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Sviluppo: “vivere all’italiana” significa sostenere l’industria meccanica e manifatturiera “su misura”

Straordinari sarti meccanici. Sono questo, le migliori imprese italiane. E meccatronici, chimici, farmaceutici, della gomma e della plastica, oltre che naturalmente dell’agroalimentare, dell’arredo, dell’abbigliamento. Sarti, su misura. Bravi come nessun altro al mondo. A produrre una “brugola”, una vite speciale per sofisticatissime applicazioni nell’automotive o nell’aeronautica. Un giunto meccanico in materiali innovativi. Un tornio hi tech. Un robot. Ma anche un farmaco d’avanguardia. O un pneumatico hi tech. E un impianto di confezionamento che si evolve al passo con l’evoluzione delle tecnologie “digital” che connettono macchine produttive e “big data”. Sta qui, la forza competitiva internazionale della nostra industria. Ben oltre l’ovvio e noto “made in Italy” della bellezza, della moda, dei gioielli, del lusso.

Ne hanno avuto un ritratto stimolante i diplomatici italiani nel mondo, riuniti a Milano in Assolombarda al mattino e al Pirelli HangarBicocca nel pomeriggio di giovedì 27 luglio per la conclusione della XII Conferenza degli ambasciatori: la diplomazia come cardine della politica economica, la relazione stretta tra Farnesina e imprese come leva per la migliore competitività e lo sviluppo del Paese. #Vivereallitaliana, è stato l’hashtag di successo della conferenza. Documentato dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli con una ricerca su quanto sia apprezzato nel mondo “the italian life style”.

Nel pomeriggio di quel giovedì, in cui le agenzie di stampa battevano la notizia che il presidente francese Macron “nazionalizzava” i cantieri navali Stx per bloccarne l’acquisizione da parte dell’italiana Fincantieri (miope nazionalismo destinato a fare i conti con molte difficoltà), è stata naturale una certa dose di patriottismo economico, tra politica e imprese, risuonata nel dibattito a Milano. A patto, però, d’andare oltre le emozioni e le polemiche e di avere sempre ben presenti tre cose.

La prima è che “l’italianità” delle imprese va al di là del semplice censimento della proprietà dei titoli azionari di maggioranza. La seconda è che le società italiane devono essere più lungimiranti nel fare acquisizioni internazionali (andando oltre il settore in cui siamo già molto dinamici, come quello del cibo e delle bevande) anche scontrandosi con radicati nazionalismi (e qui il ruolo della Farnesina e più in generale del governo è fondamentale). E la terza, essenziale, è che la sostanza migliore del “vivere all’italiana” non sta nelle pur eccellenti lasagne, nel vino o negli abiti fantasiosi e splendenti degli stilisti più creativi (benemeriti, comunque, Dolce & Gabbana che ai primi di luglio hanno radunato a Palermo una piccola folla di vip internazionali, costruendo uno spettacolo fantastico di lusso e bellezza). Ma sta soprattutto nel cuore meccanico. In quella “Industria 4.0” che i governi Renzi prima e Gentiloni adesso (con ruolo determinante del ministro dello Sviluppo Calenda) hanno deciso giustamente di stimolare, con leve di sostegno fiscale per chi investe e innova.

Rieccoci al valore dei sarti meccanici, meccatronici, farmaceutici, chimici… di cui dicevamo e di cui proprio il premier Gentiloni ha avuto esperienza diretta passando mezza giornata in giro per le fabbriche della Brianza, il 24 luglio, tra imprenditori, ingegneri, operai specializzati e vedendo da vicino cosa vuol dire innovazione e “digital manifacturing” in imprese della meccanica e dell’arredamento.

