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Il circolo virtuoso tra libri, scuola e impresa per fare crescere civiltà e sviluppo economico

“L’istruzione dei ragazzi è un valore primario della Repubblica”. Davanti alla platea del Parco della Musica a Roma, dove si celebrano i 150 anni di vita dell’Aie, l’Associazione degli editori, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lega libri e libertà, insiste sul valore civile della lettura e insiste sul fatto che “la cultura sta alla base della crescita civile del Paese”. Il guaio è che “si legge ancora troppo poco in Italia” e dunque “dobbiamo migliorare”, perché “leggere è una ricchezza immateriale di cui non possiamo fare a meno”. E proprio “la scuola resta un bacino decisivo in cui seminare”.

“Scuola, scuola e scuola”, ribadisce il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi. E ancora una volta una delle iniziative di punta degli editori, per stimolare la diffusione della lettura, “Io leggo perché…”, in programma dal 17 al 29 ottobre, con il sostegno anche di parecchie imprese, ha come parola d’ordine “Doniamo un libro alle scuole”, facciamo crescere cioè quegli strumenti straordinariamente efficaci che sono le biblioteche scolastiche: un canale essenziale, fin dalle prime classi delle elementari, per diffondere tra i bambini la familiarità con le parole scritte, il piacere del leggere per divertirsi, imparare, conoscere nuove dimensioni e nuovi mondi.

Il progetto #ioleggoperchè ha portato in soli 3 anni 650.000 libri nuovi nelle biblioteche scolastiche italiane del Nord, Centro, Sud Italia, coinvolto più di  2milioni di studenti solo nel 2018 e conta di arrivare con l’edizione 2019 a 1 milione di libri con dieci mila scuole che aderiscono all’iniziativa.

Tra alcune imprese ed enti locali si progetta un ulteriore passo in avanti: creare un circuito virtuoso tra biblioteche scolastiche, biblioteche comunali e biblioteche aziendali (come quelle presenti, in Pirelli, sia in Bicocca che negli stabilimenti di Bollate e Settimo Torinese, particolarmente frequentate dai dipendenti dell’azienda e ben fornite anche di libri per bambini e ragazzi).

Libri, scuole e imprese: universi diversi, ma tutti ispirati, ognuno a suo modo, dai valori di conoscenza, comunità, responsabilità. Da fare interagire, comunque, proprio in tempi in cui “l’economia della conoscenza” chiede attitudini, per la formazione e poi per il lavoro, da costruire come “valore primario per la Repubblica” (per tornare agli incitamenti di Mattarella) ma anche come strumento di sviluppo economico e sociale di maggiore e migliore qualità, cioè più equilibrato, giusto, sostenibile.
Le statistiche dell’Ocse, nel Rapporto 2019, confermano quel che si denuncia da tempo: l’Italia, per l’istruzione, spende poco e soprattutto male: “Italia avara”, titola “Il Sole24Ore” (11 settembre). Alla scuola e all’università va il 3,6% del Pil, contro una media Ocse del 5%, con un divario che s’aggrava man mano che si sale nel livello di istruzione: alle elementari spendiamo l’equivalente di 8mila dollari per studente (il 6% in meno della media Ocse), alle secondarie 9.200 dollari (l’8% in meno) e all’università 11.600 dollari (il 26%) in meno, con il risultato di avere troppo pochi laureati, soprattutto nelle materie scientifiche, essenziali nella stagione dell’economia digitale.
Pochi soldi, appunto. E per il 90% destinati agli stipendi del personale scolastico (che comunque, a cominciare dai professori, si considera mal pagato).

