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L’Italia in recessione è un “rischio globale”. Allarme Fmi sul governo dell’economia

Stagnazione”, dice il ministro dell’Economia Tria: produzione e Pil immobili, senza crescita. “Recessione”, sostiene la Banca d’Italia, temendo che anche il secondo trimestre del 2018 sia stato a crescita negativa (i dati ufficiali arriveranno il 31 gennaio). C’è differenza tecnica, tra i due fenomeni. Ma non così rilevante. Dal punto di vista dell’andamento dell’economia italiana, tra crescita 0 e crescita -1, un fatto emerge con grande chiarezza agli occhi di imprenditori, operatori economici, cittadini: l’Italia è un paese bloccato, con conseguenze profondamente negative su ricchezza, redditi, lavoro. “L’Italia ha attraversato il 2018 all’insegna del rallentamento”, sostiene il XXIII Rapporto sull’Economia globale del Centro Einaudi, presentato ieri in Assolombarda, a Milano, da Mario Deaglio e per il futuro “il quadro è incerto”, per non dire “un grande mah”.

Le previsioni per il 2019 sono abbastanza allarmanti. Il Fondo Monetario Internazionale, nell’analisi sulle economie mondiali presentata ieri al World Economic Forum a Davos, mette la situazione finanziaria dell’Italia e la Brexit al primo posto tra i principali fattori di rischio globale e insiste “sul costoso intreccio tra rischi sovrani e rischi finanziari” che appunto dall’Italia può contagiare la Ue ma anche altre economie. Una situazione grave. Di fronte alla quale, in totale dissonanza con dati e fatti, il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio azzarda la previsione di “un nuovo boom economico” simile per intensità a quello dei primi anni Sessanta (allora l’Italia, in piena industrializzazione di massa, cresceva del 5% all’anno).

Su quali considerazioni siano fondati i giudizi del ministro Di Maio non è purtroppo chiaro. Più espliciti i dati che vengono, sulla base di studi accurati e robuste documentazioni, da autorevoli istituzioni economiche.

Il Fondo Monetario parla, per l’Italia, di una crescita dello 0,6% appena nel 2019, un dato corretto al ribasso rispetto a stime precedenti, nel contesto di una crescita Ue indebolita: 1,6% contro l’1,9% precedente, a causa del rallentamento tedesco (segnato in negativo dalla crisi dell’auto) e delle tensioni sociali francesi. 0,6% prevede anche la Banca d’Italia. 0,7% un panel di economisti sondati ai primi di gennaio da Bloomberg. Altri pensano peggio ancora: 0,3%, stima Oxford Economics, 0,4% aveva già detto in dicembre Goldman Sachs. “Difficile anche un Pil allo 0,5%”, stima un economista autorevole come Guido Tabellini, ex rettore dell’Università Bocconi, su “La Stampa”. Sullo 0,5% concorda anche un altro economista di peso internazionale, Carlo Cottarelli.

E il governo? Era partito da 1,5% nella preparazione della legge di Bilancio, in autunno, poi ha dovuto frenare l’ottimismo costruendo la legge sulll’1%. Fmi e Banca d’Italia hanno quasi dimezzato questa previsione.

Tensioni commerciali internazionali, dietro questo rallentamento dell’economia. Ma anche cause tutte italiane. Investimenti fermi. Cantieri dei lavori pubblici bloccati (la politica del governo 5Stelle-Lega, ostile alle grandi infrastrutture, non aiuta, tutt’altro). Aumento del carico fiscale su imprese e banche, quanto di peggio un governo possa pensare, in una fase di difficoltà dell’economia. Tagli alle risorse per ricerca, innovazione, sviluppo dell’apparato produttivo. Un clima generale di ostilità verso le imprese, mortificandone la capacità di creare lavoro, benessere, sviluppo. E massicci soldi pubblici, appunto nella legge di Bilancio, solo per due provvedimenti assistenziali, da clientele di massa: quota 100 per le pensioni (ma con tagli all’adeguamento delle pensioni medie al costo della vita, colpendo così il faticoso conto familiare di centinaia di migliaia di persone già in pensione) e “reddito di cittadinanza”.

Sullo sfondo, c’è l’incertezza generale alimentata anche da un arrogante e dannoso contenzioso montato a lungo dal governo con la Ue, che ha impressionato negativamente i mercati e fatto impennare lo spread (con effetti sulla solidità delle banche, il costo del denaro, l’andamento di prestiti e mutui). E un forte calo della fiducia delle famiglie e delle imprese.

Ecco il punto: sfiducia diffusa, investimenti fermi, imprese e consumatori in allarme. Il rallentamento dell’economia non fa pensare affatto al boom propagandato dal ministro Di Maio ma alla decrescita, nettamente “infelice” per gli italiani.

Per fortuna, in un clima negativo, c’è una “Italia del fare”, un’opinione pubblica del “Sì” (all’Alta Velocità, alle opere pubbliche, al lavoro, agli investimenti) che scende in piazza (come i 30mila a Torino, la scorsa settimana) e rivendica una diversa prospettiva per la politica economica italiana: non assistenzialismo, ma sviluppo di qualità. E’ l’Italia delle buone imprese, industriali e artigiane innanzitutto, che da Torino a Milano, dal Veneto all’Emilia e al Friuli, non ha voglia di rassegnarsi alla sfiducia, alla paralisi, al “grande mah” sul nostro futuro.