“Il tocco artigianale dell’Italia hi tech”, scrive Stefano Micelli (“IlSole24Ore”,27 luglio), notando come “il modello di manifattura su misura sia la cifra distintiva di quelle medie imprese che rappresentano, anche secondo i recenti dati dell’Ice, la componente più dinamica del nostro export”. Micelli cita le considerazioni in merito fatte durante il seminario estivo di Symbola da Alessandro Profumo, presidente di Leonardo Finmeccanica (una delle più grandi imprese italiane) sulla capacità di “personalizzare” l’offerta di aerei ed elicotteri dopo aver attentamente ascoltato le esigenze dei committenti (un’attitudine che né americani né tedeschi né francesi sanno esprimere). Analoghe le considerazioni di Sonia Bonfiglioli, capo d’una delle medie imprese metalmeccaniche più dinamiche, radici in Emilia e attività in tutto il mondo: anche lei parla di “manifattura su misura” e risposta ai clienti internazionali con “soluzioni tecnologiche all’avanguardia”.

Di certo, le migliori imprese italiane investono. E trainano la ripresa. Lo documenta in modo sempre originale Marco Fortis (“Il Foglio”, 26 e 29 luglio), scrivendo “contro la vulgata dell’Italia che investe poco o nulla” e notando che “nel triennio 2014-2016 le imprese italiane hanno aumentato i loro investimenti in macchinari, mezzi di trasporto e brevetti del 10,8%. Per un confronto, la Germania ha fatto invece più 9,7%. L’accelerazione dell’Italia è stata sensibile soprattutto nell’ultimo biennio: più 8,3% contro più 4,6% della Germania”.

La ripresa economica che s’intravvede netta (più 1,3% del Pil nel 2017, secondo governo, Fmi e Confindustria) è fortemente determinata dell’industria innovativa: macchine e apparecchi meccanici, metallurgia, chimica e farmaceutica. Insiste Fortis: “Nei tre mesi da marzo a maggio 2017 il fatturao dell’industria manifatturiera italiana è aumentato tendenzialmente del 6,4% rispetto allo scorso anno. La Germania, che sta vivendo anch’essa una fase di notevole espansione, segna un 5%”. Industria, appunto. Meglio, “Industra 4.0”, all’italiana. Innovativa, “digital”. Su misura. La forza delle medie imprese, delle “multinazionali tascabili”. “Vivere all’italiana”, come ama dire la Farnesina, è proprio questa dimensione. Da valorizzare, far capire, raccontare bene, sostenere all’estero.

Straordinari sarti meccanici. Sono questo, le migliori imprese italiane. E meccatronici, chimici, farmaceutici, della gomma e della plastica, oltre che naturalmente dell’agroalimentare, dell’arredo, dell’abbigliamento. Sarti, su misura. Bravi come nessun altro al mondo. A produrre una “brugola”, una vite speciale per sofisticatissime applicazioni nell’automotive o nell’aeronautica. Un giunto meccanico in materiali innovativi. Un tornio hi tech. Un robot. Ma anche un farmaco d’avanguardia. O un pneumatico hi tech. E un impianto di confezionamento che si evolve al passo con l’evoluzione delle tecnologie “digital” che connettono macchine produttive e “big data”. Sta qui, la forza competitiva internazionale della nostra industria. Ben oltre l’ovvio e noto “made in Italy” della bellezza, della moda, dei gioielli, del lusso.

Ne hanno avuto un ritratto stimolante i diplomatici italiani nel mondo, riuniti a Milano in Assolombarda al mattino e al Pirelli HangarBicocca nel pomeriggio di giovedì 27 luglio per la conclusione della XII Conferenza degli ambasciatori: la diplomazia come cardine della politica economica, la relazione stretta tra Farnesina e imprese come leva per la migliore competitività e lo sviluppo del Paese. #Vivereallitaliana, è stato l’hashtag di successo della conferenza. Documentato dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli con una ricerca su quanto sia apprezzato nel mondo “the italian life style”.

Nel pomeriggio di quel giovedì, in cui le agenzie di stampa battevano la notizia che il presidente francese Macron “nazionalizzava” i cantieri navali Stx per bloccarne l’acquisizione da parte dell’italiana Fincantieri (miope nazionalismo destinato a fare i conti con molte difficoltà), è stata naturale una certa dose di patriottismo economico, tra politica e imprese, risuonata nel dibattito a Milano. A patto, però, d’andare oltre le emozioni e le polemiche e di avere sempre ben presenti tre cose.

