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Imprese fra contratti di rete e isolamento

Il concetto è di quelli già noti: insieme si produce meglio e si cresce con più facilità. La conoscenza di questo principio, tuttavia, non ha facilitato fino ad oggi la creazione di quelle reti d’imprese che indicano un approccio diverso al tema e, soprattutto, una cultura d’impresa capace di guardare oltre l’ostacolo.

Lo ha sottolineato anche la Banca d’Italia in uno studio di tre suoi ricercatori (Chiara Bentivogli, Fabio Quintiliani e Daniele Sabbatini), appena uscito nella serie Questioni di Economia e Finanza.  “Le reti di imprese (The network contract)”, mette insieme ragionamento economico, quadro giuridico e indagine empirica per delineare lo stato dell’arte dei “contratti di rete”. Appannata l’efficacia dei distretti industriali, potrebbero proprio essere questi gli strumenti a disposizione delle imprese per crescere. Strumenti dalla forma giuridica definita – almeno dal 2009 – ma che stentano ad innescare la marcia giusta.

Eppure le “reti” potrebbero fare molto: servire per l’innovazione, sostituire la crescita delle singole unità, creare maggiore forza nei confronti della ricerca e del mercato, mettere insieme grandi e piccoli produttori.

Ma perché la loro efficacia non è esplosa? Dietro il parziale successo ci sono questioni tecniche, regole giuridiche non ancora messe a punto e la atavica diffidenza delle imprese italiane – specialmente le medio-piccole – a “mettersi insieme”, collaborare per un obiettivo comune, marciare verso una traguardo condiviso. Insomma, gli imprenditori ancora oggi spesso pensano che sia meglio il proprio orto magari un po’ rachitico ma di cui si è padroni, che un campo prosperoso ma da condividere con altri.

Per capire meglio, i tre ricercatori non trascurano nemmeno i casi pratici come le reti d’impresa DicoNet (fra Trento e il bolognese), Olonetwork companies (che include imprese del modenese e delle province di Pisa e Pesaro-Urbino), e MecNet (composta da imprese delle province di Udine, Brescia, Napoli e Milano).

Il risultato è chiaro: la strada è quella giusta, ma deve essere perfezionata. A partire dalle regole ma anche dall’approccio con il quale le imprese si avvicinano all’argomento.

Le reti di imprese (The network contract) 

Chiara Bentivogli, Fabio Quintiliani, Daniele Sabbatini 

Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza – Occasional Paper

n.152, Febbraio 2013

Il concetto è di quelli già noti: insieme si produce meglio e si cresce con più facilità. La conoscenza di questo principio, tuttavia, non ha facilitato fino ad oggi la creazione di quelle reti d’imprese che indicano un approccio diverso al tema e, soprattutto, una cultura d’impresa capace di guardare oltre l’ostacolo.

Lo ha sottolineato anche la Banca d’Italia in uno studio di tre suoi ricercatori (Chiara Bentivogli, Fabio Quintiliani e Daniele Sabbatini), appena uscito nella serie Questioni di Economia e Finanza.  “Le reti di imprese (The network contract)”, mette insieme ragionamento economico, quadro giuridico e indagine empirica per delineare lo stato dell’arte dei “contratti di rete”. Appannata l’efficacia dei distretti industriali, potrebbero proprio essere questi gli strumenti a disposizione delle imprese per crescere. Strumenti dalla forma giuridica definita – almeno dal 2009 – ma che stentano ad innescare la marcia giusta.

Eppure le “reti” potrebbero fare molto: servire per l’innovazione, sostituire la crescita delle singole unità, creare maggiore forza nei confronti della ricerca e del mercato, mettere insieme grandi e piccoli produttori.

Ma perché la loro efficacia non è esplosa? Dietro il parziale successo ci sono questioni tecniche, regole giuridiche non ancora messe a punto e la atavica diffidenza delle imprese italiane – specialmente le medio-piccole – a “mettersi insieme”, collaborare per un obiettivo comune, marciare verso una traguardo condiviso. Insomma, gli imprenditori ancora oggi spesso pensano che sia meglio il proprio orto magari un po’ rachitico ma di cui si è padroni, che un campo prosperoso ma da condividere con altri.

Per capire meglio, i tre ricercatori non trascurano nemmeno i casi pratici come le reti d’impresa DicoNet (fra Trento e il bolognese), Olonetwork companies (che include imprese del modenese e delle province di Pisa e Pesaro-Urbino), e MecNet (composta da imprese delle province di Udine, Brescia, Napoli e Milano).

Il risultato è chiaro: la strada è quella giusta, ma deve essere perfezionata. A partire dalle regole ma anche dall’approccio con il quale le imprese si avvicinano all’argomento.

Le reti di imprese (The network contract) 

Chiara Bentivogli, Fabio Quintiliani, Daniele Sabbatini 

Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza – Occasional Paper

n.152, Febbraio 2013

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