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La riscoperta di Ernst Cassirer tra utopia e riformismo e il “Manifesto di Assisi” per la green economy sostenibile

“Correggere la società ingiusta”, scrivono sulla prima pagina del “Corriere della Sera” (domenica 27 ottobre) Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, autorevoli economisti liberali, attenti all’economia di mercato ma anche alla necessità di scelte politiche ed economiche per cercare di correggere le sempre più inaccettabili disuguaglianze: le disuguaglianze tra aree geografiche, generazioni, ceti sociali, tra le persone dotate di conoscenze utili all’economia digitale e gli altri ampi strati di popolazione che ne sono privi (il crescente digital divide che grava anche su gran parte degli italiani).

Come fare? E’ il tema cardine della sfida della sostenibilità, ambientale e sociale. Una sfida che viene posta, con sempre maggior determinazione, da ambienti economici, imprenditoriali e sindacali, da studiosi d’economia e politica (come testimoniano la rilettura di Keynes sugli investimenti pubblici produttivi e di Antonio Genovesi sull’“economia civile”, le opere di Krugman, Stiglitz e Fitoussi con il suo ultimo libro su “La neolingua dell’economia, ovvero come dire a un malato che è in buona salute” e il premio Nobel per l’Economia assegnato a tre studiosi, Michael Kremer, Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, per le loro ricerche sulla povertà e sugli strumenti per affrontarla) ma anche da autorità morali (i richiami di Papa Francesco sulla “economia giusta”) e da parte crescente dell’opinione pubblica, a cominciare dalle generazioni dei millennials attentissimi ai rischi di devastazione dell’ambiente.

Alesina e Giavazzi sostengono che le disuguaglianze sono particolarmente inaccettabili quando si accompagnano all’immobilità sociale, “cioè quando i ricchi rimangono ricchi per generazioni anche se fanno poco o nulla, mentre i poveri rimangono affossarti nella povertà anche se si impegnano per uscirne”. E propongono una riforma fiscale che tassi con intelligenza ed equilibrio eredità e donazioni intra-familiari, abbassando contemporaneamente il prelievo fiscale sui redditi più alti (liberando così risorse per consumi e investimenti). Vanno detassate le donazioni di quote ereditarie per enti no-profit (scuole, università, fondazioni) per sostenere borse di studio destinate a ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito. E, sul versante della previdenza, bisogna legare l’età pensionabile alle aspettative di vita, evitando che le pensioni pagate a lungo agli anziani gravino sulle nuove generazioni, bruciando le loro risorse e le loro speranze (insomma, aveva ragione la ingiustamente vituperata “riforma Fornero” ed è invece fonte di ulteriori squilibri la costosa, ingiusta e insostenibile “quota 100”).

Fin qui i ragionamenti di Alesina e Giavazzi. Ma altro si può aggiungere. Pensare a massicci investimenti pubblici e a stimoli per gli investimenti privati sulla scuola e sulla formazione, secondo l’ottica del long life learning (ne abbiamo scritto nel blog della scorsa settimana), per mettere migliaia di persone al passo con i cambiamenti di conoscenze e competenze adatte all’evoluzione dei lavori in tempi di “economia della conoscenza” e di diffusione della AI (artificial intelligence). E fare scelte di politica economica a vantaggio della competitività delle imprese, sinora il luogo più adatto per la mobilità sociale (per poter fare fronte alla concorrenza, si assumono e si premiano soprattutto le persone brave, a prescindere da famiglia di provenienza, genere, razza, opinioni culturali e religiose).

La scelta della sostenibilità è una ambiziosa strategia, con uno sguardo di lungo periodo e una pratica riformista quotidiana, di misure coerenti e incisive. L’indicazione di riferimento può partire dalla lezione di uno dei maggiori filosofi del Novecento, Ernst Cassirer: “La grande missione dell’utopia è di dare adito al possibile, in opposizione alla passiva acquiescenza all’attuale stato di cose. E’ il pensiero simbolico che trionfa della naturale inerzia dell’uomo e lo dota di una nuova facoltà, la facoltà di riformare continuamente il suo universo”.