La prima è che “l’italianità” delle imprese va al di là del semplice censimento della proprietà dei titoli azionari di maggioranza. La seconda è che le società italiane devono essere più lungimiranti nel fare acquisizioni internazionali (andando oltre il settore in cui siamo già molto dinamici, come quello del cibo e delle bevande) anche scontrandosi con radicati nazionalismi (e qui il ruolo della Farnesina e più in generale del governo è fondamentale). E la terza, essenziale, è che la sostanza migliore del “vivere all’italiana” non sta nelle pur eccellenti lasagne, nel vino o negli abiti fantasiosi e splendenti degli stilisti più creativi (benemeriti, comunque, Dolce & Gabbana che ai primi di luglio hanno radunato a Palermo una piccola folla di vip internazionali, costruendo uno spettacolo fantastico di lusso e bellezza). Ma sta soprattutto nel cuore meccanico. In quella “Industria 4.0” che i governi Renzi prima e Gentiloni adesso (con ruolo determinante del ministro dello Sviluppo Calenda) hanno deciso giustamente di stimolare, con leve di sostegno fiscale per chi investe e innova.

Rieccoci al valore dei sarti meccanici, meccatronici, farmaceutici, chimici… di cui dicevamo e di cui proprio il premier Gentiloni ha avuto esperienza diretta passando mezza giornata in giro per le fabbriche della Brianza, il 24 luglio, tra imprenditori, ingegneri, operai specializzati e vedendo da vicino cosa vuol dire innovazione e “digital manifacturing” in imprese della meccanica e dell’arredamento.

“Il tocco artigianale dell’Italia hi tech”, scrive Stefano Micelli (“IlSole24Ore”,27 luglio), notando come “il modello di manifattura su misura sia la cifra distintiva di quelle medie imprese che rappresentano, anche secondo i recenti dati dell’Ice, la componente più dinamica del nostro export”. Micelli cita le considerazioni in merito fatte durante il seminario estivo di Symbola da Alessandro Profumo, presidente di Leonardo Finmeccanica (una delle più grandi imprese italiane) sulla capacità di “personalizzare” l’offerta di aerei ed elicotteri dopo aver attentamente ascoltato le esigenze dei committenti (un’attitudine che né americani né tedeschi né francesi sanno esprimere). Analoghe le considerazioni di Sonia Bonfiglioli, capo d’una delle medie imprese metalmeccaniche più dinamiche, radici in Emilia e attività in tutto il mondo: anche lei parla di “manifattura su misura” e risposta ai clienti internazionali con “soluzioni tecnologiche all’avanguardia”.

Di certo, le migliori imprese italiane investono. E trainano la ripresa. Lo documenta in modo sempre originale Marco Fortis (“Il Foglio”, 26 e 29 luglio), scrivendo “contro la vulgata dell’Italia che investe poco o nulla” e notando che “nel triennio 2014-2016 le imprese italiane hanno aumentato i loro investimenti in macchinari, mezzi di trasporto e brevetti del 10,8%. Per un confronto, la Germania ha fatto invece più 9,7%. L’accelerazione dell’Italia è stata sensibile soprattutto nell’ultimo biennio: più 8,3% contro più 4,6% della Germania”.

La ripresa economica che s’intravvede netta (più 1,3% del Pil nel 2017, secondo governo, Fmi e Confindustria) è fortemente determinata dell’industria innovativa: macchine e apparecchi meccanici, metallurgia, chimica e farmaceutica. Insiste Fortis: “Nei tre mesi da marzo a maggio 2017 il fatturao dell’industria manifatturiera italiana è aumentato tendenzialmente del 6,4% rispetto allo scorso anno. La Germania, che sta vivendo anch’essa una fase di notevole espansione, segna un 5%”. Industria, appunto. Meglio, “Industra 4.0”, all’italiana. Innovativa, “digital”. Su misura. La forza delle medie imprese, delle “multinazionali tascabili”. “Vivere all’italiana”, come ama dire la Farnesina, è proprio questa dimensione. Da valorizzare, far capire, raccontare bene, sostenere all’estero.

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