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La “fabbrica bella” va in scena con le parole di Eco e Buzzati, Munari e Sereni

La fabbrica bella: cultura, creatività, sostenibilità”. Cinque parole chiave, nel titolo della XV “Settimana della cultura d’impresa”, organizzata da Confindustria e Museimpresa, dal 10 al 24 novembre (una settimana molto lunga, dunque, oltre la scansione tradizionale del tempo, anche per sottolineare il carattere non solo simbolico dell’evento, ma strategico, di lungo periodo) e alla quale Fondazione Pirelli partecipa, come sempre, con appuntamenti originali, costruiti secondo l’indicazione che fare impresa, buona impresa, sia parte essenziale del “fare cultura”: storia, musica, teatro, letteratura, ambiente, nel cuore d’un impegno di confronto tra l’impresa e i suoi stakeholders, a cominciare dai più giovani (il programma di dettaglio delle iniziative sta su queste pagine della Fondazione Pirelli, sino alla manifestazione principale, le “Parole della fabbrica: le “grandi firme” della storica “Rivista Pirelli” ma anche del periodico contemporaneo “Pirelli World”, Eco e Buzzati, Munari e Sinisgalli, Sereni e Javier Cercas, portate “in scena”, venerdì prossimo, nell’auditorium Pirelli, in collaborazione con il Teatro Parenti, da due bravissimi attori, Sara Bertelà e Giuseppe Cederna).

Le cinque parole chiave, dunque. Fabbrica, innanzitutto. La produzione di qualità, ad alto valore aggiunto, quella che ci permette di continuare a essere, nonostante tutto, il secondo paese manifatturiero europeo, dopo la Germania e di affrontare le sfide di mercati globali esigenti e competitivi (potrà conoscere dei freni e delle modifiche, la globalizzazione, nell’epoca dei neo-nazionalismi e dei nuovi protezionismi ora riconfermati dalla presidenza Trump, ma non delle radicali chiusure). E una “fabbrica bella” e cioè ben disegnata e progettata (ce ne sono tante, oramai, in Italia, a cominciare dalla Pirelli di Settimo Torinese, con l’impronta d’un grande architetto come Renzo Piano), luminosa, trasparente, accogliente, sicura (la sicurezza sul lavoro è cardine fondamentale di questa idea di “bellezza”, secondo i canoni classici del “kalos kai agathos”), con basso impatto ambientale, energia rinnovabile, piena corrispondenza ai criteri della sostenibilità ambientale e sociale. Ecco qui dunque la terza parola, “sostenibilità”: una scelta di valori di fondo, nell’essere impresa, in opposizione alla rapacità della finanza speculativa e in sintonia con gli equilibri, da ricostruire e migliorare, tra “il costruire valore per gli azionisti” (fare profitti, indispensabili anche per gli investimenti, l’innovazione, la crescita, la creazione di lavoro) e l’avere un ruolo d’attore sociale responsabile dello sviluppo, d’una “economia giusta”. Come fare?

La quarta parola chiave ne dà il senso profondo: creatività. Non solo forme e funzionalità dei prodotti, il design, il “bello e ben fatto” come caratteristica distintiva del miglior “made in Italy. Ma tutto ciò che ha a che fare con l’innovazione, nel senso più ampio del termine: hi tech e medium tech, prodotti e produzioni, materiali, linguaggi, relazioni industriali, nel rapporto stretto con la ricerca e i servizi per l’impresa più sofisticati. Una tendenza originale all’innovazione, indispensabile anche di fronte alla necessità di declinare, per l’impresa italiana (piccola e media, familiare d’origine e ancora spesso di gestione, legata ai territori, inserita in reti e nuove dimensioni di distretti e meta-distretti) le sfide digitali poste da Industry 4.0.

E’ una scelta di cultura, appunto (ecco la quinta parola chiave). Di cui l’impresa è protagonista. Con questa “settimana della cultura d’impresa” che condensa un lavoro che va avanti da anni e continua oltre le date delle manifestazioni.

