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L’industria italiana e il suo dilemma

Manifattura prima di tutto. Se l’Italia ha un futuro economico – come naturalmente è -, questo passa in gran parte per il rilancio della nostra capacità manifatturiera. Oggi come ieri e soprattutto domani. Si tratta di un’idea accettata da molti, quasi tutti. Ma occorre capire come realizzarla e sulla base di quali principi.

Per questo serve leggere “Il dilemma dell’impresa italiana” di Armando Brandolese: una sorta di ragionamento ad alta voce sugli errori di politica industriale commessi e su, soprattutto, quanto occorre fare adesso, nel momento in cui pare si sia arrestata la discesa nel baratro della recessione.

Bandolese racconta quindi (con esempi concreti e un’analisi storica puntuale), come, per troppo tempo e in troppi ambienti, ci si è dimenticati dell’importanza della nostra capacità manifatturiera.”Il settore manifatturiero – viene spiegato -, continua a essere un brand dell’Italia nel mondo prima di quelli legati alla moda, all’arte, al turismo e alla  cucina. Il manufacturing e la meccanica di precisione ci sono invidiati in tutto il mondo”. Peccato che – a causa dei costi di produzione, della burocrazia e di un generale ambiente poco favorevole all’industria -, parti importanti della nostra industria negli anni siano migrate all’estero. Una soluzione per sopravvivere ma dagli effetti molto pericolosi. Perché delocalizzare significa prima o poi perdere qualità, competenze, sensibilità tecniche, miglioramenti incrementali, controllo della filiera, a meno di spostare all’estero anche la ricerca. Ma a questo punto – dice Brandolese -,  sarebbe l’impresa italiana tutta a battere un’altra bandiera.

Ecco quindi il dilemma. Che fare per sopravvivere?

Per l’autore del volume (che comprende anche un intervento di Alberto Bombassei e uno di Giovanni Cavallini),  tutto ciò si trasforma in una richiesta: occorre mettere mano per davvero ad una politica industriale che si rispetti e che guardi proprio al mantenimento della manifattura nel nostro Paese. E, quindi, occorre ragionare bene ogni volta che all’orizzonte si presenta la possibilità di delocalizzare. Perché quando si va in questa direzione, dice Brandolese, non si pone attenzione a due  punti essenziali: “Da un lato, lo stretto legame fra processo produttivo e capacità di innovazione sui prodotti; dall’altro, l’incongruenza assoluta tra la scelta di off-shoring e outsourcing e l’enfasi sulla qualità, presentata spesso come elemento qualificante e distintivo della propria produzione”.

Il dilemma dell’impresa italiana

Armando Brandolese

Brioschi, 2012

Manifattura prima di tutto. Se l’Italia ha un futuro economico – come naturalmente è -, questo passa in gran parte per il rilancio della nostra capacità manifatturiera. Oggi come ieri e soprattutto domani. Si tratta di un’idea accettata da molti, quasi tutti. Ma occorre capire come realizzarla e sulla base di quali principi.

Per questo serve leggere “Il dilemma dell’impresa italiana” di Armando Brandolese: una sorta di ragionamento ad alta voce sugli errori di politica industriale commessi e su, soprattutto, quanto occorre fare adesso, nel momento in cui pare si sia arrestata la discesa nel baratro della recessione.

Bandolese racconta quindi (con esempi concreti e un’analisi storica puntuale), come, per troppo tempo e in troppi ambienti, ci si è dimenticati dell’importanza della nostra capacità manifatturiera.”Il settore manifatturiero – viene spiegato -, continua a essere un brand dell’Italia nel mondo prima di quelli legati alla moda, all’arte, al turismo e alla  cucina. Il manufacturing e la meccanica di precisione ci sono invidiati in tutto il mondo”. Peccato che – a causa dei costi di produzione, della burocrazia e di un generale ambiente poco favorevole all’industria -, parti importanti della nostra industria negli anni siano migrate all’estero. Una soluzione per sopravvivere ma dagli effetti molto pericolosi. Perché delocalizzare significa prima o poi perdere qualità, competenze, sensibilità tecniche, miglioramenti incrementali, controllo della filiera, a meno di spostare all’estero anche la ricerca. Ma a questo punto – dice Brandolese -,  sarebbe l’impresa italiana tutta a battere un’altra bandiera.

Ecco quindi il dilemma. Che fare per sopravvivere?

Per l’autore del volume (che comprende anche un intervento di Alberto Bombassei e uno di Giovanni Cavallini),  tutto ciò si trasforma in una richiesta: occorre mettere mano per davvero ad una politica industriale che si rispetti e che guardi proprio al mantenimento della manifattura nel nostro Paese. E, quindi, occorre ragionare bene ogni volta che all’orizzonte si presenta la possibilità di delocalizzare. Perché quando si va in questa direzione, dice Brandolese, non si pone attenzione a due  punti essenziali: “Da un lato, lo stretto legame fra processo produttivo e capacità di innovazione sui prodotti; dall’altro, l’incongruenza assoluta tra la scelta di off-shoring e outsourcing e l’enfasi sulla qualità, presentata spesso come elemento qualificante e distintivo della propria produzione”.

Il dilemma dell’impresa italiana

Armando Brandolese

Brioschi, 2012

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