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L’allarme di Bonomi, Assolombarda, sull’“anno perduto” per la crescita e le proposte al governo: taglio al cuneo fiscale e investimenti digitali

Un’Italia nella palude della “crescita zero”. Un autunno che s’annuncia carico di preoccupazioni economiche e sociali. E un governo “miope” e litigioso che, finora, ha fatto soltanto riforme recessive, dimenticandosi dello sviluppo e della costruzione d’un migliore futuro per il Paese. Non fa sconti, Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, la principale organizzazione territoriale di Confindustria, 6mila imprese iscritte tra Milano, Lodi, Monza e la Brianza fertile di piccola e media industria produttiva. E pubblica su “Il Foglio” un lungo e articolato punto di vista sulla crisi dell’economia e l’inconcludenza della politica di governo, con un titolo netto e tagliente: “Ora basta”. Insistendo: “Un anno perduto per la crescita”.

C’è un malessere crescente, nel mondo dell’impresa, anche in quelle regioni (Lombardia, Veneto) in cui la maggioranza degli imprenditori ha votato per la Lega, memori della tradizionale sensibilità per istanze ed esigenze del mondo produttivo. E nasce soprattutto dalla constatazione di una serie di provvedimenti e di annunci che, dal “decreto dignità” al reddito di cittadinanza, da “quota cento” per le pensioni ai condoni fiscali e alle proposte per il “salario minimo”, fanno crescere la spesa sociale e gli oneri per le imprese ma nulla smuovono per ridare dinamismo alla crescita. Il blocco degli incentivi e degli stimoli fiscali per “Industria 4.0” aggrava il quadro e frustra le aspettative delle imprese che s’erano già mosse per stare al passo con le sfide dell’economia digitale. Di questi stati d’animo, di tali e tante preoccupazioni Bonomi si fa buon interprete.

Milano, d’altronde, è il termometro più sensibile dell’andamento dell’economia, è la metropoli che, ben salda nel cuore dell’Europa, sa registrare tensioni e aspettative generali e dare corpo concreto a un desiderio diffuso di sviluppo sostenibile, nella consapevolezza profonda che la sua crescita non può non essere strettamente connessa con quella dell’intero Paese, di Roma capitale e del Mezzogiorno. Milano-Italia, dunque. E i suoi imprenditori come soggetti sociali forti d’una solida coscienza non tanto delle esigenze di categoria, ma soprattutto dell’interesse generale nazionale, nel contesto europeo.

Bonomi, che come ogni buon imprenditore sa far bene di conto e non disprezza numeri, conoscenze e competenze, parte dai dati della congiuntura, con quella crescita 2019 dello 0,1% del Pil (riconfermata dall’ultimo Bollettino della Banca d’Italia) che ci vede in coda a una Ue che cresce dell’1,4%. Anche la Germania, come noi paese esportatore, soffre delle tensioni sui commerci internazionali, soprattutto dopo lo scontro Usa-Cina, ma comunque va meno peggio, con lo 0,5% di crescita. “Stagnazione”, rileva l’ultima indagine del Centro Studi Confindustria sul terzo trimestre, con una diminuzione della produzione industriale dello 0,6%.

Ancora dati: il crollo delle vendite e dell’export di macchine utensili; i limiti dell’occupazione; il record di disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno. Ma anche la disattenzione per gli investimenti strategici sul “digitale”: appena 85 euro di spesa pubblica per ogni italiano, rispetto ai 186 euro della Francia, ai 207 della Germania e ai 323 del Regno Unito. Proprio dallo sviluppo dell’economia digitale e dalla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione dipende la crescita del Paese. Ma purtroppo il governo mostra “un enorme esercizio di miopia”, guardando “all’interesse elettorale a breve” senza considerare “una seria e sostenibile prospettiva di sostegno alla crescita”.