Il futuro dello sviluppo del nostro Paese, infatti, rafforzando la pur fragile ripresa in corso, sta nella sinergia virtuosa tra impresa e cultura, tra sofisticata e originale creatività e capacità manifatturiera che sa cogliere le sfide dell’innovazione. Una “cultura politecnica”, naturalmente, un’inclinazione tutta italiana alle sintesi tra umanesimo e scienza, visioni letterarie e artistiche e competenze tecnologiche, cultura del progetto e cultura del prodotto. Un vero e proprio “umanesimo industriale”, per riprendere il titolo della mostra organizzata quattro anni fa, dalla Fondazione Pirelli, per quella “settimana della cultura d’impresa”. E’ un’attitudine che ha radici antiche, nel Rinascimento ma anche una straordinaria forza di contemporaneità. E che si può anche riassumere nell’acronimo steam, caro ad Assolombarda e oramai diffuso nel discorso pubblico più generale (in questo blog ne abbiamo parlato più volte): le iniziali di science, technology, engineering ma anche environment, arts e manifacturing. E cioè di tutte le componenti, appunto, dell’innovazione che spinge la crescita economica, con una sottolineatura netta: l’insistenza su due lettere, sulla a delle culture creative e umanistiche e sulla m di manifacturing. Milano e la Lombardia ne sono paradigma. Nel segno di un’idea forte della competitività, legata alla maggiore e migliore diffusione dell’“economia della conoscenza”.

L’industria culturale italiana, in tutte le sue componenti e di cui proprio Milano è essenziale punto di riferimento, ha caratteristiche di grande livello, per essere parte attiva, essenziale di questo processo, per contribuire alla crescita e alla diffusione della migliore cultura d’impresa, alla costruzione di un “grande racconto popolare” della nostra sapienza manifatturiera e dell’eccellenza dei servizi collegati. Anche in questo senso, “impresa è cultura”. E, con la cultura, l’impresa può conquistare nuovi spazi di competitività.

Ci si muove secondo due obiettivi di fondo: fare crescere, nel Paese, una maggiore sensibilità rispetto ai valori dell’impresa, dell’intraprendenza, del mercato e del merito; e fare crescere, nelle imprese, la consapevolezza del proprio ruolo, non solo come attori economici fondamentali per la crescita, ma anche come attori sociali, cioè come fattori di crescita sculturale, di coesione sociale, di partecipazione. Stanno proprio qui, d’altronde, le nuove dimensioni della responsabilità sociale d’impresa, un punto d’impegno di particolare valore.

La fabbrica bella: cultura, creatività, sostenibilità”. Cinque parole chiave, nel titolo della XV “Settimana della cultura d’impresa”, organizzata da Confindustria e Museimpresa, dal 10 al 24 novembre (una settimana molto lunga, dunque, oltre la scansione tradizionale del tempo, anche per sottolineare il carattere non solo simbolico dell’evento, ma strategico, di lungo periodo) e alla quale Fondazione Pirelli partecipa, come sempre, con appuntamenti originali, costruiti secondo l’indicazione che fare impresa, buona impresa, sia parte essenziale del “fare cultura”: storia, musica, teatro, letteratura, ambiente, nel cuore d’un impegno di confronto tra l’impresa e i suoi stakeholders, a cominciare dai più giovani (il programma di dettaglio delle iniziative sta su queste pagine della Fondazione Pirelli, sino alla manifestazione principale, le “Parole della fabbrica: le “grandi firme” della storica “Rivista Pirelli” ma anche del periodico contemporaneo “Pirelli World”, Eco e Buzzati, Munari e Sinisgalli, Sereni e Javier Cercas, portate “in scena”, venerdì prossimo, nell’auditorium Pirelli, in collaborazione con il Teatro Parenti, da due bravissimi attori, Sara Bertelà e Giuseppe Cederna).

Le cinque parole chiave, dunque. Fabbrica, innanzitutto. La produzione di qualità, ad alto valore aggiunto, quella che ci permette di continuare a essere, nonostante tutto, il secondo paese manifatturiero europeo, dopo la Germania e di affrontare le sfide di mercati globali esigenti e competitivi (potrà conoscere dei freni e delle modifiche, la globalizzazione, nell’epoca dei neo-nazionalismi e dei nuovi protezionismi ora riconfermati dalla presidenza Trump, ma non delle radicali chiusure). E una “fabbrica bella” e cioè ben disegnata e progettata (ce ne sono tante, oramai, in Italia, a cominciare dalla Pirelli di Settimo Torinese, con l’impronta d’un grande architetto come Renzo Piano), luminosa, trasparente, accogliente, sicura (la sicurezza sul lavoro è cardine fondamentale di questa idea di “bellezza”, secondo i canoni classici del “kalos kai agathos”), con basso impatto ambientale, energia rinnovabile, piena corrispondenza ai criteri della sostenibilità ambientale e sociale. Ecco qui dunque la terza parola, “sostenibilità”: una scelta di valori di fondo, nell’essere impresa, in opposizione alla rapacità della finanza speculativa e in sintonia con gli equilibri, da ricostruire e migliorare, tra “il costruire valore per gli azionisti” (fare profitti, indispensabili anche per gli investimenti, l’innovazione, la crescita, la creazione di lavoro) e l’avere un ruolo d’attore sociale responsabile dello sviluppo, d’una “economia giusta”. Come fare?

