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La “curva dell’elefante” su redditi e squilibri e i consigli del Quirinale alle imprese: insistere su innovazione e competitività

“Logore strategie di chiusura dei mercati al commercio internazionale”. E “un’anacronistica visione mercantilistica ancient regime, indifferente ai danni che la sua applicazione potrebbe recare in particolare a un’economia come la nostra, fortemente orientata all’estero”. I rischi di questi fenomeni trovano eco nelle stanze del Quirinale. E le parole chiare con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella li esplicita manifestano all’opinione pubblica la pericolosità d’un passaggio “dalla recessione economica alla recessione geopolitica” che può investire non solo il lavoro, i redditi, i consumi, ma le strutture profonde della comunità internazionale e gli equilibri sociali tra i Paesi e all’interno dei singoli paesi.

Il presidente Mattarella parla durante la cerimonia per la consegna del Premio Leonardo, un riconoscimento alle imprese che si distinguono per qualità e innovazione (la cerimonia il 2 marzo, vincitore Alberto Bombassei con la Brembo, sistemi frenanti, un’eccellenza italiana di rilievo internazionale). Il contesto dei tempi difficili in cui viviamo è allarmante, perché mostra l’emergere di nazionalismi, protezionismi, “sovranismi”, politiche di chiusura dei mercati e crisi delle grandi istituzioni internazionali, a cominciare dalla Wto, la World Trade Organization. Dal multipolarismo che ha caratterizzato la lunga stagione degli anni Novanta e dei primi Duemila si passa al bilateralismo, al calcolo degli interessi senza attenzione ai valori. I trattati di libero scambio come il Nafta (gli accordi tra Usa, Messico e Canada per commerci senza dazi) sono contestati dalla Casa Bianca di Donald Trump, in nome di politiche da “America first” che costringono tutti a rivedere le mappe tradizionali dei commerci e degli investimenti (ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa). La Brexit e i nazionalismi che attraversano la Ue, dalla Francia all’Olanda, dalla Polonia all’Italia, fanno scricchiolare la fragile costruzione europea. Una brutta condizione sociale e politica.

Addio globalizzazione? Troppo presto per dirlo. Gli effetti congiunti dello sviluppo impetuoso degli scambi e degli investimenti internazionali e le straordinarie innovazioni dell’economia digitale hanno fatto emergere dalla povertà centinaia di milioni di persone, nei paesi “in via di sviluppo”. Ma questa globalizzazione (predominio della finanza più speculativa, scarsa attenzione al disegno di nuovi e migliori equilibri sociali) ha mostrato pesanti limiti. I ceti medi dei paesi occidentali non hanno avvertito benefici sui redditi, ma anzi si sono sentiti più fragili, poveri, insicuri (i forgotten men cui si è rivolta con successo la politica di Trump e cui guardano i populismi europei). I ceti più ricchi hanno invece visto aumentare clamorosamente le loro ricchezze. E la diseguaglianza economica e sociale è cresciuta, come mostra la “curva dell’elefante” dell’economista Branko Milanovic, un grafico sulla distribuzione mondiale dei redditi: l’ampio dorso raffigura i ceti medi dei paesi un tempo poveri, Cina innanzitutto, la curva bassa della proboscide indica i ceti medi dei paesi ricchi, la punta alta i redditi maggiori (Dario Di Vico, “La Lettura – Corriere della Sera”, 5 marzo). Sgradevole, questo “elefante”.

Per risposte efficaci, serve maggiore e migliore politica. E un’attività lungimirante delle imprese che crescono proprio su mercati aperti e globali.

Le parole di Mattarella vanno lette proprio in questo contesto. Monito alle responsabilità di chi governa. E invito autorevole alle aziende perché siano sempre più competitive. Sostiene Mattarella: “In un sistema fortemente integrato come l’attuale, in cui le filiere produttive si avvalgono di scambi di beni intermedi tra produttori di Paesi diversi, la sfida per la crescita è giocata sul posto che si riesce a occupare nella catena di creazione del valore e non su logore strategie di chiusura dei mercati al commercio internazionale”.

Bisogna “andare controcorrente”, rafforzando “la cooperazione e gli strumenti di governance internazionale, europei e mondiali, sapendo che da soli non si va lontano”.

E le imprese italiane? Nel 2016, ancora un record di export, per 417 miliardi, con un avanzo commerciale di 51,6 miliardi, determinato dalla manifattura di qualità. Ma sono ancora poche le imprese orientate ai mercati internazionali, il 20% appena. Un altro 20% non è capace di competere, soffrendo moltissimo sull’asfittico mercato interno. Il 60% deve sapere giocare la partita d’una crescita robusta di produttività e competitività. Una partita difficile. Ma ancora aperta. Insiste Mattarella: “Per operare su mercati difficili… sono decisivi gli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, per rafforzare la competitività, cogliere le opportunità dell’internazionalizzazione e delle trasformazioni digitali. Gli investimenti di qualità rafforzano non solo le imprese che li attuano ma l’intero capitale sociale del Paese”.

I cambiamenti in atto sollecitano “un cambio di paradigma”. Non solo economico. Ma più generale, politico: “L’apertura del commercio e il progresso tecnologico sono stati elementi trainanti per la crescita economica globale, i cui benefici dovrebbero però essere distribuiti in maniera più equilibrata. Sono fenomeni che non possiamo rinunciare a governare”. Come? Con “la ricerca di un nuovo equilibrio tra Stati” e per “benessere e inclusione”, legando “la ricerca di maggiore competitività alle tutele per una società più giusta e per uno sviluppo più sostenibile”, su lavoro, ambiente, società. Tutto il contrario degli egoismi nazionalisti e dei muri.

