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L’Europa, un “Piano Marshall” per le infrastutture per rafforzare l’integrazione e favorire sviluppo

L’Europa, per l’impresa italiana, è uno scenario di riferimento essenziale. Un’Europa che, al di là dei miti fondativi, ha bisogno di riflettere profondamente sulla sua crisi e su un funzionamento di strutture e burocrazie che incontrano crescenti critiche in larghi settori dell’opinione pubblica.

Per ragionare di riforme e rilancio vale la pena partire da un intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, davanti a una platea di ragazzi universitari di Lund, durante una visita in Svezia, il 15 novembre scorso: l’Europa “attraversa una fase complessa”, in cui “le sollecitazioni e le scosse che l’edificio comune deve assorbire sono intense” ma bisogna andare avanti. L’Europa non è una semplice unione doganale” né tantomeno “un comitato d’affari” ma molto di più: “Stabilità e sicurezza”.

Segnali essenziali vengono anche dal mondo dell’economia: “Se l’Europa avesse uno scatto di dignità e culturale tornerebbe a ragionare sui fondamentali, lancerebbe un grande piano infrastrutturale e creerebbe valore per tutti. Un progetto di ampio respiro non avrebbe difficoltà a essere finanziato da tutte le grandi banche internazionali”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli, lanciando, in un’intervista a “Il Sole24Ore” del 16 novembre,  la proposta di un piano di investimenti su scala continentale e richiamando il Piano Marshall del secondo dopoguerra. Un intervento che avrebbe anche un’ambizione politica: “L’Europa non è mai stata unificata davvero e l’unione, come dimostra la storia, la fanno le infrastrutture”.

La proposta parte da una visione critica dell’attuale Ue, non mette naturalmente in dubbio la moneta unica ma suggerisce un cambiamento: “Dall’Europa del rigore all’Europa dello sviluppo”: dopo Jacques Delors, secondo Tronchetti, in Europa s’è creato “un sistema di regole dove il rigore ha distrutto la crescita invece di promuovere lo sviluppo e l’integrazione. Con la follia di unire la moneta senza unire veramente l’economia. Si è proceduto a un allargamento prematuro a 27 paesi che ha bloccato il sistema, in assenza di un quadro infrastrutturale comune. Per non parlare della difesa, della politica estera, della politica energetica”. Serve insomma uno scatto d’orgoglio e di fantasia politica, un grande progetto di rilancio europeo. Le infrastrutture, materiali e immateriali, le strade, le ferrovie e i porti e la rete di connessioni digitali, hanno un ruolo essenziale: promuovono sviluppo, rinsaldano i legami, fanno comunità. La proposta di Tronchetti ha avuto eco e raccolto consensi in ambienti vasti, di imprenditori e politici: “Occorre investire sulle reti, colmando il ritardo europeo”, commenta Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa San Paolo; “Gli europeisti veri sono convinti che vada rianciato il processo di intagrazione”, sostiene Albero Bombassei, presidente Brembo. E sull’Europa come spazio cardine di competitività insistono Marco Bonometti, Omr, industria automotive, Giuseppe Pasini, acciaio, presidente degli industriali di Brescia, Alessandro Spada, impiantistica, vicepresidente di Assolombarda e un autorevole economista come Giorgio Barba Navaretti: “Europa casa comune con regole e progetti”.

La proposta di Tronchetti sul Piano Marshall per le infrastrutture sposta il segno del discorso pubblico verso un’idea responsabile di riforma e rilancio. Evita le secche della propaganda dei “No” e ripropone in positivo la relazione sviluppo economico-istituzioni-democrazia. Un buon esempio di “riformismo europeo”. Una strada da seguire.

