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Globalizzazione attenta al territorio

Una ricerca dell’Istituto Bruno Leoni ragiona sul possibile ruolo delle multinazionali nella valorizzazione delle imprese locali

 

Fare impresa rispettando le radici affondate nel territorio ma guardando anche ai mercati internazionali. Equivalenza non facile, quella del binomio territorio-globalizzazione, è in effetti il paradigma di uno dei possibili, e forse più promettenti, percorsi di crescita e sviluppo. Ed è quanto, in fin dei conti, molti hanno tentato di fare. Spesso con successo. Il tema, d’altra parte, è complesso e multiforme e non può essere ridotto ad un processo meccanicistico. La ricerca di Ornella Darova (PhD student  presso la University  of Pennsylvania), condotta per l’Istituto Bruno Leoni e appena pubblicata, è un buon esempio per comprendere meglio quanto varie siano le condizioni dei rapporti fra produzioni locali e mercati globali.

“E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?”, analizza il ruolo delle multinazionali in Italia dal punto di vista della loro attenzione (e possibile valorizzazione) ad alcune delle eccellenze manifatturiere nazionali. Dopo aver delineato un quadro aggiornato dei risultati economici delle multinazionali e della situazione in Italia, Darova elenca ed esamina una serie di casi studio relative a multinazionali che hanno iniziato a valorizzare materie prime e prodotti strettamente italiani: McDonald’s e la sua attenzione ad alcune tipicità italiane, GROM e la sua trasformazione in Unilever, le caramelle Sperlari e la rinascita nel gruppo Cloetta, Fanta e Coca-Cola con la scommessa sulle arance italiane, HelloITA: il progetto di Alibaba per il made in Italy, Findus. Per ogni caso vengono analizzati storia e situazione attuale, mettendo in evidenza il ruolo positivo della presenza di un’impresa multinazionale a fianco di realtà locali.

Scrive l’autrice nelle conclusioni: “Di fatto, le multinazionali possono giocare il ruolo di facilitatori per l’inserimento delle imprese italiane nelle catene di valore globali”. E poi la stessa aggiunge: “La possibilità di creare ecosistemi imprenditoriali strategici, all’avanguardia e in crescita dipende dalla capacità degli attori esistenti sul territorio di aprirsi al mercato globale e di guardare al futuro immaginando percorsi di promozione delle eccellenze locali che non si isolino a contesti limitati ma sappiano affrontare prospettive internazionali. Non è utile, dunque, guardare alle multinazionali soltanto come ad una minaccia, ponendosi in posizione difensiva: è ben più vantaggioso, invece, stringere rapporti di collaborazione che rappresentino un’occasione di profitto per entrambi i fronti”. Questione certamente anche e soprattutto di cultura del produrre che deve cambiare. Da entrambe le parti.

 

E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?
Ornella Darova
IBL – Istituto Bruno Leoni, Briefing Paper, ottobre 2019

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Una ricerca dell’Istituto Bruno Leoni ragiona sul possibile ruolo delle multinazionali nella valorizzazione delle imprese locali

 

Fare impresa rispettando le radici affondate nel territorio ma guardando anche ai mercati internazionali. Equivalenza non facile, quella del binomio territorio-globalizzazione, è in effetti il paradigma di uno dei possibili, e forse più promettenti, percorsi di crescita e sviluppo. Ed è quanto, in fin dei conti, molti hanno tentato di fare. Spesso con successo. Il tema, d’altra parte, è complesso e multiforme e non può essere ridotto ad un processo meccanicistico. La ricerca di Ornella Darova (PhD student  presso la University  of Pennsylvania), condotta per l’Istituto Bruno Leoni e appena pubblicata, è un buon esempio per comprendere meglio quanto varie siano le condizioni dei rapporti fra produzioni locali e mercati globali.

“E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?”, analizza il ruolo delle multinazionali in Italia dal punto di vista della loro attenzione (e possibile valorizzazione) ad alcune delle eccellenze manifatturiere nazionali. Dopo aver delineato un quadro aggiornato dei risultati economici delle multinazionali e della situazione in Italia, Darova elenca ed esamina una serie di casi studio relative a multinazionali che hanno iniziato a valorizzare materie prime e prodotti strettamente italiani: McDonald’s e la sua attenzione ad alcune tipicità italiane, GROM e la sua trasformazione in Unilever, le caramelle Sperlari e la rinascita nel gruppo Cloetta, Fanta e Coca-Cola con la scommessa sulle arance italiane, HelloITA: il progetto di Alibaba per il made in Italy, Findus. Per ogni caso vengono analizzati storia e situazione attuale, mettendo in evidenza il ruolo positivo della presenza di un’impresa multinazionale a fianco di realtà locali.

Scrive l’autrice nelle conclusioni: “Di fatto, le multinazionali possono giocare il ruolo di facilitatori per l’inserimento delle imprese italiane nelle catene di valore globali”. E poi la stessa aggiunge: “La possibilità di creare ecosistemi imprenditoriali strategici, all’avanguardia e in crescita dipende dalla capacità degli attori esistenti sul territorio di aprirsi al mercato globale e di guardare al futuro immaginando percorsi di promozione delle eccellenze locali che non si isolino a contesti limitati ma sappiano affrontare prospettive internazionali. Non è utile, dunque, guardare alle multinazionali soltanto come ad una minaccia, ponendosi in posizione difensiva: è ben più vantaggioso, invece, stringere rapporti di collaborazione che rappresentino un’occasione di profitto per entrambi i fronti”. Questione certamente anche e soprattutto di cultura del produrre che deve cambiare. Da entrambe le parti.

 

E se le multinazionali fossero i migliori promotori del made in Italy?
Ornella Darova
IBL – Istituto Bruno Leoni, Briefing Paper, ottobre 2019

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