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Il “kalòs kai agathòs” tra museo e fabbrica

Kalòs kai agathòs”, la relazione tra il bello e il buono, l’estetica e l’etica, è una consapevolezza radicata nella cultura occidentale. In tempi di metamorfosi si tratta di rafforzare anche altre relazioni, tra il bello e l’utile, il buono e il produttivo, l’estetica e la competitività. Giocando sulle dimensioni di creatività delle scienze, della filosofia, della letteratura. Sulla ricerca di nuove forme (dunque nuovi materiali, nuovi prodotti, nuove finzioni). E sulle tecnologie relative, elaborate non tanto come tecniche, quanto soprattutto come pensiero e come linguaggio. Una contemporaneità storicamente consapevole e progettualmente politecnica. “Ho imparato che le grandi aziende hanno a cuore l’estetica perché trasmette un messaggio su come l’azienda percepisce se stessa”, sosteneva Steve Jobs. Rilanciando, forse inconsapevolemente, una riflessione di Adriano Olivetti, contenuta nel discorso inaugurale dello stabilimento di Pozzuoli, nel 1955: “Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno”.

Omaggio alla bellezza esterna. Ma anche incorporazione della bellezza. Estetica e funzionalità, appunto. La riprova sta nei nuovi stabilimenti costruiti negli ultimi anni in Italia: Maserati, Ferrari, Tod’s, Lavazza, Diesel, Cucinelli (“L’alta creatività salverà queste generazioni e le successive”). E Pirelli, a Settimo Torinese, un nuovo stabilimento di produzione di pneumatici segnato da produzioni “premium” (alta gamma, qualità d’eccellenza grazie a sofisticate tecnologie in robot di ultima generazione) e da una “spina”, una struttura progettata da Renzo Piano per contenere laboratori di ricerca, uffici, servizi, biblioteche, spazi di riunione e del tempo libero: un parallelepipedo di vetro e acciaio lungo quattrocento metri, luminoso, aperto sui due stabilimenti produttivi che lo affiancano, con un tetto di pannelli solari. Il tutto attorniato da cinquecento alberi di ciliegi. Una fabbrica bella, appunto. Dove lavorare sia piacevole e dunque più e meglio produttivo. In un contesto “sostenibile”, non solo ambientalmente (la fabbrica ha consumi ridotti di acqua e l’energia viene da fonti rinnovabili) ma anche socialmente. Perchè, spiega Piano, “la scommessa è interpretare la sostenibilità come linguaggio e non solo come tecnica da applicare in maniera più o meno appropriata a un contenitore concepito diversamente”. Anche in questo caso, la cultura del progetto e la cultura del prodotto trovano originale sintesi. In fabbrica, appunto. Ma non solo in fabbrica.

Il ragionamento di Piano si può ripetere infatti anche per l’ultima delle sue opere, il Muse, il Museo della Scienza di Trento, inaugurato sabato 27 luglio. Vetro, legno, acciaio, cemento, una struttura di esposizione e ricerca, una raccolta di materiali per raccontare la natura e gli interventi dell’uomo. “Luogo di incontro tra ricerca e impresa”, dicono i responsabili del Muse, costruito là dove c’era un vecchio stabilimento industriale (ex componenti per pneumatici Michelin) e adatto a rappresentare il passaggio dall’antica economia industriale alla stagione dell’”economia della conoscenza”, che innerva attività produttive che hanno bisogno, proprio in chiave di competitività dei territori, di fare un salto di competenze culturali, tecnologiche, scientifiche.

Un Museo della Scienza, dunque, come strumento di narrazione che lega conoscenza, formazione, produzione. Un sistema aperto su un territorio, il Trentino e il Nord Est, con forte vocazione produttiva. Uno stimolo a costruire, nel corso del tempo, inediti collegamenti tra la scienza e le sue applicazioni.

C’è proprio in questo, un nesso stretto tra luoghi della produzione e luoghi della rappresentazione. Piano ne è ottimo interprete. E sta nelle sue opere, come “la fabbrica bella” e sostenibile e il museo di cui stiamo parlando, non solo la versione contemporanea del “kalòs kai agathòs”, ma anche l’indicazione del buon futuribile italiano: lo sviluppo di qualità ha un’anima tecnologica e, insieme, poetica.