Ha dunque ragione Giuliano Ferrara quando, da buon conoscitore della politica europea, proclama, su “Il Foglio”: “Adesso basta vergognarsi dell’Europa”. E spiega: “Europa 2019 è una cosa seria e il senso della prossima campagna elettorale sarà chiarire ciò che conta, far capire la natura del conflitto e della divisione. L’Europa è pace, l’Antieuropa è guerra. Ora basta scherzare, è ora di lottare”. Nella dimensione appassionata e responsabile delle politica, l’appello di Ferrara coglie un punto essenziale: su grandi scelte che riguardano il futuro di tutti, serve un dibattito aperto, franco, libero, carico non di propaganda ma di conoscenza di valori e interessi, di fatti e conseguenze. Servono, insomma, buona politica e informazione seria.

Proprio in questo contesto vale la pena ricordare un altro monito del presidente della Repubblica Mattarella, nel centenario della fine della Grande Guerra: “Nessuno Stato ce la farà da solo. E proprio il ricordo di quel conflitto così drammatico e doloroso impone di rafforzare la cooperazione tra i popoli. Non torneremo agli anni Venti o agli anni Trenta. Non temo la ricomparsa degli spettri del passato, anche se mi preoccupano pulsioni di egoismi e supremazie d’interessi contro quelli degli altri”. Memoria storica, contro “il nazionalismo che portò la guerra”. Con un richiamo d’attualità: “Nell’imminenza della Grande Guerra furono compiute manipolazioni gravi a danno delle opinioni pubbliche: un rischio da cui, con i pericoli che corrono sul web, occorre guardarsi anche oggi”.

E’ stata ricchezza diffusa, l’Europa, dai valori fondativi del “Manifesto di Ventotene” (sottoscritto nel 1944 in un’isola dell’esilio antifascista da quattro personalità di grande cultura, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann) alle scelte politiche dei “padri dell’Europa” Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e Paul-Henri Spaak, dai primi mercati aperti sino all’attualità dell’euro, della Banca Centrale Europea e delle politiche fiscali e sociali comuni. Scambi. Integrazioni di filiere produttive (i legami tra industria tedesca e industria italiana, dall’automotive alla meccanica, dalla robotica alla chimica, sono sempre più stretti). E quella straordinaria esperienza popolare dell’Erasmus, gli scambi scolastici che in trent’anni hanno permesso a quattro milioni di ragazzi di vivere nel cuore di altri paesi della Ue, di sentirsi davvero europei, in una costruzione d’identità ricca e molteplice. E pace e collaborazione internazionale, una delle più lunghe stagioni di pace e benessere di tutta la storia dell’Europa.

Un processo complesso e contraddittorio, naturalmente, come tutte le costruzioni storiche dell’uomo. Tutt’altro che privo di limiti ed errori. Adesso, pensando già alla prospettiva delle elezioni della primavera 2019 per il rinnovo del Parlamento della Ue, emerge chiara la responsabilità di chi siede al vertice di governi e istituzioni di saper costruire un discorso pubblico serio, competente, forte d’un credibile progetto di riforma e non alimentato da demagogie e animosità polemiche. Il quadro è quello d’una Europa percorsa da tensioni e contrasti, con spinte nazionaliste e populiste, tra le rigidità poco liberali del “Gruppo di Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, il cui benessere, però, dipende molto dai finanziamenti della Ue e dagli investimenti dei principali paesi europei), le fratture della Brexit e la fragilità dell’asse tradizionale tra Francia e Germania, le nuove tendenze della politica del governo Lega-5Stelle a cambiare il tradizionale orientamento filo-atlantico e filo europeo della politica estera italiana e a privilegiare invece gli Usa di Trump e la Russia di Putin, entrambi, pur se per motivi diversi, ostili alla Ue, anzi, peggio, attivamente impegnati per il suo dissolvimento. Ne è protagonista proprio il vice-premier Matteo Salvini, ministro degli Interni e leader della Lega, l’uomo forte del governo: “In Russia mi sento a casa mia, mentre in alcuni paesi Ue no”, ha detto durante una visita a Mosca, a metà ottobre 2018, suscitando un mare di polemiche. E, allargando lo sguardo, ecco il parere preoccupato di Colin Crouch, politologo di grande spessore: “I nazionalisti del Vecchio Continente sono al servizio di un disegno ispirato da Trump e Putin: distruggere la Ue”.

