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Sette “frammenti d’un discorso amoroso” per l’Italia che vuole continuare a crescere

Il viaggio in Italia, con occhi curiosi e spregiudicati, riserva sorprese. Positive, tutto sommato. Sui temi dello sviluppo economico e sociale, della qualità della vita, delle possibilità d’un futuro migliore. Non un’Italia allo sfascio, dove tutto va male. Ma un’Italia dinamica, che contrasta i pur gravissimi segni di declino. Ne emergono evidenze chiare in un documentario diretto dal regista Mimmo Calopresti e voluto dalle Assicurazioni Generali, proiettato lo scorso fine settimana a Venezia durante l’ultima edizione degli Aspen Seminars for Leaders, incontri dedicati ai temi dei migranti e dei confronti di culture, della mobilità, delle “life sciences” e della ricerca scientifica, dell’innovazione imprenditoriale, della qualità della vita e dello sviluppo equilibrato e sostenibile. In primo piano, “L’Italia creativa”, che non si ripiega nel mugugno e nella protesta pregiudiziale ma, proprio di fronte al malessere diffuso, lavora, inventa, innova, fa. Un’Italia in movimento. Calopresti, capofila di una serie di altri registi di gran nome, i loro assistenti e lo staff delle Generali hanno incontrato migliaia di persone, nelle piazze delle città e dei paesi del Centro-Sud. Le hanno fatte parlare. E hanno messo insieme, con criteri da buon cinema documentario, un film interessante su “Genialità italiana”, presentato al Festival del Cinema di Venezia e poi discusso all’Aspen. Una testimonianza di robusto interesse sulla cosiddetta “Italia che non ti aspetti”. Non stolido ottimismo a tutti i costi, incurante dei problemi. Ma scelta di volontà e ragione di impegnarsi, nella vita sociale ed economica, ma anche in politica, per cambiare le cose. Cittadini che, nelle loro comunità, diventano attori sociali positivi e non spettatori malinconici del declino. Varrebbe la pena, adesso, allargare lo sguardo cinematografico alle piazze e alle aree industriali del Centro Nord e raccontare anche “l’Italia che non t’aspetti” delle fabbriche e delle “start up” innovative, dei laboratori di ricerca, dei servizi digitali, di quel “paradiso della brugola” (una vite speciale ad alta tecnologia) e di quella “morale del tornio” che, rilanciando proprio la migliore manifattura, sta costruendo paradigmi di sviluppo economico e sociale di straordinaria qualità, in grado di provare a trainare tutto il Paese fuori dalla crisi.

Il viaggio in Italia può essere, dunque, occasione per prendere consapevolezza della forza di attività e iniziative. Vale la pena ricordare le pagine di Walter Benjamin, una delle migliori intelligenze del Novecento: ogni viaggio diventa un racconto e non c’è racconto che non sia un racconto di viaggio. Quest’Italia in cambiamento, insomma, merita un racconto molto migliore, più pertinente e vero di quello che, parziale e spesso pregiudiziale, leggiamo nelle cronache degli scontri politici (con forti e devianti elementi di propaganda) e nelle descrizioni ipercritiche, soprattutto sul web (affollato da notizie false e distorte). Quest’Italia, è vero, è fragile, ferita, lenta, ingiusta, inquinata da mafia, corruzione, evasione fiscale, privilegi corporativi, squilibri sociali, intollerabili inutili burocrazia. Ma non è solo questo. Nell’inferno italiano, memori della straordinaria lezione civile di Italo Calvino, è necessario valorizzare “quello che non è inferno”, farlo vivere, dargli spazio.

Fare vivere e dare forza di rappresentazione, per esempio, a quegli italiani che non se ne stanno ad “aspettare il treno” e a lamentarsi del “treno che è passato” ma “costruiscono stazioni” e “producono treni”. E si rivelano bravissimi “sarti meccanici”, capaci di costruire, meglio di tanti altri produttori tedeschi e americani, giapponesi e cinesi, macchinari e impianti, robot industriali e servizi hi tech, animando quella che si chiama “Industria4.0”, innovativo sistema di produzione e servizi in cui proprio noi italiani, capaci di intelligenza creativa e flessibilità progettuale e produttiva, abbiamo ottime carte da giocare. Sono le condizioni per fare crescere una nuova stagione di “humanifacturing” (ne abbiamo parlato nel blog della settimana scorsa), un incrocio tra competenze umanistiche di solide origini e  ingegneria manifatturiera, cultura politecnica d’alto livello in cui scienza, laboratori, fabbriche si ritrovano in un incrocio virtuoso che incide su conoscenza, economia società: il “paradigma Natta”, riflettendo, appunto, sulla lezione di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, eccellente scienziato cresciuto tra il Politecnico di Milano e di Torino, le università di Pavia e Roma e i centri di ricerca di Pirelli e Montecatini (il suo polipropilene rivoluziona l’industria chimica e della plastica).