Kalòs kai agathòs”, la relazione tra il bello e il buono, l’estetica e l’etica, è una consapevolezza radicata nella cultura occidentale. In tempi di metamorfosi si tratta di rafforzare anche altre relazioni, tra il bello e l’utile, il buono e il produttivo, l’estetica e la competitività. Giocando sulle dimensioni di creatività delle scienze, della filosofia, della letteratura. Sulla ricerca di nuove forme (dunque nuovi materiali, nuovi prodotti, nuove finzioni). E sulle tecnologie relative, elaborate non tanto come tecniche, quanto soprattutto come pensiero e come linguaggio. Una contemporaneità storicamente consapevole e progettualmente politecnica. “Ho imparato che le grandi aziende hanno a cuore l’estetica perché trasmette un messaggio su come l’azienda percepisce se stessa”, sosteneva Steve Jobs. Rilanciando, forse inconsapevolemente, una riflessione di Adriano Olivetti, contenuta nel discorso inaugurale dello stabilimento di Pozzuoli, nel 1955: “Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno”.

Omaggio alla bellezza esterna. Ma anche incorporazione della bellezza. Estetica e funzionalità, appunto. La riprova sta nei nuovi stabilimenti costruiti negli ultimi anni in Italia: Maserati, Ferrari, Tod’s, Lavazza, Diesel, Cucinelli (“L’alta creatività salverà queste generazioni e le successive”). E Pirelli, a Settimo Torinese, un nuovo stabilimento di produzione di pneumatici segnato da produzioni “premium” (alta gamma, qualità d’eccellenza grazie a sofisticate tecnologie in robot di ultima generazione) e da una “spina”, una struttura progettata da Renzo Piano per contenere laboratori di ricerca, uffici, servizi, biblioteche, spazi di riunione e del tempo libero: un parallelepipedo di vetro e acciaio lungo quattrocento metri, luminoso, aperto sui due stabilimenti produttivi che lo affiancano, con un tetto di pannelli solari. Il tutto attorniato da cinquecento alberi di ciliegi. Una fabbrica bella, appunto. Dove lavorare sia piacevole e dunque più e meglio produttivo. In un contesto “sostenibile”, non solo ambientalmente (la fabbrica ha consumi ridotti di acqua e l’energia viene da fonti rinnovabili) ma anche socialmente. Perchè, spiega Piano, “la scommessa è interpretare la sostenibilità come linguaggio e non solo come tecnica da applicare in maniera più o meno appropriata a un contenitore concepito diversamente”. Anche in questo caso, la cultura del progetto e la cultura del prodotto trovano originale sintesi. In fabbrica, appunto. Ma non solo in fabbrica.

Il ragionamento di Piano si può ripetere infatti anche per l’ultima delle sue opere, il Muse, il Museo della Scienza di Trento, inaugurato sabato 27 luglio. Vetro, legno, acciaio, cemento, una struttura di esposizione e ricerca, una raccolta di materiali per raccontare la natura e gli interventi dell’uomo. “Luogo di incontro tra ricerca e impresa”, dicono i responsabili del Muse, costruito là dove c’era un vecchio stabilimento industriale (ex componenti per pneumatici Michelin) e adatto a rappresentare il passaggio dall’antica economia industriale alla stagione dell’”economia della conoscenza”, che innerva attività produttive che hanno bisogno, proprio in chiave di competitività dei territori, di fare un salto di competenze culturali, tecnologiche, scientifiche.

Un Museo della Scienza, dunque, come strumento di narrazione che lega conoscenza, formazione, produzione. Un sistema aperto su un territorio, il Trentino e il Nord Est, con forte vocazione produttiva. Uno stimolo a costruire, nel corso del tempo, inediti collegamenti tra la scienza e le sue applicazioni.

C’è proprio in questo, un nesso stretto tra luoghi della produzione e luoghi della rappresentazione. Piano ne è ottimo interprete. E sta nelle sue opere, come “la fabbrica bella” e sostenibile e il museo di cui stiamo parlando, non solo la versione contemporanea del “kalòs kai agathòs”, ma anche l’indicazione del buon futuribile italiano: lo sviluppo di qualità ha un’anima tecnologica e, insieme, poetica.

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