C’è dunque un’Europa insidiata da forze di potere globali che tendono a indebolirla. Ma l’Europa è un insieme di valori troppo importanti per non impegnarsi a evitarne la crisi. E dunque è un’Europa essenziale, da riformare e rafforzare, come garanzia di migliori equilibri sia internazionali che interni: l’Europa del welfare, della condivisione, dell’inclusione sociale, delle libertà e della democrazia liberale. Un “patrimonio dell’umanità”, se si volessero usare le categorie dell’Unesco. Una forza di sviluppo positiva. Più Europa, quindi. E un’Europa più politica. Ne è convinta anche Marta Dassù, sofisticata analista di politica internazionale, direttrice di “Aspenia”, la rivista dell’Aspen Institute Italia: “Rifondare il legame tra le democrazie occidentali, nell’era dell’ascesa delle potenze autoritarie, rientra nei migliori interessi europei e in quelli dell’America”.

“All’Europa serve più integrazione”, dichiara in sistesi Mario Draghi, presidente della Bce, consapevole da tempo dei rischi che si corrono nell’aggravarsi degli scontri tra un’Italia “sovranista” e incurante dei vincoli sui comuni conti pubblici e i “falchi” dei paesi del Nord che mai hanno amato una declinazione “mediterranea” dell’Europa e sono sempre pronti a picchiare sull’Italia per concentrare poteri e risorse nel recinto “continentale” e mitteleuropeo.

L’Europa ha bisogno di critiche e riforme, non di picconatori, per il bene della “casa comune”. E l’Italia, di quest’Europa, è stata fondatrice e poi, nel tempo, partner di primo piano. Un ruolo che va riconfermato e difeso, proprio in una stagione in cui l’Europa e l’integrazione devono fare passi importanti di cambiamento e miglioramento.

L’Europa, per l’impresa italiana, è uno scenario di riferimento essenziale. Un’Europa che, al di là dei miti fondativi, ha bisogno di riflettere profondamente sulla sua crisi e su un funzionamento di strutture e burocrazie che incontrano crescenti critiche in larghi settori dell’opinione pubblica.

Per ragionare di riforme e rilancio vale la pena partire da un intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, davanti a una platea di ragazzi universitari di Lund, durante una visita in Svezia, il 15 novembre scorso: l’Europa “attraversa una fase complessa”, in cui “le sollecitazioni e le scosse che l’edificio comune deve assorbire sono intense” ma bisogna andare avanti. L’Europa non è una semplice unione doganale” né tantomeno “un comitato d’affari” ma molto di più: “Stabilità e sicurezza”.

Segnali essenziali vengono anche dal mondo dell’economia: “Se l’Europa avesse uno scatto di dignità e culturale tornerebbe a ragionare sui fondamentali, lancerebbe un grande piano infrastrutturale e creerebbe valore per tutti. Un progetto di ampio respiro non avrebbe difficoltà a essere finanziato da tutte le grandi banche internazionali”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli, lanciando, in un’intervista a “Il Sole24Ore” del 16 novembre,  la proposta di un piano di investimenti su scala continentale e richiamando il Piano Marshall del secondo dopoguerra. Un intervento che avrebbe anche un’ambizione politica: “L’Europa non è mai stata unificata davvero e l’unione, come dimostra la storia, la fanno le infrastrutture”.