Non si tratta né di posizione politica partigiana né di pregiudizio. Bonomi ricorda che gli imprenditori non tifano per una parte politica ma “tifano Italia”. Sottolinea le cose positive successe in questi mesi, come la convergenza tra pubblico e privato e l’impegno congiunto delle amministrazioni di Milano, Lombardia e Veneto (politicamente diverse) che hanno portato al successo di Milano e Cortina per le Olimpiadi Invernali del 2026. E ricorda che la responsabilità delle forze produttive è “tenere ferma la barra sulla rotta per lo sviluppo”.

Apprezzato, dunque, il lavoro del presidente del Consiglio Conte e del ministro dell’Economia Tria per evitare la rotta di collisione con l’Europa (sarebbe stato “un autolesionismo”). E la scelta di Conte (contestata dalla Lega di Matteo Salvini) di essere parte attiva nell’elezione di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione Ue.

Proprio sulla politica estera la critica di Bonomi, sempre da rappresentante degli imprenditori, è coerentemente severa: sulla firma solitaria dell’intesa con la Cina da parte dell’Italia, unico paese fondatore della Ue e unico del G7; sulle inclinazioni verso la Russia, nonostante “i giudizi quasi sprezzanti di Putin per i valori liberal-democratici e di mercato che sono fondamento della Ue”, sui rischi di isolamento dall’Europa di un’Italia che si ritroverebbe come “una specie di Serbia del Mediterraneo”. Sono profondamente integrate con l’Europa, le nostre imprese. Parti essenziali di una catena del valore che nell’Europa ha le sue radici. E interessate dunque a politiche multilaterali di scambio, non a esercizi di potenza “muscolare” di confronti “bilaterali” in cui la debole Italia, da sola, ha tutto da perdere.

C’è dunque, nel lungo articolo di Bonomi su “Il Foglio”, un catalogo di cose che non vanno. Ma anche un altrettanto corposo elenco di richiami a scelte politiche da fare. A cominciare dalla prossima legge di Bilancio: non fare crescere il deficit oltre il livello del 2019 (dunque senza misure che, come pretende Salvini, sforino questo tetto), non dare spazio a un nuovo forfait dell’Irpef, evitare “fantasiose coperture dell’ultim’ora, come i 18 miliardi di dismissioni” e privatizzazioni, proprio quando si “ristatalizza l’Alitalia”.

L’obiettivo prioritario: “Il rilancio del Pil potenziale, sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda”. Lo strumento: devolvere “all’abbattimento permanente, strutturale e universale del cuneo fiscale” l’intera spesa non impiegata di quota 100, reddito di cittadinanza e bonus di 80 euro (ex Renzi). Eliminare, insomma, “la maggior anomalia che grava sull’occupabilità dei lavoratori e i bilanci delle imprese”.

L’idea di fondo è appunto quella di rimettere in moto la crescita. Dunque, ripristinare tutti gli stimoli per “Industria 4.0”, avviare un piano straordinario poliennale per l’economia digitale, realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo (proprio quelle avversate dei Cinque Stelle). Essere seri in politica, insomma.

Una questione di merito. E di metodo: “Evitare la convulsa serie di convocazioni plurime di associazioni datoriali e sindacali, per partecipare a parate di partito”. Il riferimento alla mossa del vicepremier e ministro degli Interni Salvini, che ha riunito tutti al Viminale, è evidente. Il richiamo, netto: nessuna demagogia ai danni delle parti sociali. E comunque massima disponibilità al confronto: “C’è un presidente del Consiglio, ci convochi…”. “Serietà”, appunto. E non spregiudicata propaganda.

Al sindacato si chiede una battaglia comune “contro il salario minimo”, una misura inutile che abbatte i redditi della maggiori parte dei lavoratori già ben contrattualizzati e fa crescere i costi per le imprese. Meglio insistere sui contratti, che adesso riguardano non solo i salari ma anche il welfare, la formazione, la qualità del lavoro e della vita.

C’è un ammonimento finale, una sorta di clausola di dignità e di responsabilità: “Non saranno le minacce della politica a impedirci di dare voce a quest’Italia, che merita di meglio”.