Serve rimettere la scuola al centro dell’attenzione politica e dell’opinione pubblica. Progetto gigantesco, difficilissimo, da affrontare su molti piani, da quello delle infrastrutture e degli edifici (costruiti, nella maggior parte, nel corso del Novecento e sino agli anni Settanta, inadeguati sia dal punto di vista della sicurezza che da quello delle forme della didattica) a quello degli strumenti digitali, da quello della qualità dell’insegnamento (e della ricostruzione e della tutela della dignità degli insegnanti) a quello degli strumenti informatici per stare al passo con le nuove forme della cultura e della costruzione dei saperi.
Dal punto di vista delle imprese, e dunque dei motori dello sviluppo economico e sociale, la scuola è uno snodo chiave: senza una scuola efficace (e non solo efficiente), non si fanno crescere né coscienza civile e consapevolezza dei diritti e doveri della cittadinanza, né conoscenze utili al lavoro e al benessere, proprio in stagioni in cui i lavori cambiando radicalmente.
Una scuola migliore aiuta anche ad affrontare alcuni nodi della mancata crescita italiana: la produttività ferma da vent’anni, la carente competitività del sistema Paese.
Per dirla in sintesi: più libri, più cultura, più conoscenza, più sviluppo.
Le imprese più attente, con le scuole, peraltro, si impegnano da tempo. La Fondazione Pirelli, anche quest’anno, ha organizzato percorsi di formazione su scienza, materiali, industria, tecnologia, ma anche letteratura e storia d’impresa e delle invenzioni, con corsi e workshop per scuole elementari, medie e superiori (il progetto “education” Pirelli, dal 2013 a oggi, ha coinvolto più di 13mila bambini e ragazzi). E la Fondazione Agnelli, da tempo impegnata sui temi della scuola e della formazione, ha appena concluso, in collaborazione con la Fondazione San Paolo, un progetto per la ristrutturazione e l’ammodernamento di due scuole a Torino, aule hi tech e nuovi metodi d’insegnamento e apprendimento, all’insegna della condivisione. Un dialogo tra tecnologie, architettura e insegnamento, che può fare da paradigma positivo per altre esperienze.

“Rivoluzionare l’istruzione per preparare i ragazzi alle professioni del futuro”, sostiene su “La Stampa” (13 settembre) Francesco Profumo, una vita da professore universitario (è stato Rettore del Politecnico di Torino), ex ministro della Pubblica Istruzione ed ex presidente del Cnr e adesso presidente della Fondazione San Paolo: “Occorre mettere al centro della riflessione e delle iniziative sulla scuola le conoscenze e le competenze che si intendono sviluppare e promuovere e innovare la didattica”.

“L’istruzione dei ragazzi è un valore primario della Repubblica”. Davanti alla platea del Parco della Musica a Roma, dove si celebrano i 150 anni di vita dell’Aie, l’Associazione degli editori, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lega libri e libertà, insiste sul valore civile della lettura e insiste sul fatto che “la cultura sta alla base della crescita civile del Paese”. Il guaio è che “si legge ancora troppo poco in Italia” e dunque “dobbiamo migliorare”, perché “leggere è una ricchezza immateriale di cui non possiamo fare a meno”. E proprio “la scuola resta un bacino decisivo in cui seminare”.

“Scuola, scuola e scuola”, ribadisce il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi. E ancora una volta una delle iniziative di punta degli editori, per stimolare la diffusione della lettura, “Io leggo perché…”, in programma dal 17 al 29 ottobre, con il sostegno anche di parecchie imprese, ha come parola d’ordine “Doniamo un libro alle scuole”, facciamo crescere cioè quegli strumenti straordinariamente efficaci che sono le biblioteche scolastiche: un canale essenziale, fin dalle prime classi delle elementari, per diffondere tra i bambini la familiarità con le parole scritte, il piacere del leggere per divertirsi, imparare, conoscere nuove dimensioni e nuovi mondi.

Il progetto #ioleggoperchè ha portato in soli 3 anni 650.000 libri nuovi nelle biblioteche scolastiche italiane del Nord, Centro, Sud Italia, coinvolto più di  2milioni di studenti solo nel 2018 e conta di arrivare con l’edizione 2019 a 1 milione di libri con dieci mila scuole che aderiscono all’iniziativa.

Tra alcune imprese ed enti locali si progetta un ulteriore passo in avanti: creare un circuito virtuoso tra biblioteche scolastiche, biblioteche comunali e biblioteche aziendali (come quelle presenti, in Pirelli, sia in Bicocca che negli stabilimenti di Bollate e Settimo Torinese, particolarmente frequentate dai dipendenti dell’azienda e ben fornite anche di libri per bambini e ragazzi).