La proposta parte da una visione critica dell’attuale Ue, non mette naturalmente in dubbio la moneta unica ma suggerisce un cambiamento: “Dall’Europa del rigore all’Europa dello sviluppo”: dopo Jacques Delors, secondo Tronchetti, in Europa s’è creato “un sistema di regole dove il rigore ha distrutto la crescita invece di promuovere lo sviluppo e l’integrazione. Con la follia di unire la moneta senza unire veramente l’economia. Si è proceduto a un allargamento prematuro a 27 paesi che ha bloccato il sistema, in assenza di un quadro infrastrutturale comune. Per non parlare della difesa, della politica estera, della politica energetica”. Serve insomma uno scatto d’orgoglio e di fantasia politica, un grande progetto di rilancio europeo. Le infrastrutture, materiali e immateriali, le strade, le ferrovie e i porti e la rete di connessioni digitali, hanno un ruolo essenziale: promuovono sviluppo, rinsaldano i legami, fanno comunità. La proposta di Tronchetti ha avuto eco e raccolto consensi in ambienti vasti, di imprenditori e politici: “Occorre investire sulle reti, colmando il ritardo europeo”, commenta Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa San Paolo; “Gli europeisti veri sono convinti che vada rianciato il processo di intagrazione”, sostiene Albero Bombassei, presidente Brembo. E sull’Europa come spazio cardine di competitività insistono Marco Bonometti, Omr, industria automotive, Giuseppe Pasini, acciaio, presidente degli industriali di Brescia, Alessandro Spada, impiantistica, vicepresidente di Assolombarda e un autorevole economista come Giorgio Barba Navaretti: “Europa casa comune con regole e progetti”.

La proposta di Tronchetti sul Piano Marshall per le infrastrutture sposta il segno del discorso pubblico verso un’idea responsabile di riforma e rilancio. Evita le secche della propaganda dei “No” e ripropone in positivo la relazione sviluppo economico-istituzioni-democrazia. Un buon esempio di “riformismo europeo”. Una strada da seguire.

Ha dunque ragione Giuliano Ferrara quando, da buon conoscitore della politica europea, proclama, su “Il Foglio”: “Adesso basta vergognarsi dell’Europa”. E spiega: “Europa 2019 è una cosa seria e il senso della prossima campagna elettorale sarà chiarire ciò che conta, far capire la natura del conflitto e della divisione. L’Europa è pace, l’Antieuropa è guerra. Ora basta scherzare, è ora di lottare”. Nella dimensione appassionata e responsabile delle politica, l’appello di Ferrara coglie un punto essenziale: su grandi scelte che riguardano il futuro di tutti, serve un dibattito aperto, franco, libero, carico non di propaganda ma di conoscenza di valori e interessi, di fatti e conseguenze. Servono, insomma, buona politica e informazione seria.

Proprio in questo contesto vale la pena ricordare un altro monito del presidente della Repubblica Mattarella, nel centenario della fine della Grande Guerra: “Nessuno Stato ce la farà da solo. E proprio il ricordo di quel conflitto così drammatico e doloroso impone di rafforzare la cooperazione tra i popoli. Non torneremo agli anni Venti o agli anni Trenta. Non temo la ricomparsa degli spettri del passato, anche se mi preoccupano pulsioni di egoismi e supremazie d’interessi contro quelli degli altri”. Memoria storica, contro “il nazionalismo che portò la guerra”. Con un richiamo d’attualità: “Nell’imminenza della Grande Guerra furono compiute manipolazioni gravi a danno delle opinioni pubbliche: un rischio da cui, con i pericoli che corrono sul web, occorre guardarsi anche oggi”.

E’ stata ricchezza diffusa, l’Europa, dai valori fondativi del “Manifesto di Ventotene” (sottoscritto nel 1944 in un’isola dell’esilio antifascista da quattro personalità di grande cultura, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann) alle scelte politiche dei “padri dell’Europa” Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman e Paul-Henri Spaak, dai primi mercati aperti sino all’attualità dell’euro, della Banca Centrale Europea e delle politiche fiscali e sociali comuni. Scambi. Integrazioni di filiere produttive (i legami tra industria tedesca e industria italiana, dall’automotive alla meccanica, dalla robotica alla chimica, sono sempre più stretti). E quella straordinaria esperienza popolare dell’Erasmus, gli scambi scolastici che in trent’anni hanno permesso a quattro milioni di ragazzi di vivere nel cuore di altri paesi della Ue, di sentirsi davvero europei, in una costruzione d’identità ricca e molteplice. E pace e collaborazione internazionale, una delle più lunghe stagioni di pace e benessere di tutta la storia dell’Europa.