Meriterebbe, per esempio, politici e governanti capaci di ascoltare, imparare, avere lo sguardo lungimirante e responsabile.

Un’Italia nella palude della “crescita zero”. Un autunno che s’annuncia carico di preoccupazioni economiche e sociali. E un governo “miope” e litigioso che, finora, ha fatto soltanto riforme recessive, dimenticandosi dello sviluppo e della costruzione d’un migliore futuro per il Paese. Non fa sconti, Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, la principale organizzazione territoriale di Confindustria, 6mila imprese iscritte tra Milano, Lodi, Monza e la Brianza fertile di piccola e media industria produttiva. E pubblica su “Il Foglio” un lungo e articolato punto di vista sulla crisi dell’economia e l’inconcludenza della politica di governo, con un titolo netto e tagliente: “Ora basta”. Insistendo: “Un anno perduto per la crescita”.

C’è un malessere crescente, nel mondo dell’impresa, anche in quelle regioni (Lombardia, Veneto) in cui la maggioranza degli imprenditori ha votato per la Lega, memori della tradizionale sensibilità per istanze ed esigenze del mondo produttivo. E nasce soprattutto dalla constatazione di una serie di provvedimenti e di annunci che, dal “decreto dignità” al reddito di cittadinanza, da “quota cento” per le pensioni ai condoni fiscali e alle proposte per il “salario minimo”, fanno crescere la spesa sociale e gli oneri per le imprese ma nulla smuovono per ridare dinamismo alla crescita. Il blocco degli incentivi e degli stimoli fiscali per “Industria 4.0” aggrava il quadro e frustra le aspettative delle imprese che s’erano già mosse per stare al passo con le sfide dell’economia digitale. Di questi stati d’animo, di tali e tante preoccupazioni Bonomi si fa buon interprete.

Milano, d’altronde, è il termometro più sensibile dell’andamento dell’economia, è la metropoli che, ben salda nel cuore dell’Europa, sa registrare tensioni e aspettative generali e dare corpo concreto a un desiderio diffuso di sviluppo sostenibile, nella consapevolezza profonda che la sua crescita non può non essere strettamente connessa con quella dell’intero Paese, di Roma capitale e del Mezzogiorno. Milano-Italia, dunque. E i suoi imprenditori come soggetti sociali forti d’una solida coscienza non tanto delle esigenze di categoria, ma soprattutto dell’interesse generale nazionale, nel contesto europeo.

Bonomi, che come ogni buon imprenditore sa far bene di conto e non disprezza numeri, conoscenze e competenze, parte dai dati della congiuntura, con quella crescita 2019 dello 0,1% del Pil (riconfermata dall’ultimo Bollettino della Banca d’Italia) che ci vede in coda a una Ue che cresce dell’1,4%. Anche la Germania, come noi paese esportatore, soffre delle tensioni sui commerci internazionali, soprattutto dopo lo scontro Usa-Cina, ma comunque va meno peggio, con lo 0,5% di crescita. “Stagnazione”, rileva l’ultima indagine del Centro Studi Confindustria sul terzo trimestre, con una diminuzione della produzione industriale dello 0,6%.

Ancora dati: il crollo delle vendite e dell’export di macchine utensili; i limiti dell’occupazione; il record di disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno. Ma anche la disattenzione per gli investimenti strategici sul “digitale”: appena 85 euro di spesa pubblica per ogni italiano, rispetto ai 186 euro della Francia, ai 207 della Germania e ai 323 del Regno Unito. Proprio dallo sviluppo dell’economia digitale e dalla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione dipende la crescita del Paese. Ma purtroppo il governo mostra “un enorme esercizio di miopia”, guardando “all’interesse elettorale a breve” senza considerare “una seria e sostenibile prospettiva di sostegno alla crescita”.

