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Centauri col diavolo in corpo

Scendendo dal Ghisallo, in curva si dimenticava dei freni. Puntava il gomito -imbottito- contro i muri delle case che fiancheggiavano la strada, lo usava come un perno, cambiava bruscamente direzione, ripartiva. Perchè lui era Tazio Nuvolari. “Lei dovrebbe vederlo in certi momenti. È l’incarnazione del diavolo”, disse uno che lo conosceva bene al giornalista Orio Vergani, che intervistava per la Rivista Pirelli l’ormai ex pilota. Scendeva dal Ghisallo su una Bianchi 350 Freccia Celeste ed era il giugno del 1929, Circuito Motociclistico del Lario. Vincendo, naturalmente, senza mai smettere quell’aria da perenne diavolo in corpo che avevano a quei tempi i motociclisti.

Prendi ad esempio Miro Maffeis, “il bel Miro” che tanto piaceva alle ragazze. Lui, il più giovane dei tre fratelli Maffeis – gli altri due erano Carletto e Bernardo, una vita (breve) appresso alle moto – conosceva a memoria gli oltre ottocento chilometri del Raid Nord-Sud, da Milano a Napoli. L’aveva vinto nel 1920, con una Indian 500, ma anche se arrivava solo terzo – come nel 1925, con la Bianchi 350 – sfoggiava sempre, nelle foto, un piglio da duro. Un po’ da cavaliere senza macchia e senza paura: era il bel Miro e sapeva di esserlo. Certo, anche la moto faceva la sua parte: la Bianchi Freccia Celeste, con i Pirelli Motocord ci andava a nozze… Colpiva, nello sguardo di questi centauri d’anteguerra, la sicurezza di sé. Fissavano l’obiettivo senza un cedimento, senza un dubbio. Anzi, aveva quasi un sorrisetto un po’ di scherno Erminio Visioli, che con la Harley Davidson 1000gomme Pirelli – aveva appena vinto nell’agosto del 1921 il Circuito delle Tre Regioni, una settimana dopo aver dominato la storica corsa in salita Como-Brunate. Maglione girocollo e baschetto scozzese – ad agosto! – Erminio guardava dritto il fotografo Strazza per l’articolo che gli avrebbe dedicato “La Stampa Sportiva”. Comprensibilmente datata da fori di graffetta e qualche macchia di ruggine, quella foto è oggi custodita nell’Archivio Storico Pirelli. Quel giorno il Bel Miro -anche lui su Harley Davidson- arrivò settimo… I motociclisti con il diavolo in corpo “vanno per il mondo quasi travolti da un impulso del sangue più forte della volontà”. Così scriveva – e disegnava – Renzo Biasion in “Ricordo di Tenni, pubblicato sulla Rivista Pirelli del marzo 1949. Omobono Tenni, valtellinese trapiantato a Treviso, idolo dei fans della Guzzi, uomo chiuso e taciturno, era morto pochi mesi prima durante le prove del Gran Premio di Berna. Nel 1937 era stato il primo non britannico a vincere il Tourist Trophy, e gli inglesi lo chiamavano Black Devil. Biasion da ragazzino andava con compasso e righello a misurare a che distanza -poca, pochissima- il Diavolo aveva sfiorato gli alberi.

Serio e marziale è Raffaele Alberti, ritratto nella foto del 1948 con la mano sulla sella del suo “Guzzino” come fosse un artigliere di fianco al cannone. Che a dir la verità, più che una “sella” era un materassino di gommapiuma su cui sdraiarsi -in avanti- e spararsi verso il record di velocità sul chilometro da fermo. Alberti ne infilò quattro di fila nel febbraio 1948, sul circuito svizzero di Charrette-Saxon. E poi altri diciannove a Monza, in novembre, assieme a Gianni Leoni e Bruno Ruffo. Record del chilometro, delle 500 miglia, dell’ora, delle dodici ore e via primeggiando: il Guzzi 65 -portato a 73cc ma pur sempre “Guzzino”- non cambiò mai le gomme Pirelli. Era un grande conoscitore di tecnica motociclistica ed esperto collezionista di primati il milanese Alberti, mentre il “compagno di record” Bruno Ruffo era un pilota che cominciava ad affacciarsi al successo quando era già sulla trentina.

Vecchia volpe dei circuiti italiani d’anteguerra infine il comasco Leoni, a chiudere il terzetto dei recordmen Guzzi. Riuniti sotto il segno della Casa di Mandello, era facile ritrovarli tutti e tre assieme sulle piste del neonato campionato motomondiale. Ruffo e Leoni erano ad esempio al Gran Premio delle Nazioni a Monza, nel settembre del ’49 con la Guzzi 250. Con loro c’era un altro Leoni: Guido, lui con la Guzzi 500. Mantovano di Castellucchio, Guido Leoni era nato nel 1915, solo qualche mese prima del suo quasi omonimo Gianni. Quando si dice la combinazione… E poi ci fu un’altra diabolica combinazione. Raffaele Alberti e Guido Leoni trovarono la morte a Ferrara, coinvolti entrambi in una maxicarambola durante la prova del Campionato Italiano Seniores. Era il maggio del 1951. Gianni Leoni – coetaneo di Guido – morì per un’incredibile fatalità al Gran Premio dell’Ulster: lo scontro frontale con il compagno di squadra Geminiani, che Guido stava tornando indietro a cercare credendolo coinvolto in un incidente. Era l’agosto dello stesso anno 1951. Il diavolo, probabilmente…

Scendendo dal Ghisallo, in curva si dimenticava dei freni. Puntava il gomito -imbottito- contro i muri delle case che fiancheggiavano la strada, lo usava come un perno, cambiava bruscamente direzione, ripartiva. Perchè lui era Tazio Nuvolari. “Lei dovrebbe vederlo in certi momenti. È l’incarnazione del diavolo”, disse uno che lo conosceva bene al giornalista Orio Vergani, che intervistava per la Rivista Pirelli l’ormai ex pilota. Scendeva dal Ghisallo su una Bianchi 350 Freccia Celeste ed era il giugno del 1929, Circuito Motociclistico del Lario. Vincendo, naturalmente, senza mai smettere quell’aria da perenne diavolo in corpo che avevano a quei tempi i motociclisti.

