Chi servire?
Un intervento dell’Arcivescovo di Milano ripropone una visione importante di cultura d’impresa
Porsi domande sul significato di quello che si fa è importante. E, forse, è ancora più importante chiedersi quali siano gli obiettivi veri della propria azione. Domande che valgono per tutti. Anche per gli imprenditori e i manager che hanno a che fare con sistemi produttivi che, per ciò che fanno, possono toccare anche profondamente l’ambiente in cui sono e le persone che contribuiscono al raggiungimento dei risultati produttivi.
Leggere allora “Contributo per un confronto. Economia, lavoro, giustizia sociale” scritto e letto dall’Arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, alla LIUC in occasione dei 150 dalla morte di Carlo Cattaneo, è una buona cosa per aggiungere alle proprie idee altri elementi di ragionamento.
Delpini inizia il suo discorso da quanto le Scritture possono fornire per l’interpretazione della situazione di crisi dell’oggi. Partendo in particolare da uno dei più famosi passi dei Vangeli (“Non potete servire Dio e la ricchezza “), l’Arcivescovo ragiona sui rischi dell’idolatria del benessere. “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza – dice Delpini -, induce ad attribuire a una illusione che rende stolte le persone, perché alimenta la persuasione che il benessere economico possa salvare la vita e garantire la felicità, ignorando la precarietà degli idoli (…)”. E poi ancora: “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza/accumulo si avvale della spersonalizzazione delle persone e diventa sistema”. Tutto tenendo conto che è “legittimo che ogni imprenditore, insegnante e studente, si ponga la questione di chi vuole servire, se il vero Dio o il dio denaro, perché, talvolta, è come se ci fossero due tipi di dei: uno della domenica e dei giorni festivi e l’altro per i giorni dal lunedì al venerdì”. Il pericolo, naturalmente, è “che il profitto diventi una sorta di assoluto illusorio, creato dalla stoltezza di un uomo che perde il senso delle proporzioni”.
Da tutto questo, Delpini trae l’indicazione della necessità di “cambiare registro” per una buona parte del sistema economico e produttivo. Operazione complessa e difficile, ma possibile partendo dalla constatazione che “la cura per il ‘capitale umano’ è una tendenza che presenta buone pratiche nell’esperienza di una imprenditoria lungimirante” che ha nella condivisione dei valori, nella crescita delle persone e nella trasmissione stessa dei valori e delle conoscenze alcuni dei suoi più forti capisaldi.
Certamente Delpini pone una visione della cultura d’impresa da un punto di vista strettamente cristiano che, tuttavia, può trovare grandi spazi di condivisione anche partendo da altre visioni del mondo. E, in ogni caso, quanto scritto dall’Arcivescovo di Milano costituisce una buona lettura per tutti.
Contributo per un confronto. “Economia, lavoro, giustizia sociale”
Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano,
LIUC, Castellanza, 14 maggio 2019
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Un intervento dell’Arcivescovo di Milano ripropone una visione importante di cultura d’impresa
Porsi domande sul significato di quello che si fa è importante. E, forse, è ancora più importante chiedersi quali siano gli obiettivi veri della propria azione. Domande che valgono per tutti. Anche per gli imprenditori e i manager che hanno a che fare con sistemi produttivi che, per ciò che fanno, possono toccare anche profondamente l’ambiente in cui sono e le persone che contribuiscono al raggiungimento dei risultati produttivi.
Leggere allora “Contributo per un confronto. Economia, lavoro, giustizia sociale” scritto e letto dall’Arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, alla LIUC in occasione dei 150 dalla morte di Carlo Cattaneo, è una buona cosa per aggiungere alle proprie idee altri elementi di ragionamento.
Delpini inizia il suo discorso da quanto le Scritture possono fornire per l’interpretazione della situazione di crisi dell’oggi. Partendo in particolare da uno dei più famosi passi dei Vangeli (“Non potete servire Dio e la ricchezza “), l’Arcivescovo ragiona sui rischi dell’idolatria del benessere. “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza – dice Delpini -, induce ad attribuire a una illusione che rende stolte le persone, perché alimenta la persuasione che il benessere economico possa salvare la vita e garantire la felicità, ignorando la precarietà degli idoli (…)”. E poi ancora: “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza/accumulo si avvale della spersonalizzazione delle persone e diventa sistema”. Tutto tenendo conto che è “legittimo che ogni imprenditore, insegnante e studente, si ponga la questione di chi vuole servire, se il vero Dio o il dio denaro, perché, talvolta, è come se ci fossero due tipi di dei: uno della domenica e dei giorni festivi e l’altro per i giorni dal lunedì al venerdì”. Il pericolo, naturalmente, è “che il profitto diventi una sorta di assoluto illusorio, creato dalla stoltezza di un uomo che perde il senso delle proporzioni”.
Da tutto questo, Delpini trae l’indicazione della necessità di “cambiare registro” per una buona parte del sistema economico e produttivo. Operazione complessa e difficile, ma possibile partendo dalla constatazione che “la cura per il ‘capitale umano’ è una tendenza che presenta buone pratiche nell’esperienza di una imprenditoria lungimirante” che ha nella condivisione dei valori, nella crescita delle persone e nella trasmissione stessa dei valori e delle conoscenze alcuni dei suoi più forti capisaldi.
Certamente Delpini pone una visione della cultura d’impresa da un punto di vista strettamente cristiano che, tuttavia, può trovare grandi spazi di condivisione anche partendo da altre visioni del mondo. E, in ogni caso, quanto scritto dall’Arcivescovo di Milano costituisce una buona lettura per tutti.
Contributo per un confronto. “Economia, lavoro, giustizia sociale”
Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano,
LIUC, Castellanza, 14 maggio 2019