Non si tratta né di posizione politica partigiana né di pregiudizio. Bonomi ricorda che gli imprenditori non tifano per una parte politica ma “tifano Italia”. Sottolinea le cose positive successe in questi mesi, come la convergenza tra pubblico e privato e l’impegno congiunto delle amministrazioni di Milano, Lombardia e Veneto (politicamente diverse) che hanno portato al successo di Milano e Cortina per le Olimpiadi Invernali del 2026. E ricorda che la responsabilità delle forze produttive è “tenere ferma la barra sulla rotta per lo sviluppo”.

Apprezzato, dunque, il lavoro del presidente del Consiglio Conte e del ministro dell’Economia Tria per evitare la rotta di collisione con l’Europa (sarebbe stato “un autolesionismo”). E la scelta di Conte (contestata dalla Lega di Matteo Salvini) di essere parte attiva nell’elezione di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione Ue.

Proprio sulla politica estera la critica di Bonomi, sempre da rappresentante degli imprenditori, è coerentemente severa: sulla firma solitaria dell’intesa con la Cina da parte dell’Italia, unico paese fondatore della Ue e unico del G7; sulle inclinazioni verso la Russia, nonostante “i giudizi quasi sprezzanti di Putin per i valori liberal-democratici e di mercato che sono fondamento della Ue”, sui rischi di isolamento dall’Europa di un’Italia che si ritroverebbe come “una specie di Serbia del Mediterraneo”. Sono profondamente integrate con l’Europa, le nostre imprese. Parti essenziali di una catena del valore che nell’Europa ha le sue radici. E interessate dunque a politiche multilaterali di scambio, non a esercizi di potenza “muscolare” di confronti “bilaterali” in cui la debole Italia, da sola, ha tutto da perdere.

C’è dunque, nel lungo articolo di Bonomi su “Il Foglio”, un catalogo di cose che non vanno. Ma anche un altrettanto corposo elenco di richiami a scelte politiche da fare. A cominciare dalla prossima legge di Bilancio: non fare crescere il deficit oltre il livello del 2019 (dunque senza misure che, come pretende Salvini, sforino questo tetto), non dare spazio a un nuovo forfait dell’Irpef, evitare “fantasiose coperture dell’ultim’ora, come i 18 miliardi di dismissioni” e privatizzazioni, proprio quando si “ristatalizza l’Alitalia”.

L’obiettivo prioritario: “Il rilancio del Pil potenziale, sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda”. Lo strumento: devolvere “all’abbattimento permanente, strutturale e universale del cuneo fiscale” l’intera spesa non impiegata di quota 100, reddito di cittadinanza e bonus di 80 euro (ex Renzi). Eliminare, insomma, “la maggior anomalia che grava sull’occupabilità dei lavoratori e i bilanci delle imprese”.

L’idea di fondo è appunto quella di rimettere in moto la crescita. Dunque, ripristinare tutti gli stimoli per “Industria 4.0”, avviare un piano straordinario poliennale per l’economia digitale, realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo (proprio quelle avversate dei Cinque Stelle). Essere seri in politica, insomma.

Una questione di merito. E di metodo: “Evitare la convulsa serie di convocazioni plurime di associazioni datoriali e sindacali, per partecipare a parate di partito”. Il riferimento alla mossa del vicepremier e ministro degli Interni Salvini, che ha riunito tutti al Viminale, è evidente. Il richiamo, netto: nessuna demagogia ai danni delle parti sociali. E comunque massima disponibilità al confronto: “C’è un presidente del Consiglio, ci convochi…”. “Serietà”, appunto. E non spregiudicata propaganda.

Al sindacato si chiede una battaglia comune “contro il salario minimo”, una misura inutile che abbatte i redditi della maggiori parte dei lavoratori già ben contrattualizzati e fa crescere i costi per le imprese. Meglio insistere sui contratti, che adesso riguardano non solo i salari ma anche il welfare, la formazione, la qualità del lavoro e della vita.

C’è un ammonimento finale, una sorta di clausola di dignità e di responsabilità: “Non saranno le minacce della politica a impedirci di dare voce a quest’Italia, che merita di meglio”.

Meriterebbe, per esempio, politici e governanti capaci di ascoltare, imparare, avere lo sguardo lungimirante e responsabile.

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