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La mafia è nemica di imprese e mercato, lo testimoniano anche dieci storie a teatro

Si va anche a teatro, contro la mafia. E lo si fa proprio lì, in Brianza, dove da tempo le famiglie della ‘ndrangheta hanno messo radici, fanno affari, devastano territorio e pubblica amministrazione, corrompono e travolgono politici e imprenditori. A teatro, per fare da spettatori partecipi di “Dieci storie proprio così”, portate in scena da Giulia Minoli ed Emanuela Giordano (ne è anche la regista), dapprima al Piccolo Teatro di Milano e, ieri sera, al Teatro San Rocco di Seregno, cuore della Brianza, terra appunto di imprese innovative ma anche di traffici mafiosi, documentati, oltre che da inchieste giudiziarie e sentenze, da una aggiornata ricerca commissionata da Assolombarda e condotta da Mattia Maestri per il Cross, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano diretto dal professor Nando Dalla Chiesa (mercoledì mattina, lo spettacolo sarà dedicato a un pubblico di studenti, preparati da una serie di incontri nelle scuole). L’iniziativa ha il sostegno attivo di Assolombarda, impegnata da tempo a tutelare le buone imprese e a promuovere la cultura del mercato, nella radicata convinzione che la legalità sia fattore essenziale di competitività e che le mafie siano nemiche del mercato, un ostacolo alla crescita economica. Non è un evento, dunque, il teatro antimafia. Ma un passaggio d’un lungo percorso di legalità, che coinvolge attori sociali ed economici, scuole, persone delle istituzioni. Una scelta strategica di civiltà.

Legalità, economia, qualità delle istituzioni sono temi che hanno avuto grande eco durante gli “Stati generali contro le mafie”, organizzati proprio a Milano dal ministero della Giustizia e dal Comune il 23 e il 24, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con la partecipazione di ministri, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, economisti e uomini d’impresa, studiosi. Impegno contro la corruzione, “un furto di democrazia”,  per usare l’efficace espessione del presidente Mattarella e una porta d’ingresso per i boss mafiosi nella pubblica amministrazione, ma anche un fenomeno che, pericolosamente diffuso, non va confuso tout court con la mafia. Assunzione di responsabilità contro le infiltrazioni mafiose in politica. E insistenza sulle questioni economiche.

I clan mafiosi si muovono a loro agio in contesti di finanza torbida, occupano gli spazi internazionali dei paradisi fiscali, riciclano i proventi degli affari illeciti, corrompono circuiti economici e finanziari (il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia sono consapevoli della pericolosità di tali movimenti). Trovano buone occasioni nelle opportunità offerte dal mondo “digital” per muovere denaro (“Ci sarà, un Totò Riina informatico”, sostiene Alessandro Pansa, direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la sicurezza, il coordinamento dei “servizi segreti”). E vanno combattuti con accordi internazionali di cordinamento tra autorità di controllo, magistrature, forze di polizia. Ma la repressione, essenziale, non è tutto. Sono necessari impegni politici e di società e cultura.

“Un patto per la legalità con le imprese”, propone il ministro degli Interni Marco Minniti (“IlSole24Ore”, 25 novembre), una rivitalizzazione e un rilancio del Protocollo di Legalità firmato tra Viminale e Confindustria nel 2010. E’ una prospettiva che trova Assolombarda in piena sintonia. Insiste Minniti: “Il mondo dell’economia deve essere consapevole che l’economia mafiosa inquina e distorce e dunque deve fare massa critica con le istituzioni nella difesa della legalità. Il mio è un appello lanciato a tutte le associazioni e in particolare a Confindustria”. E’ un appello importante, da raccogliere e fare vivere, anche e soprattiutto sui territori dove le mafie conoscono da tempo una pericolosa evoluzione. Come la Lombardia e Milano, aree ricche e attrattive pure per i capitali d’origine illecita, per le attività criminali.