La “grande Milano”, strettamente connessa con Torino, Bologna e, verso est, Brescia e Verona, ne è indicazione positiva: dinamica area di respiro europeo, ricca di industria, servizi, conoscenza (le eccellenti università) e in grando di attrarre talenti, competenze, capitali. Un’area in cui costruire lavoro e interpretare i nuovi processi dell’economia “digital” in cui tramontano antiche mestieri e se ne creano di nuovi: processo non lineare né socialmente indolore, che ha un grande bisogno di innovazione sociale e buona politica. Processo comunque in corso, faticosamente ma pure creativamente.

C’è un ultimo pensiero su cui riflettere, nel racconto dell’Italia creativa: la bellezza. Il patrimonio culturale e ambientale. Ma anche la capacità di “produrre cose belle che piacciono al mondo” (secondo l’originale e sempre valida definizione di Carlo M. Cipolla): un made in Italy che nei prodotti d’alta gamma, nelle “meccatronica” (ben raccontata da un brillante spot di Assolombarda e Pubblicità Progresso, da ritrovare sul web e riguardare, per l’incrocio tra persone e tecnologie), nel design continua ad avere testimonianze di successo, cardini di futuro.

Sette riflessioni, dunque: un nuovo “racconto italiano” del viaggio nella contemporaneità, la capacità di “costruire stazioni e treni”, il “pensiero su misura” degli “straordinari sarti meccanici”, le qualità dell’”humanifacturing”, le capacità d’attrazione di intelligenze e risorse, il “nuovo” lavoro, la valorizzazione della “bellezza”. Possono essere sette “frammenti d’un discorso amoroso” per quest’Italia in cambiamento che, nonostante tutto, insiste per continuare a crescere. E meglio.

Il viaggio in Italia, con occhi curiosi e spregiudicati, riserva sorprese. Positive, tutto sommato. Sui temi dello sviluppo economico e sociale, della qualità della vita, delle possibilità d’un futuro migliore. Non un’Italia allo sfascio, dove tutto va male. Ma un’Italia dinamica, che contrasta i pur gravissimi segni di declino. Ne emergono evidenze chiare in un documentario diretto dal regista Mimmo Calopresti e voluto dalle Assicurazioni Generali, proiettato lo scorso fine settimana a Venezia durante l’ultima edizione degli Aspen Seminars for Leaders, incontri dedicati ai temi dei migranti e dei confronti di culture, della mobilità, delle “life sciences” e della ricerca scientifica, dell’innovazione imprenditoriale, della qualità della vita e dello sviluppo equilibrato e sostenibile. In primo piano, “L’Italia creativa”, che non si ripiega nel mugugno e nella protesta pregiudiziale ma, proprio di fronte al malessere diffuso, lavora, inventa, innova, fa. Un’Italia in movimento. Calopresti, capofila di una serie di altri registi di gran nome, i loro assistenti e lo staff delle Generali hanno incontrato migliaia di persone, nelle piazze delle città e dei paesi del Centro-Sud. Le hanno fatte parlare. E hanno messo insieme, con criteri da buon cinema documentario, un film interessante su “Genialità italiana”, presentato al Festival del Cinema di Venezia e poi discusso all’Aspen. Una testimonianza di robusto interesse sulla cosiddetta “Italia che non ti aspetti”. Non stolido ottimismo a tutti i costi, incurante dei problemi. Ma scelta di volontà e ragione di impegnarsi, nella vita sociale ed economica, ma anche in politica, per cambiare le cose. Cittadini che, nelle loro comunità, diventano attori sociali positivi e non spettatori malinconici del declino. Varrebbe la pena, adesso, allargare lo sguardo cinematografico alle piazze e alle aree industriali del Centro Nord e raccontare anche “l’Italia che non t’aspetti” delle fabbriche e delle “start up” innovative, dei laboratori di ricerca, dei servizi digitali, di quel “paradiso della brugola” (una vite speciale ad alta tecnologia) e di quella “morale del tornio” che, rilanciando proprio la migliore manifattura, sta costruendo paradigmi di sviluppo economico e sociale di straordinaria qualità, in grado di provare a trainare tutto il Paese fuori dalla crisi.