Libri, scuole e imprese: universi diversi, ma tutti ispirati, ognuno a suo modo, dai valori di conoscenza, comunità, responsabilità. Da fare interagire, comunque, proprio in tempi in cui “l’economia della conoscenza” chiede attitudini, per la formazione e poi per il lavoro, da costruire come “valore primario per la Repubblica” (per tornare agli incitamenti di Mattarella) ma anche come strumento di sviluppo economico e sociale di maggiore e migliore qualità, cioè più equilibrato, giusto, sostenibile.
Le statistiche dell’Ocse, nel Rapporto 2019, confermano quel che si denuncia da tempo: l’Italia, per l’istruzione, spende poco e soprattutto male: “Italia avara”, titola “Il Sole24Ore” (11 settembre). Alla scuola e all’università va il 3,6% del Pil, contro una media Ocse del 5%, con un divario che s’aggrava man mano che si sale nel livello di istruzione: alle elementari spendiamo l’equivalente di 8mila dollari per studente (il 6% in meno della media Ocse), alle secondarie 9.200 dollari (l’8% in meno) e all’università 11.600 dollari (il 26%) in meno, con il risultato di avere troppo pochi laureati, soprattutto nelle materie scientifiche, essenziali nella stagione dell’economia digitale.
Pochi soldi, appunto. E per il 90% destinati agli stipendi del personale scolastico (che comunque, a cominciare dai professori, si considera mal pagato).

Serve rimettere la scuola al centro dell’attenzione politica e dell’opinione pubblica. Progetto gigantesco, difficilissimo, da affrontare su molti piani, da quello delle infrastrutture e degli edifici (costruiti, nella maggior parte, nel corso del Novecento e sino agli anni Settanta, inadeguati sia dal punto di vista della sicurezza che da quello delle forme della didattica) a quello degli strumenti digitali, da quello della qualità dell’insegnamento (e della ricostruzione e della tutela della dignità degli insegnanti) a quello degli strumenti informatici per stare al passo con le nuove forme della cultura e della costruzione dei saperi.
Dal punto di vista delle imprese, e dunque dei motori dello sviluppo economico e sociale, la scuola è uno snodo chiave: senza una scuola efficace (e non solo efficiente), non si fanno crescere né coscienza civile e consapevolezza dei diritti e doveri della cittadinanza, né conoscenze utili al lavoro e al benessere, proprio in stagioni in cui i lavori cambiando radicalmente.
Una scuola migliore aiuta anche ad affrontare alcuni nodi della mancata crescita italiana: la produttività ferma da vent’anni, la carente competitività del sistema Paese.
Per dirla in sintesi: più libri, più cultura, più conoscenza, più sviluppo.
Le imprese più attente, con le scuole, peraltro, si impegnano da tempo. La Fondazione Pirelli, anche quest’anno, ha organizzato percorsi di formazione su scienza, materiali, industria, tecnologia, ma anche letteratura e storia d’impresa e delle invenzioni, con corsi e workshop per scuole elementari, medie e superiori (il progetto “education” Pirelli, dal 2013 a oggi, ha coinvolto più di 13mila bambini e ragazzi). E la Fondazione Agnelli, da tempo impegnata sui temi della scuola e della formazione, ha appena concluso, in collaborazione con la Fondazione San Paolo, un progetto per la ristrutturazione e l’ammodernamento di due scuole a Torino, aule hi tech e nuovi metodi d’insegnamento e apprendimento, all’insegna della condivisione. Un dialogo tra tecnologie, architettura e insegnamento, che può fare da paradigma positivo per altre esperienze.

“Rivoluzionare l’istruzione per preparare i ragazzi alle professioni del futuro”, sostiene su “La Stampa” (13 settembre) Francesco Profumo, una vita da professore universitario (è stato Rettore del Politecnico di Torino), ex ministro della Pubblica Istruzione ed ex presidente del Cnr e adesso presidente della Fondazione San Paolo: “Occorre mettere al centro della riflessione e delle iniziative sulla scuola le conoscenze e le competenze che si intendono sviluppare e promuovere e innovare la didattica”.

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