La pratica politica, dal “pensiero simbolico” all’azione, può avere come riferimento il “Manifesto” di Assisi “per un’economia a misura d’uomo”, annunciato un paio di settimane fa e firmato da Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, Catia Bastioli, Ceo di Novamont (le “plastiche verdi”), Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento francescano di Assisi e da altre cinquanta personalità dell’economia e della cultura (tra gli altri, Renzo Piano, Francesco Profumo, Enrico Giovannini, Stefano Zamagni, Carlo Sangalli, Carlo Petrini, Maurizio Lusetti, Leonardo Becchetti e anche chi scrive questo blog). L’obiettivo: “Affrontare con coraggio la crisi climatica”, con scelte “che rappresentano una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”. Sostenibilità come chiave di qualità del lavoro e della vita e di competitività delle imprese, dell’economia.

Sostiene Realacci: “L’Italia è molto avanti su questa strada. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’economia circolare e sostenibile. Siamo, per esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo di rifiuti prodotti”, il 79% rispetto al 55% della Francia e al 43% della Germania (”Buone notizie” del “Corriere della Sera”, 22 ottobre). L’economia green genera 3,1 milioni di posti di lavoro, un dato in crescita, in ruoli ad alto livello di specializzazione e di qualità. Stimola nuove imprese. Abbatte i costi dell’energia. Migliora il conto economico delle imprese. Rende i prodotti e i servizi più accettati dal mercato dei consumatori responsabili. Contribuisce a quel “cambio di paradigma” indispensabile per orientare lo sviluppo economico verso migliori equilibri ambientali e sociali (lo documenta ancora una volta il rapporto “GreenItaly 2019” di Symbola e Unioncamere, presentato ieri a Roma).

Insiste Realacci: “Non esistono solo gli estremi come il business as usual o la decrescita felice. Abbiamo bisogno di un obiettivo per mettere in moto le energie. E l’Italia può fare molto, con la sua cultura del civismo, le sue imprese diffuse sul territorio e con una grande sensibilità sociale”. Utopia e riformismo. Appunto, alla Cassirer.

 

“Correggere la società ingiusta”, scrivono sulla prima pagina del “Corriere della Sera” (domenica 27 ottobre) Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, autorevoli economisti liberali, attenti all’economia di mercato ma anche alla necessità di scelte politiche ed economiche per cercare di correggere le sempre più inaccettabili disuguaglianze: le disuguaglianze tra aree geografiche, generazioni, ceti sociali, tra le persone dotate di conoscenze utili all’economia digitale e gli altri ampi strati di popolazione che ne sono privi (il crescente digital divide che grava anche su gran parte degli italiani).

Come fare? E’ il tema cardine della sfida della sostenibilità, ambientale e sociale. Una sfida che viene posta, con sempre maggior determinazione, da ambienti economici, imprenditoriali e sindacali, da studiosi d’economia e politica (come testimoniano la rilettura di Keynes sugli investimenti pubblici produttivi e di Antonio Genovesi sull’“economia civile”, le opere di Krugman, Stiglitz e Fitoussi con il suo ultimo libro su “La neolingua dell’economia, ovvero come dire a un malato che è in buona salute” e il premio Nobel per l’Economia assegnato a tre studiosi, Michael Kremer, Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, per le loro ricerche sulla povertà e sugli strumenti per affrontarla) ma anche da autorità morali (i richiami di Papa Francesco sulla “economia giusta”) e da parte crescente dell’opinione pubblica, a cominciare dalle generazioni dei millennials attentissimi ai rischi di devastazione dell’ambiente.