Il viaggio in Italia può essere, dunque, occasione per prendere consapevolezza della forza di attività e iniziative. Vale la pena ricordare le pagine di Walter Benjamin, una delle migliori intelligenze del Novecento: ogni viaggio diventa un racconto e non c’è racconto che non sia un racconto di viaggio. Quest’Italia in cambiamento, insomma, merita un racconto molto migliore, più pertinente e vero di quello che, parziale e spesso pregiudiziale, leggiamo nelle cronache degli scontri politici (con forti e devianti elementi di propaganda) e nelle descrizioni ipercritiche, soprattutto sul web (affollato da notizie false e distorte). Quest’Italia, è vero, è fragile, ferita, lenta, ingiusta, inquinata da mafia, corruzione, evasione fiscale, privilegi corporativi, squilibri sociali, intollerabili inutili burocrazia. Ma non è solo questo. Nell’inferno italiano, memori della straordinaria lezione civile di Italo Calvino, è necessario valorizzare “quello che non è inferno”, farlo vivere, dargli spazio.

Fare vivere e dare forza di rappresentazione, per esempio, a quegli italiani che non se ne stanno ad “aspettare il treno” e a lamentarsi del “treno che è passato” ma “costruiscono stazioni” e “producono treni”. E si rivelano bravissimi “sarti meccanici”, capaci di costruire, meglio di tanti altri produttori tedeschi e americani, giapponesi e cinesi, macchinari e impianti, robot industriali e servizi hi tech, animando quella che si chiama “Industria4.0”, innovativo sistema di produzione e servizi in cui proprio noi italiani, capaci di intelligenza creativa e flessibilità progettuale e produttiva, abbiamo ottime carte da giocare. Sono le condizioni per fare crescere una nuova stagione di “humanifacturing” (ne abbiamo parlato nel blog della settimana scorsa), un incrocio tra competenze umanistiche di solide origini e  ingegneria manifatturiera, cultura politecnica d’alto livello in cui scienza, laboratori, fabbriche si ritrovano in un incrocio virtuoso che incide su conoscenza, economia società: il “paradigma Natta”, riflettendo, appunto, sulla lezione di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, eccellente scienziato cresciuto tra il Politecnico di Milano e di Torino, le università di Pavia e Roma e i centri di ricerca di Pirelli e Montecatini (il suo polipropilene rivoluziona l’industria chimica e della plastica).

La “grande Milano”, strettamente connessa con Torino, Bologna e, verso est, Brescia e Verona, ne è indicazione positiva: dinamica area di respiro europeo, ricca di industria, servizi, conoscenza (le eccellenti università) e in grando di attrarre talenti, competenze, capitali. Un’area in cui costruire lavoro e interpretare i nuovi processi dell’economia “digital” in cui tramontano antiche mestieri e se ne creano di nuovi: processo non lineare né socialmente indolore, che ha un grande bisogno di innovazione sociale e buona politica. Processo comunque in corso, faticosamente ma pure creativamente.

C’è un ultimo pensiero su cui riflettere, nel racconto dell’Italia creativa: la bellezza. Il patrimonio culturale e ambientale. Ma anche la capacità di “produrre cose belle che piacciono al mondo” (secondo l’originale e sempre valida definizione di Carlo M. Cipolla): un made in Italy che nei prodotti d’alta gamma, nelle “meccatronica” (ben raccontata da un brillante spot di Assolombarda e Pubblicità Progresso, da ritrovare sul web e riguardare, per l’incrocio tra persone e tecnologie), nel design continua ad avere testimonianze di successo, cardini di futuro.

Sette riflessioni, dunque: un nuovo “racconto italiano” del viaggio nella contemporaneità, la capacità di “costruire stazioni e treni”, il “pensiero su misura” degli “straordinari sarti meccanici”, le qualità dell’”humanifacturing”, le capacità d’attrazione di intelligenze e risorse, il “nuovo” lavoro, la valorizzazione della “bellezza”. Possono essere sette “frammenti d’un discorso amoroso” per quest’Italia in cambiamento che, nonostante tutto, insiste per continuare a crescere. E meglio.

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