Stagnazione”, dice il ministro dell’Economia Tria: produzione e Pil immobili, senza crescita. “Recessione”, sostiene la Banca d’Italia, temendo che anche il secondo trimestre del 2018 sia stato a crescita negativa (i dati ufficiali arriveranno il 31 gennaio). C’è differenza tecnica, tra i due fenomeni. Ma non così rilevante. Dal punto di vista dell’andamento dell’economia italiana, tra crescita 0 e crescita -1, un fatto emerge con grande chiarezza agli occhi di imprenditori, operatori economici, cittadini: l’Italia è un paese bloccato, con conseguenze profondamente negative su ricchezza, redditi, lavoro. “L’Italia ha attraversato il 2018 all’insegna del rallentamento”, sostiene il XXIII Rapporto sull’Economia globale del Centro Einaudi, presentato ieri in Assolombarda, a Milano, da Mario Deaglio e per il futuro “il quadro è incerto”, per non dire “un grande mah”.

Le previsioni per il 2019 sono abbastanza allarmanti. Il Fondo Monetario Internazionale, nell’analisi sulle economie mondiali presentata ieri al World Economic Forum a Davos, mette la situazione finanziaria dell’Italia e la Brexit al primo posto tra i principali fattori di rischio globale e insiste “sul costoso intreccio tra rischi sovrani e rischi finanziari” che appunto dall’Italia può contagiare la Ue ma anche altre economie. Una situazione grave. Di fronte alla quale, in totale dissonanza con dati e fatti, il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio azzarda la previsione di “un nuovo boom economico” simile per intensità a quello dei primi anni Sessanta (allora l’Italia, in piena industrializzazione di massa, cresceva del 5% all’anno).

Su quali considerazioni siano fondati i giudizi del ministro Di Maio non è purtroppo chiaro. Più espliciti i dati che vengono, sulla base di studi accurati e robuste documentazioni, da autorevoli istituzioni economiche.

Il Fondo Monetario parla, per l’Italia, di una crescita dello 0,6% appena nel 2019, un dato corretto al ribasso rispetto a stime precedenti, nel contesto di una crescita Ue indebolita: 1,6% contro l’1,9% precedente, a causa del rallentamento tedesco (segnato in negativo dalla crisi dell’auto) e delle tensioni sociali francesi. 0,6% prevede anche la Banca d’Italia. 0,7% un panel di economisti sondati ai primi di gennaio da Bloomberg. Altri pensano peggio ancora: 0,3%, stima Oxford Economics, 0,4% aveva già detto in dicembre Goldman Sachs. “Difficile anche un Pil allo 0,5%”, stima un economista autorevole come Guido Tabellini, ex rettore dell’Università Bocconi, su “La Stampa”. Sullo 0,5% concorda anche un altro economista di peso internazionale, Carlo Cottarelli.

E il governo? Era partito da 1,5% nella preparazione della legge di Bilancio, in autunno, poi ha dovuto frenare l’ottimismo costruendo la legge sulll’1%. Fmi e Banca d’Italia hanno quasi dimezzato questa previsione.

Tensioni commerciali internazionali, dietro questo rallentamento dell’economia. Ma anche cause tutte italiane. Investimenti fermi. Cantieri dei lavori pubblici bloccati (la politica del governo 5Stelle-Lega, ostile alle grandi infrastrutture, non aiuta, tutt’altro). Aumento del carico fiscale su imprese e banche, quanto di peggio un governo possa pensare, in una fase di difficoltà dell’economia. Tagli alle risorse per ricerca, innovazione, sviluppo dell’apparato produttivo. Un clima generale di ostilità verso le imprese, mortificandone la capacità di creare lavoro, benessere, sviluppo. E massicci soldi pubblici, appunto nella legge di Bilancio, solo per due provvedimenti assistenziali, da clientele di massa: quota 100 per le pensioni (ma con tagli all’adeguamento delle pensioni medie al costo della vita, colpendo così il faticoso conto familiare di centinaia di migliaia di persone già in pensione) e “reddito di cittadinanza”.

Sullo sfondo, c’è l’incertezza generale alimentata anche da un arrogante e dannoso contenzioso montato a lungo dal governo con la Ue, che ha impressionato negativamente i mercati e fatto impennare lo spread (con effetti sulla solidità delle banche, il costo del denaro, l’andamento di prestiti e mutui). E un forte calo della fiducia delle famiglie e delle imprese.

Ecco il punto: sfiducia diffusa, investimenti fermi, imprese e consumatori in allarme. Il rallentamento dell’economia non fa pensare affatto al boom propagandato dal ministro Di Maio ma alla decrescita, nettamente “infelice” per gli italiani.

Per fortuna, in un clima negativo, c’è una “Italia del fare”, un’opinione pubblica del “Sì” (all’Alta Velocità, alle opere pubbliche, al lavoro, agli investimenti) che scende in piazza (come i 30mila a Torino, la scorsa settimana) e rivendica una diversa prospettiva per la politica economica italiana: non assistenzialismo, ma sviluppo di qualità. E’ l’Italia delle buone imprese, industriali e artigiane innanzitutto, che da Torino a Milano, dal Veneto all’Emilia e al Friuli, non ha voglia di rassegnarsi alla sfiducia, alla paralisi, al “grande mah” sul nostro futuro.

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