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L’umanesimo hi tech e la riscoperta della gentilezza

Umanesimo hi tech. Sostiene Richard Florida (il teorico della ‘nuova classe creativa’): “Quando si parla di ‘era digitale’ è importante ricordare che l’interconnessione è una sorta di prolungamento, di amplificazione delle attività che abbiamo svolto con metodologie e strumenti tradizionali. Alla base di tutto ci sono le relazioni umane, il contatto fisico, il confronto, aspetti della vita che le tecnologie digitali non sostituiscono. Il presupposto dell’interconnessione è la capacità e la volontà di lavorare insieme”. E, naturalmente, la coscienza critica, l’ascolto, il rispetto delle altrui libertà sono fondamentali in ogni relazione che non sia obbedienza, in ogni cultura della competizione, della collaborazione e del confronto che cerchi sintesi adatte ai tempi delle trasformazioni e della ricerca di nuovi equilibri.

L’umanesimo hi tech di Florida ben s’adatta alle stagioni incerte, di cambiamenti se non di vere e proprie metamorfosi. Sono arrivati al tramonto modi e linguaggi che hanno connotato il lungo periodo che va dagli anni Ottanta all’esplosione della Grande Crisi: le politiche della potenza e le logiche del predominio della forza, l’individualismo rapace della finanza d’assalto, le frenesie della crescita economica infinita, i miti del progresso senza limiti, del globalismo senza regole né controlli, del “mercatismo” come ideologia (a dispetto delle culture del mercato ben regolato). Addio al “greed is good” degli speculatori dell’economia di carta e delle truffe finanziarie. Si torna, finalmente, con i piedi sulla terra dell’economia reale, della politica che deve ricostruire la sua credibilità sulla responsabilità trasparente, dell’idea di potere come servizio e non come dominio.

Tempi nuovi. Antichi valori da rilanciare. Linguaggi innovativi da rendere densi di significati contemporanei. Senza tentazioni di nostalgie, d’amarcord. Ma con la consapevolezza che parole come sostenibilità, responsabilità, comunità, partecipazione, attitudine a “farsi carico” di doveri e interessi generali hanno potenzialità ancora da esplorare.

E’ questo il quadro in cui ritrovare anche la relazione tra etica ed estetica, valori e comportamenti conseguenti. Rispetto per le persone, nelle relazioni politiche, professionali, di lavoro e private. Fine della frenesia del “trendy” e del “cool” e della nevrosi modaiola del “nuovo a tutti i costi”, per lasciare spazio al “piacevole” e cioè allo spessore calvinianamente “leggero” della qualità dell’esistenza e dei rapporti (ce ne informa dettagliatamente Maria Luisa Agnese sul Corriere della Sera del 28 dicembre 2013). Ritorno alla ribalta delle “buone maniere” (c’è un fiorire di manuali, in libreria, non per affettazione, ma nella coscienza che tra “etichetta” ed etica c’è comunque un nesso). E affermazione della gentilezza.

Già, la gentilezza. Se ne è fatto interprete anche Papa Francesco, nei suoi discorsi sulla famiglia, ricordando l’importanza di parole semplici come il “grazie”. E se ne trova ampia eco nella letteratura politogica, economica, manageriale: se dalla dimensione del suddito, del consumatore sedotto, del votante obbediente si passa a quella del cittadino e della persona, l’intero sistema delle relazioni (il voto, l’acquisto, la prestazione lavorativa e professionale, etc.) non può non rispondere a criteri in cui “fiducia” e “responsabilità” sono processi da conquistare, motivare, ricostruire nella dialettica tra “individualità” e “alterità”. Umanità da valorizzare.

Sono tempi da “intelligenza del cuore”. E della prevalenza di valori “femminili”, l’accoglienza e l’ascolto (al posto del conflitto con il successo del più scaltro o del più forte), la collaborazione competitiva e non la spietata selezione del darwinismo ideologico. Ne risente positivamente la stessa costruzione delle culture d’impresa. Riscoprendo l’attitudine, tutta italiana, di chi per esempio usava le parole di Gandhi per una straordinaria pubblicità nel mondo delle telecomunicazioni o di chi ha tradizionalmente sostenuto che “la potenza è nulla senza controllo”: una indicazione di responsabilità.

Ci sono altre parole, nel lessico dei tempi nuovi, su cui riflettere. “Umiltà”, per esempio. O “tenerezza”. Le ha usate appunto Papa Francesco. Hanno sapore di intensa umanità. Di rispetto. Segnano la conclusione del ciclo della “potenza”, del “dominio”, della “forza” muscolare esibita (dietro cui si è spesso celata una prepotenza impotente). Inaugurano la nuova stagione Duemila in cui ragionare di valori. E archiviano finalmente il tempo in cui “si sapeva il prezzo di tutto e il valore di nulla”. S’era detto “umanesimo”, no?