Alesina e Giavazzi sostengono che le disuguaglianze sono particolarmente inaccettabili quando si accompagnano all’immobilità sociale, “cioè quando i ricchi rimangono ricchi per generazioni anche se fanno poco o nulla, mentre i poveri rimangono affossarti nella povertà anche se si impegnano per uscirne”. E propongono una riforma fiscale che tassi con intelligenza ed equilibrio eredità e donazioni intra-familiari, abbassando contemporaneamente il prelievo fiscale sui redditi più alti (liberando così risorse per consumi e investimenti). Vanno detassate le donazioni di quote ereditarie per enti no-profit (scuole, università, fondazioni) per sostenere borse di studio destinate a ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito. E, sul versante della previdenza, bisogna legare l’età pensionabile alle aspettative di vita, evitando che le pensioni pagate a lungo agli anziani gravino sulle nuove generazioni, bruciando le loro risorse e le loro speranze (insomma, aveva ragione la ingiustamente vituperata “riforma Fornero” ed è invece fonte di ulteriori squilibri la costosa, ingiusta e insostenibile “quota 100”).

Fin qui i ragionamenti di Alesina e Giavazzi. Ma altro si può aggiungere. Pensare a massicci investimenti pubblici e a stimoli per gli investimenti privati sulla scuola e sulla formazione, secondo l’ottica del long life learning (ne abbiamo scritto nel blog della scorsa settimana), per mettere migliaia di persone al passo con i cambiamenti di conoscenze e competenze adatte all’evoluzione dei lavori in tempi di “economia della conoscenza” e di diffusione della AI (artificial intelligence). E fare scelte di politica economica a vantaggio della competitività delle imprese, sinora il luogo più adatto per la mobilità sociale (per poter fare fronte alla concorrenza, si assumono e si premiano soprattutto le persone brave, a prescindere da famiglia di provenienza, genere, razza, opinioni culturali e religiose).

La scelta della sostenibilità è una ambiziosa strategia, con uno sguardo di lungo periodo e una pratica riformista quotidiana, di misure coerenti e incisive. L’indicazione di riferimento può partire dalla lezione di uno dei maggiori filosofi del Novecento, Ernst Cassirer: “La grande missione dell’utopia è di dare adito al possibile, in opposizione alla passiva acquiescenza all’attuale stato di cose. E’ il pensiero simbolico che trionfa della naturale inerzia dell’uomo e lo dota di una nuova facoltà, la facoltà di riformare continuamente il suo universo”.

La pratica politica, dal “pensiero simbolico” all’azione, può avere come riferimento il “Manifesto” di Assisi “per un’economia a misura d’uomo”, annunciato un paio di settimane fa e firmato da Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, Catia Bastioli, Ceo di Novamont (le “plastiche verdi”), Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento francescano di Assisi e da altre cinquanta personalità dell’economia e della cultura (tra gli altri, Renzo Piano, Francesco Profumo, Enrico Giovannini, Stefano Zamagni, Carlo Sangalli, Carlo Petrini, Maurizio Lusetti, Leonardo Becchetti e anche chi scrive questo blog). L’obiettivo: “Affrontare con coraggio la crisi climatica”, con scelte “che rappresentano una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”. Sostenibilità come chiave di qualità del lavoro e della vita e di competitività delle imprese, dell’economia.

Sostiene Realacci: “L’Italia è molto avanti su questa strada. Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, siamo protagonisti nel campo dell’economia circolare e sostenibile. Siamo, per esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo di rifiuti prodotti”, il 79% rispetto al 55% della Francia e al 43% della Germania (”Buone notizie” del “Corriere della Sera”, 22 ottobre). L’economia green genera 3,1 milioni di posti di lavoro, un dato in crescita, in ruoli ad alto livello di specializzazione e di qualità. Stimola nuove imprese. Abbatte i costi dell’energia. Migliora il conto economico delle imprese. Rende i prodotti e i servizi più accettati dal mercato dei consumatori responsabili. Contribuisce a quel “cambio di paradigma” indispensabile per orientare lo sviluppo economico verso migliori equilibri ambientali e sociali (lo documenta ancora una volta il rapporto “GreenItaly 2019” di Symbola e Unioncamere, presentato ieri a Roma).

Insiste Realacci: “Non esistono solo gli estremi come il business as usual o la decrescita felice. Abbiamo bisogno di un obiettivo per mettere in moto le energie. E l’Italia può fare molto, con la sua cultura del civismo, le sue imprese diffuse sul territorio e con una grande sensibilità sociale”. Utopia e riformismo. Appunto, alla Cassirer.

 

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