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Per il “patto dei produttori” meno tasse su imprese e lavoro

Si chiama “patto dei produttori”. Ed è una scelta importante nel panorama delle relazioni industriali italiane. Una indicazione politica, di imprenditori e sindacati dei lavoratori, ma anche una precisa volontà di avviare accordi aziendali per rafforzare la competitività delle imprese, migliorare la produttività, impegnarsi in crescita, qualità e innovazione. C’è anche un altro fronte di impegno: fare azione di pressione, di lobbying su governo, Parlamento, forze politiche, perché vengano avviate politiche economiche che privilegino chi produce veramente ricchezza: le imprese.

La formula del “patto dei produttori”, per la verità, non è nuova: aveva segnato il dibattito politico italiano nei difficili anni Settanta soprattutto nelle analisi e nelle proposte, pur differenti, del Pci di Enrico Berlinguer e del Pri di Ugo La Malfa, in polemica con le tendenze, già allora molto diffuse, a dare retta, nelle scelte politiche, a corporazioni e clientele (alimentate soprattutto da ambienti Dc). Adesso il tema si ripropone. E assume vesti nuove. A pronunciare la frase, sono Confindustria e Cgil, Cisl e Uil (i rappresentanti dei produttori, appunto, pur tra limiti e contraddizioni). E se ne è avuta una rappresentazione anche fisica proprio durante le manifestazioni del Primo Maggio, a Bologna e a Treviso, quando sui palchi delle manifestazioni, accanto ai leader sindacali, si sono schierati i rappresentanti di Confindustria, Confartigianato, Cna e Lega delle cooperative, gli uomini delle imprese, insomma.

Cosa si chiede, da parte del “patto dei produttori”? Misure per fare ripartire la macchina dell’economia, puntando sulle imprese produttive, sulle manifatture, innzanzitutto e dunque usando bene la leva fiscale per favorire l’innovazione, la ricerca, l’internazionalizzazione, l’export, la competitività. Un fisco più leggero e semplice per chi intraprende e produce. E non tagli fiscali generali e generici, ma una strategia di politica industriale che abbia nel fisco intelligente e selettivo il suo strumento. Il consenso viene anche dall’Ocse: “La priorità per l’Italia – sostiene il segretario generale Ocse Angel Gurruia – è ridurre le tasse per le imprese e il lavoro”. Attenzione ai produttori, appunto.

Si chiama “patto dei produttori”. Ed è una scelta importante nel panorama delle relazioni industriali italiane. Una indicazione politica, di imprenditori e sindacati dei lavoratori, ma anche una precisa volontà di avviare accordi aziendali per rafforzare la competitività delle imprese, migliorare la produttività, impegnarsi in crescita, qualità e innovazione. C’è anche un altro fronte di impegno: fare azione di pressione, di lobbying su governo, Parlamento, forze politiche, perché vengano avviate politiche economiche che privilegino chi produce veramente ricchezza: le imprese.

La formula del “patto dei produttori”, per la verità, non è nuova: aveva segnato il dibattito politico italiano nei difficili anni Settanta soprattutto nelle analisi e nelle proposte, pur differenti, del Pci di Enrico Berlinguer e del Pri di Ugo La Malfa, in polemica con le tendenze, già allora molto diffuse, a dare retta, nelle scelte politiche, a corporazioni e clientele (alimentate soprattutto da ambienti Dc). Adesso il tema si ripropone. E assume vesti nuove. A pronunciare la frase, sono Confindustria e Cgil, Cisl e Uil (i rappresentanti dei produttori, appunto, pur tra limiti e contraddizioni). E se ne è avuta una rappresentazione anche fisica proprio durante le manifestazioni del Primo Maggio, a Bologna e a Treviso, quando sui palchi delle manifestazioni, accanto ai leader sindacali, si sono schierati i rappresentanti di Confindustria, Confartigianato, Cna e Lega delle cooperative, gli uomini delle imprese, insomma.

Cosa si chiede, da parte del “patto dei produttori”? Misure per fare ripartire la macchina dell’economia, puntando sulle imprese produttive, sulle manifatture, innzanzitutto e dunque usando bene la leva fiscale per favorire l’innovazione, la ricerca, l’internazionalizzazione, l’export, la competitività. Un fisco più leggero e semplice per chi intraprende e produce. E non tagli fiscali generali e generici, ma una strategia di politica industriale che abbia nel fisco intelligente e selettivo il suo strumento. Il consenso viene anche dall’Ocse: “La priorità per l’Italia – sostiene il segretario generale Ocse Angel Gurruia – è ridurre le tasse per le imprese e il lavoro”. Attenzione ai produttori, appunto.

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