Prendi ad esempio Miro Maffeis, “il bel Miro” che tanto piaceva alle ragazze. Lui, il più giovane dei tre fratelli Maffeis – gli altri due erano Carletto e Bernardo, una vita (breve) appresso alle moto – conosceva a memoria gli oltre ottocento chilometri del Raid Nord-Sud, da Milano a Napoli. L’aveva vinto nel 1920, con una Indian 500, ma anche se arrivava solo terzo – come nel 1925, con la Bianchi 350 – sfoggiava sempre, nelle foto, un piglio da duro. Un po’ da cavaliere senza macchia e senza paura: era il bel Miro e sapeva di esserlo. Certo, anche la moto faceva la sua parte: la Bianchi Freccia Celeste, con i Pirelli Motocord ci andava a nozze… Colpiva, nello sguardo di questi centauri d’anteguerra, la sicurezza di sé. Fissavano l’obiettivo senza un cedimento, senza un dubbio. Anzi, aveva quasi un sorrisetto un po’ di scherno Erminio Visioli, che con la Harley Davidson 1000gomme Pirelli – aveva appena vinto nell’agosto del 1921 il Circuito delle Tre Regioni, una settimana dopo aver dominato la storica corsa in salita Como-Brunate. Maglione girocollo e baschetto scozzese – ad agosto! – Erminio guardava dritto il fotografo Strazza per l’articolo che gli avrebbe dedicato “La Stampa Sportiva”. Comprensibilmente datata da fori di graffetta e qualche macchia di ruggine, quella foto è oggi custodita nell’Archivio Storico Pirelli. Quel giorno il Bel Miro -anche lui su Harley Davidson- arrivò settimo… I motociclisti con il diavolo in corpo “vanno per il mondo quasi travolti da un impulso del sangue più forte della volontà”. Così scriveva – e disegnava – Renzo Biasion in “Ricordo di Tenni, pubblicato sulla Rivista Pirelli del marzo 1949. Omobono Tenni, valtellinese trapiantato a Treviso, idolo dei fans della Guzzi, uomo chiuso e taciturno, era morto pochi mesi prima durante le prove del Gran Premio di Berna. Nel 1937 era stato il primo non britannico a vincere il Tourist Trophy, e gli inglesi lo chiamavano Black Devil. Biasion da ragazzino andava con compasso e righello a misurare a che distanza -poca, pochissima- il Diavolo aveva sfiorato gli alberi.

Serio e marziale è Raffaele Alberti, ritratto nella foto del 1948 con la mano sulla sella del suo “Guzzino” come fosse un artigliere di fianco al cannone. Che a dir la verità, più che una “sella” era un materassino di gommapiuma su cui sdraiarsi -in avanti- e spararsi verso il record di velocità sul chilometro da fermo. Alberti ne infilò quattro di fila nel febbraio 1948, sul circuito svizzero di Charrette-Saxon. E poi altri diciannove a Monza, in novembre, assieme a Gianni Leoni e Bruno Ruffo. Record del chilometro, delle 500 miglia, dell’ora, delle dodici ore e via primeggiando: il Guzzi 65 -portato a 73cc ma pur sempre “Guzzino”- non cambiò mai le gomme Pirelli. Era un grande conoscitore di tecnica motociclistica ed esperto collezionista di primati il milanese Alberti, mentre il “compagno di record” Bruno Ruffo era un pilota che cominciava ad affacciarsi al successo quando era già sulla trentina.

Vecchia volpe dei circuiti italiani d’anteguerra infine il comasco Leoni, a chiudere il terzetto dei recordmen Guzzi. Riuniti sotto il segno della Casa di Mandello, era facile ritrovarli tutti e tre assieme sulle piste del neonato campionato motomondiale. Ruffo e Leoni erano ad esempio al Gran Premio delle Nazioni a Monza, nel settembre del ’49 con la Guzzi 250. Con loro c’era un altro Leoni: Guido, lui con la Guzzi 500. Mantovano di Castellucchio, Guido Leoni era nato nel 1915, solo qualche mese prima del suo quasi omonimo Gianni. Quando si dice la combinazione… E poi ci fu un’altra diabolica combinazione. Raffaele Alberti e Guido Leoni trovarono la morte a Ferrara, coinvolti entrambi in una maxicarambola durante la prova del Campionato Italiano Seniores. Era il maggio del 1951. Gianni Leoni – coetaneo di Guido – morì per un’incredibile fatalità al Gran Premio dell’Ulster: lo scontro frontale con il compagno di squadra Geminiani, che Guido stava tornando indietro a cercare credendolo coinvolto in un incidente. Era l’agosto dello stesso anno 1951. Il diavolo, probabilmente…

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