Umanesimo hi tech. Sostiene Richard Florida (il teorico della ‘nuova classe creativa’): “Quando si parla di ‘era digitale’ è importante ricordare che l’interconnessione è una sorta di prolungamento, di amplificazione delle attività che abbiamo svolto con metodologie e strumenti tradizionali. Alla base di tutto ci sono le relazioni umane, il contatto fisico, il confronto, aspetti della vita che le tecnologie digitali non sostituiscono. Il presupposto dell’interconnessione è la capacità e la volontà di lavorare insieme”. E, naturalmente, la coscienza critica, l’ascolto, il rispetto delle altrui libertà sono fondamentali in ogni relazione che non sia obbedienza, in ogni cultura della competizione, della collaborazione e del confronto che cerchi sintesi adatte ai tempi delle trasformazioni e della ricerca di nuovi equilibri.

L’umanesimo hi tech di Florida ben s’adatta alle stagioni incerte, di cambiamenti se non di vere e proprie metamorfosi. Sono arrivati al tramonto modi e linguaggi che hanno connotato il lungo periodo che va dagli anni Ottanta all’esplosione della Grande Crisi: le politiche della potenza e le logiche del predominio della forza, l’individualismo rapace della finanza d’assalto, le frenesie della crescita economica infinita, i miti del progresso senza limiti, del globalismo senza regole né controlli, del “mercatismo” come ideologia (a dispetto delle culture del mercato ben regolato). Addio al “greed is good” degli speculatori dell’economia di carta e delle truffe finanziarie. Si torna, finalmente, con i piedi sulla terra dell’economia reale, della politica che deve ricostruire la sua credibilità sulla responsabilità trasparente, dell’idea di potere come servizio e non come dominio.

Tempi nuovi. Antichi valori da rilanciare. Linguaggi innovativi da rendere densi di significati contemporanei. Senza tentazioni di nostalgie, d’amarcord. Ma con la consapevolezza che parole come sostenibilità, responsabilità, comunità, partecipazione, attitudine a “farsi carico” di doveri e interessi generali hanno potenzialità ancora da esplorare.

E’ questo il quadro in cui ritrovare anche la relazione tra etica ed estetica, valori e comportamenti conseguenti. Rispetto per le persone, nelle relazioni politiche, professionali, di lavoro e private. Fine della frenesia del “trendy” e del “cool” e della nevrosi modaiola del “nuovo a tutti i costi”, per lasciare spazio al “piacevole” e cioè allo spessore calvinianamente “leggero” della qualità dell’esistenza e dei rapporti (ce ne informa dettagliatamente Maria Luisa Agnese sul Corriere della Sera del 28 dicembre 2013). Ritorno alla ribalta delle “buone maniere” (c’è un fiorire di manuali, in libreria, non per affettazione, ma nella coscienza che tra “etichetta” ed etica c’è comunque un nesso). E affermazione della gentilezza.

Già, la gentilezza. Se ne è fatto interprete anche Papa Francesco, nei suoi discorsi sulla famiglia, ricordando l’importanza di parole semplici come il “grazie”. E se ne trova ampia eco nella letteratura politogica, economica, manageriale: se dalla dimensione del suddito, del consumatore sedotto, del votante obbediente si passa a quella del cittadino e della persona, l’intero sistema delle relazioni (il voto, l’acquisto, la prestazione lavorativa e professionale, etc.) non può non rispondere a criteri in cui “fiducia” e “responsabilità” sono processi da conquistare, motivare, ricostruire nella dialettica tra “individualità” e “alterità”. Umanità da valorizzare.

Sono tempi da “intelligenza del cuore”. E della prevalenza di valori “femminili”, l’accoglienza e l’ascolto (al posto del conflitto con il successo del più scaltro o del più forte), la collaborazione competitiva e non la spietata selezione del darwinismo ideologico. Ne risente positivamente la stessa costruzione delle culture d’impresa. Riscoprendo l’attitudine, tutta italiana, di chi per esempio usava le parole di Gandhi per una straordinaria pubblicità nel mondo delle telecomunicazioni o di chi ha tradizionalmente sostenuto che “la potenza è nulla senza controllo”: una indicazione di responsabilità.

Ci sono altre parole, nel lessico dei tempi nuovi, su cui riflettere. “Umiltà”, per esempio. O “tenerezza”. Le ha usate appunto Papa Francesco. Hanno sapore di intensa umanità. Di rispetto. Segnano la conclusione del ciclo della “potenza”, del “dominio”, della “forza” muscolare esibita (dietro cui si è spesso celata una prepotenza impotente). Inaugurano la nuova stagione Duemila in cui ragionare di valori. E archiviano finalmente il tempo in cui “si sapeva il prezzo di tutto e il valore di nulla”. S’era detto “umanesimo”, no?

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