Mafia mercatista”, dicono alcuni magistrati, “una mafia che non spara più ma si è convertita alla logica del mercato”. Giudizio corretto, se ci si riferisce alla droga, al traffico di essere umani, a “servizi” come lo smaltimento di rifiuti tossici o il “giro” di prostituzione e cocaina. Ma “mercato” è parola forse impropria: perché “mercato” è vocabolo di valore, si riferisce a competizione, regole, confronto, trasparenza, attività lecite delle imprese, scambi regolari. Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra sono invece ombra, illegalità, affari sporchi, uso della violenza per battere la concorrenza. Non è questione terminologica, ma di sostanza dei valori dell’economia. Mercato e mafia, insomma, stanno su sponde diverse della società civile. Anzi, su sponde opposte. Del mercato, la mafia è nemica. Il mercato, con la mafia non cresce, ma muore.

Sta appunto in questa consapevolezza la scelta maturata già anni fa da Assolombarda per la legalità come asse portante della cultura d’impresa e poi riconfermata nel tempo. Si ripete da tempo agli imprenditori: la mafia non è un’agenzia di servizi per risolvere i problemi della concessione o del recupero d’un credito, per ottenere un appalto, battere un concorrente, evadere il fisco con false fatture, superare un ostacolo aziendale o sindacale. La relazione con un clan mafoso sembra una facile scorciatoia, ma “brucia” un’impresa per sempre. E le altre imprese ne vengono danneggiate. La mafia, insomma, è un tumore, un veleno. Da evitare. E combattere.

La scelta del teatro civile e del coinvolgimento delle scuole, nel “microcosmo” di Monza, va in questa direzione virtuosa. Il rafforzamento a Milano dei rapporti di Assolombarda con Palazzo di Giustizia, le istituzioni, le forze dell’ordine, è cardine dell’impegno per la legalità e la competitività. Gli stimoli per una migliore cultura d’impresa e del mercato ne sono essenza. Gli “affari dei clan”, oltre che un’inciviltà, sono anche un pessimo affare per la Lombardia delle buone imprese.

Si va anche a teatro, contro la mafia. E lo si fa proprio lì, in Brianza, dove da tempo le famiglie della ‘ndrangheta hanno messo radici, fanno affari, devastano territorio e pubblica amministrazione, corrompono e travolgono politici e imprenditori. A teatro, per fare da spettatori partecipi di “Dieci storie proprio così”, portate in scena da Giulia Minoli ed Emanuela Giordano (ne è anche la regista), dapprima al Piccolo Teatro di Milano e, ieri sera, al Teatro San Rocco di Seregno, cuore della Brianza, terra appunto di imprese innovative ma anche di traffici mafiosi, documentati, oltre che da inchieste giudiziarie e sentenze, da una aggiornata ricerca commissionata da Assolombarda e condotta da Mattia Maestri per il Cross, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano diretto dal professor Nando Dalla Chiesa (mercoledì mattina, lo spettacolo sarà dedicato a un pubblico di studenti, preparati da una serie di incontri nelle scuole). L’iniziativa ha il sostegno attivo di Assolombarda, impegnata da tempo a tutelare le buone imprese e a promuovere la cultura del mercato, nella radicata convinzione che la legalità sia fattore essenziale di competitività e che le mafie siano nemiche del mercato, un ostacolo alla crescita economica. Non è un evento, dunque, il teatro antimafia. Ma un passaggio d’un lungo percorso di legalità, che coinvolge attori sociali ed economici, scuole, persone delle istituzioni. Una scelta strategica di civiltà.

Legalità, economia, qualità delle istituzioni sono temi che hanno avuto grande eco durante gli “Stati generali contro le mafie”, organizzati proprio a Milano dal ministero della Giustizia e dal Comune il 23 e il 24, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con la partecipazione di ministri, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, economisti e uomini d’impresa, studiosi. Impegno contro la corruzione, “un furto di democrazia”,  per usare l’efficace espessione del presidente Mattarella e una porta d’ingresso per i boss mafiosi nella pubblica amministrazione, ma anche un fenomeno che, pericolosamente diffuso, non va confuso tout court con la mafia. Assunzione di responsabilità contro le infiltrazioni mafiose in politica. E insistenza sulle questioni economiche.