“Logore strategie di chiusura dei mercati al commercio internazionale”. E “un’anacronistica visione mercantilistica ancient regime, indifferente ai danni che la sua applicazione potrebbe recare in particolare a un’economia come la nostra, fortemente orientata all’estero”. I rischi di questi fenomeni trovano eco nelle stanze del Quirinale. E le parole chiare con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella li esplicita manifestano all’opinione pubblica la pericolosità d’un passaggio “dalla recessione economica alla recessione geopolitica” che può investire non solo il lavoro, i redditi, i consumi, ma le strutture profonde della comunità internazionale e gli equilibri sociali tra i Paesi e all’interno dei singoli paesi.

Il presidente Mattarella parla durante la cerimonia per la consegna del Premio Leonardo, un riconoscimento alle imprese che si distinguono per qualità e innovazione (la cerimonia il 2 marzo, vincitore Alberto Bombassei con la Brembo, sistemi frenanti, un’eccellenza italiana di rilievo internazionale). Il contesto dei tempi difficili in cui viviamo è allarmante, perché mostra l’emergere di nazionalismi, protezionismi, “sovranismi”, politiche di chiusura dei mercati e crisi delle grandi istituzioni internazionali, a cominciare dalla Wto, la World Trade Organization. Dal multipolarismo che ha caratterizzato la lunga stagione degli anni Novanta e dei primi Duemila si passa al bilateralismo, al calcolo degli interessi senza attenzione ai valori. I trattati di libero scambio come il Nafta (gli accordi tra Usa, Messico e Canada per commerci senza dazi) sono contestati dalla Casa Bianca di Donald Trump, in nome di politiche da “America first” che costringono tutti a rivedere le mappe tradizionali dei commerci e degli investimenti (ne abbiamo parlato nel blog di due settimane fa). La Brexit e i nazionalismi che attraversano la Ue, dalla Francia all’Olanda, dalla Polonia all’Italia, fanno scricchiolare la fragile costruzione europea. Una brutta condizione sociale e politica.

Addio globalizzazione? Troppo presto per dirlo. Gli effetti congiunti dello sviluppo impetuoso degli scambi e degli investimenti internazionali e le straordinarie innovazioni dell’economia digitale hanno fatto emergere dalla povertà centinaia di milioni di persone, nei paesi “in via di sviluppo”. Ma questa globalizzazione (predominio della finanza più speculativa, scarsa attenzione al disegno di nuovi e migliori equilibri sociali) ha mostrato pesanti limiti. I ceti medi dei paesi occidentali non hanno avvertito benefici sui redditi, ma anzi si sono sentiti più fragili, poveri, insicuri (i forgotten men cui si è rivolta con successo la politica di Trump e cui guardano i populismi europei). I ceti più ricchi hanno invece visto aumentare clamorosamente le loro ricchezze. E la diseguaglianza economica e sociale è cresciuta, come mostra la “curva dell’elefante” dell’economista Branko Milanovic, un grafico sulla distribuzione mondiale dei redditi: l’ampio dorso raffigura i ceti medi dei paesi un tempo poveri, Cina innanzitutto, la curva bassa della proboscide indica i ceti medi dei paesi ricchi, la punta alta i redditi maggiori (Dario Di Vico, “La Lettura – Corriere della Sera”, 5 marzo). Sgradevole, questo “elefante”.

Per risposte efficaci, serve maggiore e migliore politica. E un’attività lungimirante delle imprese che crescono proprio su mercati aperti e globali.

Le parole di Mattarella vanno lette proprio in questo contesto. Monito alle responsabilità di chi governa. E invito autorevole alle aziende perché siano sempre più competitive. Sostiene Mattarella: “In un sistema fortemente integrato come l’attuale, in cui le filiere produttive si avvalgono di scambi di beni intermedi tra produttori di Paesi diversi, la sfida per la crescita è giocata sul posto che si riesce a occupare nella catena di creazione del valore e non su logore strategie di chiusura dei mercati al commercio internazionale”.

Bisogna “andare controcorrente”, rafforzando “la cooperazione e gli strumenti di governance internazionale, europei e mondiali, sapendo che da soli non si va lontano”.

E le imprese italiane? Nel 2016, ancora un record di export, per 417 miliardi, con un avanzo commerciale di 51,6 miliardi, determinato dalla manifattura di qualità. Ma sono ancora poche le imprese orientate ai mercati internazionali, il 20% appena. Un altro 20% non è capace di competere, soffrendo moltissimo sull’asfittico mercato interno. Il 60% deve sapere giocare la partita d’una crescita robusta di produttività e competitività. Una partita difficile. Ma ancora aperta. Insiste Mattarella: “Per operare su mercati difficili… sono decisivi gli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, per rafforzare la competitività, cogliere le opportunità dell’internazionalizzazione e delle trasformazioni digitali. Gli investimenti di qualità rafforzano non solo le imprese che li attuano ma l’intero capitale sociale del Paese”.

I cambiamenti in atto sollecitano “un cambio di paradigma”. Non solo economico. Ma più generale, politico: “L’apertura del commercio e il progresso tecnologico sono stati elementi trainanti per la crescita economica globale, i cui benefici dovrebbero però essere distribuiti in maniera più equilibrata. Sono fenomeni che non possiamo rinunciare a governare”. Come? Con “la ricerca di un nuovo equilibrio tra Stati” e per “benessere e inclusione”, legando “la ricerca di maggiore competitività alle tutele per una società più giusta e per uno sviluppo più sostenibile”, su lavoro, ambiente, società. Tutto il contrario degli egoismi nazionalisti e dei muri.

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