Un processo complesso e contraddittorio, naturalmente, come tutte le costruzioni storiche dell’uomo. Tutt’altro che privo di limiti ed errori. Adesso, pensando già alla prospettiva delle elezioni della primavera 2019 per il rinnovo del Parlamento della Ue, emerge chiara la responsabilità di chi siede al vertice di governi e istituzioni di saper costruire un discorso pubblico serio, competente, forte d’un credibile progetto di riforma e non alimentato da demagogie e animosità polemiche. Il quadro è quello d’una Europa percorsa da tensioni e contrasti, con spinte nazionaliste e populiste, tra le rigidità poco liberali del “Gruppo di Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, il cui benessere, però, dipende molto dai finanziamenti della Ue e dagli investimenti dei principali paesi europei), le fratture della Brexit e la fragilità dell’asse tradizionale tra Francia e Germania, le nuove tendenze della politica del governo Lega-5Stelle a cambiare il tradizionale orientamento filo-atlantico e filo europeo della politica estera italiana e a privilegiare invece gli Usa di Trump e la Russia di Putin, entrambi, pur se per motivi diversi, ostili alla Ue, anzi, peggio, attivamente impegnati per il suo dissolvimento. Ne è protagonista proprio il vice-premier Matteo Salvini, ministro degli Interni e leader della Lega, l’uomo forte del governo: “In Russia mi sento a casa mia, mentre in alcuni paesi Ue no”, ha detto durante una visita a Mosca, a metà ottobre 2018, suscitando un mare di polemiche. E, allargando lo sguardo, ecco il parere preoccupato di Colin Crouch, politologo di grande spessore: “I nazionalisti del Vecchio Continente sono al servizio di un disegno ispirato da Trump e Putin: distruggere la Ue”.

C’è dunque un’Europa insidiata da forze di potere globali che tendono a indebolirla. Ma l’Europa è un insieme di valori troppo importanti per non impegnarsi a evitarne la crisi. E dunque è un’Europa essenziale, da riformare e rafforzare, come garanzia di migliori equilibri sia internazionali che interni: l’Europa del welfare, della condivisione, dell’inclusione sociale, delle libertà e della democrazia liberale. Un “patrimonio dell’umanità”, se si volessero usare le categorie dell’Unesco. Una forza di sviluppo positiva. Più Europa, quindi. E un’Europa più politica. Ne è convinta anche Marta Dassù, sofisticata analista di politica internazionale, direttrice di “Aspenia”, la rivista dell’Aspen Institute Italia: “Rifondare il legame tra le democrazie occidentali, nell’era dell’ascesa delle potenze autoritarie, rientra nei migliori interessi europei e in quelli dell’America”.

“All’Europa serve più integrazione”, dichiara in sistesi Mario Draghi, presidente della Bce, consapevole da tempo dei rischi che si corrono nell’aggravarsi degli scontri tra un’Italia “sovranista” e incurante dei vincoli sui comuni conti pubblici e i “falchi” dei paesi del Nord che mai hanno amato una declinazione “mediterranea” dell’Europa e sono sempre pronti a picchiare sull’Italia per concentrare poteri e risorse nel recinto “continentale” e mitteleuropeo.

L’Europa ha bisogno di critiche e riforme, non di picconatori, per il bene della “casa comune”. E l’Italia, di quest’Europa, è stata fondatrice e poi, nel tempo, partner di primo piano. Un ruolo che va riconfermato e difeso, proprio in una stagione in cui l’Europa e l’integrazione devono fare passi importanti di cambiamento e miglioramento.

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