La quarta parola chiave ne dà il senso profondo: creatività. Non solo forme e funzionalità dei prodotti, il design, il “bello e ben fatto” come caratteristica distintiva del miglior “made in Italy. Ma tutto ciò che ha a che fare con l’innovazione, nel senso più ampio del termine: hi tech e medium tech, prodotti e produzioni, materiali, linguaggi, relazioni industriali, nel rapporto stretto con la ricerca e i servizi per l’impresa più sofisticati. Una tendenza originale all’innovazione, indispensabile anche di fronte alla necessità di declinare, per l’impresa italiana (piccola e media, familiare d’origine e ancora spesso di gestione, legata ai territori, inserita in reti e nuove dimensioni di distretti e meta-distretti) le sfide digitali poste da Industry 4.0.

E’ una scelta di cultura, appunto (ecco la quinta parola chiave). Di cui l’impresa è protagonista. Con questa “settimana della cultura d’impresa” che condensa un lavoro che va avanti da anni e continua oltre le date delle manifestazioni.

Il futuro dello sviluppo del nostro Paese, infatti, rafforzando la pur fragile ripresa in corso, sta nella sinergia virtuosa tra impresa e cultura, tra sofisticata e originale creatività e capacità manifatturiera che sa cogliere le sfide dell’innovazione. Una “cultura politecnica”, naturalmente, un’inclinazione tutta italiana alle sintesi tra umanesimo e scienza, visioni letterarie e artistiche e competenze tecnologiche, cultura del progetto e cultura del prodotto. Un vero e proprio “umanesimo industriale”, per riprendere il titolo della mostra organizzata quattro anni fa, dalla Fondazione Pirelli, per quella “settimana della cultura d’impresa”. E’ un’attitudine che ha radici antiche, nel Rinascimento ma anche una straordinaria forza di contemporaneità. E che si può anche riassumere nell’acronimo steam, caro ad Assolombarda e oramai diffuso nel discorso pubblico più generale (in questo blog ne abbiamo parlato più volte): le iniziali di science, technology, engineering ma anche environment, arts e manifacturing. E cioè di tutte le componenti, appunto, dell’innovazione che spinge la crescita economica, con una sottolineatura netta: l’insistenza su due lettere, sulla a delle culture creative e umanistiche e sulla m di manifacturing. Milano e la Lombardia ne sono paradigma. Nel segno di un’idea forte della competitività, legata alla maggiore e migliore diffusione dell’“economia della conoscenza”.

L’industria culturale italiana, in tutte le sue componenti e di cui proprio Milano è essenziale punto di riferimento, ha caratteristiche di grande livello, per essere parte attiva, essenziale di questo processo, per contribuire alla crescita e alla diffusione della migliore cultura d’impresa, alla costruzione di un “grande racconto popolare” della nostra sapienza manifatturiera e dell’eccellenza dei servizi collegati. Anche in questo senso, “impresa è cultura”. E, con la cultura, l’impresa può conquistare nuovi spazi di competitività.

Ci si muove secondo due obiettivi di fondo: fare crescere, nel Paese, una maggiore sensibilità rispetto ai valori dell’impresa, dell’intraprendenza, del mercato e del merito; e fare crescere, nelle imprese, la consapevolezza del proprio ruolo, non solo come attori economici fondamentali per la crescita, ma anche come attori sociali, cioè come fattori di crescita sculturale, di coesione sociale, di partecipazione. Stanno proprio qui, d’altronde, le nuove dimensioni della responsabilità sociale d’impresa, un punto d’impegno di particolare valore.

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