I clan mafiosi si muovono a loro agio in contesti di finanza torbida, occupano gli spazi internazionali dei paradisi fiscali, riciclano i proventi degli affari illeciti, corrompono circuiti economici e finanziari (il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia sono consapevoli della pericolosità di tali movimenti). Trovano buone occasioni nelle opportunità offerte dal mondo “digital” per muovere denaro (“Ci sarà, un Totò Riina informatico”, sostiene Alessandro Pansa, direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la sicurezza, il coordinamento dei “servizi segreti”). E vanno combattuti con accordi internazionali di cordinamento tra autorità di controllo, magistrature, forze di polizia. Ma la repressione, essenziale, non è tutto. Sono necessari impegni politici e di società e cultura.

“Un patto per la legalità con le imprese”, propone il ministro degli Interni Marco Minniti (“IlSole24Ore”, 25 novembre), una rivitalizzazione e un rilancio del Protocollo di Legalità firmato tra Viminale e Confindustria nel 2010. E’ una prospettiva che trova Assolombarda in piena sintonia. Insiste Minniti: “Il mondo dell’economia deve essere consapevole che l’economia mafiosa inquina e distorce e dunque deve fare massa critica con le istituzioni nella difesa della legalità. Il mio è un appello lanciato a tutte le associazioni e in particolare a Confindustria”. E’ un appello importante, da raccogliere e fare vivere, anche e soprattiutto sui territori dove le mafie conoscono da tempo una pericolosa evoluzione. Come la Lombardia e Milano, aree ricche e attrattive pure per i capitali d’origine illecita, per le attività criminali.

Mafia mercatista”, dicono alcuni magistrati, “una mafia che non spara più ma si è convertita alla logica del mercato”. Giudizio corretto, se ci si riferisce alla droga, al traffico di essere umani, a “servizi” come lo smaltimento di rifiuti tossici o il “giro” di prostituzione e cocaina. Ma “mercato” è parola forse impropria: perché “mercato” è vocabolo di valore, si riferisce a competizione, regole, confronto, trasparenza, attività lecite delle imprese, scambi regolari. Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra sono invece ombra, illegalità, affari sporchi, uso della violenza per battere la concorrenza. Non è questione terminologica, ma di sostanza dei valori dell’economia. Mercato e mafia, insomma, stanno su sponde diverse della società civile. Anzi, su sponde opposte. Del mercato, la mafia è nemica. Il mercato, con la mafia non cresce, ma muore.

Sta appunto in questa consapevolezza la scelta maturata già anni fa da Assolombarda per la legalità come asse portante della cultura d’impresa e poi riconfermata nel tempo. Si ripete da tempo agli imprenditori: la mafia non è un’agenzia di servizi per risolvere i problemi della concessione o del recupero d’un credito, per ottenere un appalto, battere un concorrente, evadere il fisco con false fatture, superare un ostacolo aziendale o sindacale. La relazione con un clan mafoso sembra una facile scorciatoia, ma “brucia” un’impresa per sempre. E le altre imprese ne vengono danneggiate. La mafia, insomma, è un tumore, un veleno. Da evitare. E combattere.

La scelta del teatro civile e del coinvolgimento delle scuole, nel “microcosmo” di Monza, va in questa direzione virtuosa. Il rafforzamento a Milano dei rapporti di Assolombarda con Palazzo di Giustizia, le istituzioni, le forze dell’ordine, è cardine dell’impegno per la legalità e la competitività. Gli stimoli per una migliore cultura d’impresa e del mercato ne sono essenza. Gli “affari dei clan”, oltre che un’inciviltà, sono anche un pessimo affare per la Lombardia delle buone imprese.

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