione italiana del Recovery Plan della Ue, stanzia 31,9 miliardi per Istruzione e Ricerca, per rafforzare, cioè, “il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico”, come spiega Palazzo Chigi in un comunicato. In dettaglio, “il Piano investe negli asili nido, nelle scuole materne, nei servizi di educazione e cura per l’infanzia; crea 152.000 posti per i bambini fino a 3 anni e 76.000 per i bambini tra i 3 e i 6
anni”. Si investe nel risanamento strutturale degli edifici scolastici, con l’obiettivo di ristrutturare una superficie complessiva di 2.400.000 metri quadri. E, per quel che riguarda i contenuti, si prevede una riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea, per esempio con l’aggiornamento della disciplina dei dottorati e un loro aumento di circa 3.000 unità. Sempre un comunicato di Palazzo Chigi spiega che “si sviluppa l’istruzione professionalizzante e si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico”. Con un’attenzione particolare per gli Its, gli Istituti tecnici superiori, per incrementare gli studenti iscritti, rafforzare i laboratori con tecnologie 4.0, formare i docenti e adattare i programmi formativi secondo le esigenze delle imprese in cerca di capitale umano qualificato, sviluppare una piattaforma nazionale per fare incontrare offerta e domanda di lavoro.

Siamo insomma di fronte a risorse di un certo livello, progetti ambiziosi, da realizzare in tempi brevi (il 2026, come scadenza massima). Il governo Draghi, insomma, s’è mosso. La Ue ritrova anche in questo capitolo il senso di fondo della sua strategia del Recovery Plan, in coerenza con l’orientamento di fondo indicato fin dal nome, “Next Generation”. L’impegno, adesso, è passare tempestivamente dalle pagine del Piano ai cantieri delle opere, alle scelte dei programmi didattici e alle realizzazioni.

Il libro di Resta e de Bortoli offre indicazioni preziose, su come fare funzionare meglio università e ricerca, su come rafforzare il dialogo tra università, comunità sui territori e imprese. E su come progettare una formazione superiore che tenga conto del rapido sviluppo delle nuove conoscenze e dunque sull’usura altrettanto intensa di quello che oggi si sa.

Bisogna insegnare a imparare. E tenere testa a una seconda sfida, proprio di fronte all’impetuoso cambiamento delle tecnologie: quella di capire il senso delle cose che si fanno, indagare sui valori di riferimento, sulle conseguenze umane ed etiche dei progressi tecnologici. Non solo, dunque, saper scrivere efficacemente gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale, ma comprenderne, controllarne e governarne gli effetti. Per evitare manipolazioni occulte (il monito etico di Luciano Floridi, professore a Oxford di Filosofia dell’Informazione) e cercare di conciliare sviluppo hi tech, libertà, responsabilità. Come devono saper fare degli ingegneri filosofi, dei tecnologi poeti, appunto.

Le discipline universitarie, suggerisce Resta, non vanno più inquadrate in “gabbie rigide”. E, proprio pensando ai Politecnici, insiste: “Un ingegnere oggi non è più il tecnico che deve rispondere al singolo problema, ma deve dare risposte a sfide sociali e problemi complessi che sempre più spesso coinvolgono anche la sfera etica delle tecnologie”. Proprio le indicazioni di fondo del Recovery Plan della Ue, ambiente e innovazione, sostenibilità ed economia digitale, hanno bisogno di persone, di figure professionali formate in modo multi-disciplinare, adatta a fare sintesi originali di saperi in continua mutazione.

Il nostro Paese, insomma, ha urgente bisogno di investire su conoscenza e formazione, ricerca e innovazione. Risorse finanziarie e riforme del Recovery Plan ne sono finalmente strumento adeguato. Per costruire cultura del futuro, competenze, produttività e competitività. Abbiamo la necessità di superare il gap dei 13 milioni di persone che hanno solo un titolo di studio di scuola media inferiore formazione e il limite del basso numero di laureati, soprattutto nelle materie scientifiche. E dobbiamo dunque costruire una formazione migliore, non solo nei cicli scolastici, ma nelle relazioni lunghe tra scuola e lavoro, quella che tecnicamente si chiama long life learning, un’attitudine a imparare che ci accompagni per tutta la vita. Anche da questo punto di vista le università colte, aperte, efficaci nei processi formativi sono, come dice Resta, “centrali”. La conoscenza è il nostro migliore futuro.

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