Come l’impresa racconta la propria storia
Una ricerca appena pubblicata spiega le modalità utilizzate dalle industrie italiane per valorizzare il loro passato
L’impresa e la sua cultura si nutrono anche della storia che hanno alle spalle. È un gioco difficile e delicato, quello dell’uso del passato per nutrire il presente organizzativo e produttivo, che pare però diventato di uso comune nell’ambito del sistema industriale nazionale. La realtà, come la storia, è tuttavia molto più differenziata di quanto si possa pensare. Indagare sulle diverse modalità di rappresentazione del proprio passato da parte delle imprese, è allora cosa importante per capire meglio le diverse culture d’impresa che popolano il panorama produttivo italiano, osservarne l’evoluzione e i possibili traguardi.
È quanto hanno fatto Angelo Riviezzo, Antonella Garofano, Maria Rosaria Napolitano con il loro “Il tempo è lo specchio dell’eternità. Strategie e strumenti di heritage marketing nelle imprese longeve italiane” apparso da pochi giorni su “Il capitale culturale” rivista dell’Università di Macerata.
Il lavoro indaga l’effettivo grado di utilizzo da parte delle imprese longeve italiane dei molteplici strumenti potenzialmente a disposizione per valorizzare in chiave strategica il proprio vissuto storico. Viene quindi svolta una analisi della letteratura sul tema, utile ad identificare i vari strumenti di heritage marketing e, successivamente, se ne esplora l’effettiva diffusione. In particolare, sono state raccolte e analizzate informazioni accurate sulle attività realizzate da 238 imprese di medie e grandi dimensioni iscritte nel Registro nazionale delle imprese storiche italiane di Unioncamere. In fila alcuni dei migliori e più noti del cosiddetto Made in Italy produttivo come Zegna, Auricchio, Fabbri, Carli, Caffarel, Lagostina, Guzzini. Ad essere presi in considerazione, tutti i principali strumenti di heritage marketing.
I risultati raccontano bene quanto sia diffusa la consapevolezza del proprio passato nell’ambito delle imprese italiane e quanto questa pervada l’attuale cultura d’impresa delle stesse. Ma contemporaneamente i ricercatori hanno svelato quanto sia ancora “artigianale” e “sperimentale” il raccontare la propria storia da parte di ogni singola impresa. Anzi, sarebbero una minoranza quelle aziende che mostrano di percepire i vantaggi di una convinta e pluriforme azione di valorizzazione del proprio vissuto storico. In altri termini, non tutte le imprese arrivano allo stesso grado di approfondimento e di consapevolezza del proprio passato. Ma non si tratta di una cultura d’impresa distratta, quanto piuttosto dell’espressione della molteplicità di esperienze vissute, della numerosità di vie percorse da ogni azienda per arrivare all’oggi.
Il lavoro di Riviezzo, Garofano e Napolitano aiuta a comprendere meglio la varietà del fare impresa in Italia.
Il tempo è lo specchio dell’eternità. Strategie e strumenti di heritage marketing nelle imprese longeve italiane
Angelo Riviezzo, Antonella Garofano, Maria Rosaria Napolitano
«Il capitale culturale», XIII (2016), pp. 497-523
Una ricerca appena pubblicata spiega le modalità utilizzate dalle industrie italiane per valorizzare il loro passato
L’impresa e la sua cultura si nutrono anche della storia che hanno alle spalle. È un gioco difficile e delicato, quello dell’uso del passato per nutrire il presente organizzativo e produttivo, che pare però diventato di uso comune nell’ambito del sistema industriale nazionale. La realtà, come la storia, è tuttavia molto più differenziata di quanto si possa pensare. Indagare sulle diverse modalità di rappresentazione del proprio passato da parte delle imprese, è allora cosa importante per capire meglio le diverse culture d’impresa che popolano il panorama produttivo italiano, osservarne l’evoluzione e i possibili traguardi.
È quanto hanno fatto Angelo Riviezzo, Antonella Garofano, Maria Rosaria Napolitano con il loro “Il tempo è lo specchio dell’eternità. Strategie e strumenti di heritage marketing nelle imprese longeve italiane” apparso da pochi giorni su “Il capitale culturale” rivista dell’Università di Macerata.
Il lavoro indaga l’effettivo grado di utilizzo da parte delle imprese longeve italiane dei molteplici strumenti potenzialmente a disposizione per valorizzare in chiave strategica il proprio vissuto storico. Viene quindi svolta una analisi della letteratura sul tema, utile ad identificare i vari strumenti di heritage marketing e, successivamente, se ne esplora l’effettiva diffusione. In particolare, sono state raccolte e analizzate informazioni accurate sulle attività realizzate da 238 imprese di medie e grandi dimensioni iscritte nel Registro nazionale delle imprese storiche italiane di Unioncamere. In fila alcuni dei migliori e più noti del cosiddetto Made in Italy produttivo come Zegna, Auricchio, Fabbri, Carli, Caffarel, Lagostina, Guzzini. Ad essere presi in considerazione, tutti i principali strumenti di heritage marketing.
I risultati raccontano bene quanto sia diffusa la consapevolezza del proprio passato nell’ambito delle imprese italiane e quanto questa pervada l’attuale cultura d’impresa delle stesse. Ma contemporaneamente i ricercatori hanno svelato quanto sia ancora “artigianale” e “sperimentale” il raccontare la propria storia da parte di ogni singola impresa. Anzi, sarebbero una minoranza quelle aziende che mostrano di percepire i vantaggi di una convinta e pluriforme azione di valorizzazione del proprio vissuto storico. In altri termini, non tutte le imprese arrivano allo stesso grado di approfondimento e di consapevolezza del proprio passato. Ma non si tratta di una cultura d’impresa distratta, quanto piuttosto dell’espressione della molteplicità di esperienze vissute, della numerosità di vie percorse da ogni azienda per arrivare all’oggi.
Il lavoro di Riviezzo, Garofano e Napolitano aiuta a comprendere meglio la varietà del fare impresa in Italia.
Il tempo è lo specchio dell’eternità. Strategie e strumenti di heritage marketing nelle imprese longeve italiane
Angelo Riviezzo, Antonella Garofano, Maria Rosaria Napolitano
«Il capitale culturale», XIII (2016), pp. 497-523