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Scuola, i divari digitali che mettono fuori gioco i bambini del Sud e delle periferie metropolitane

La pandemia ha messo in evidenza vecchie fragilità, personali e sociali. E ne ha fatte emergere di nuove. I divari digitali, tra gli altri. Che diventano rapidamente, se non affrontati e bloccati, divari di istruzione, lavoro, reddito, partecipazione, cittadinanza. C’è un dato particolare, su cui vale la pena riflettere: nel Mezzogiorno, un bambino e una bambina, una ragazza e un ragazzo su tre non hanno né un Pc né un tablet (sono per l’esattezza il 34%, secondo dati della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). Sono dunque tagliati fuori dal mondo delle relazioni digitali, dal web e, ovviamente, proprio in questi tempi oramai lunghi di chiusure e restrizioni, sono stati messi ai margini della scuola: niente computer, niente didattica a distanza. Il quadro è ancora più grave se si considerano pure le carenze delle banda larga, ma anche la scarsa dimestichezza dei familiari di questi bambini con i vari elementi della cultura informatica, con le app per seguire le lezioni, per fare i compiti, per tenersi in collegamento con maestri e professori e con i compagni. “La scuola perduta dai ragazzi del Sud”, ha documentato efficacemente Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera” (30 aprile), calcolando, oltre al divario digitale, la differenza di frequenza in classe tra gli studenti di Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo: nelle città del Sud (tranne che a Palermo) è andata molto peggio. “Negli asili di Bari finora 66 giorni in classe contro i 135 di Milano”.

Il divario tra bambini, digitale e non, ha dunque una dimensione geografica che conferma le tradizionali diseguaglianze (“Le due Italie. Perché il Paese è sempre più diseguale”, è il titolo del nuovo libro di Alberto Magnani per Castelvecchi, denso di analisi aggiornate). Ma anche una dimensione interna alle metropoli del Nord, tra zone benestanti e aree povere delle città, tra chi vive e frequenta scuole nei quartieri con redditi e abitudini culturali e sociali più elevati e periferie marginali.

Il risultato è allarmante: il nostro paese sta rischiando di perdere per strada milioni di bambini, già in crisi nei rapporti con la scuola (l’Italia ha un primato negativo in Europa per gli abbandoni scolastici) e adesso ancora più nettamente tagliati fuori dalle lezioni, dallo studio, dalla relazioni fondamentali con insegnanti e coetanei. Generazioni a rischio, che in futuro potranno vedere accentuate le difficoltà per il lavoro e l’inserimento sociale, per la conoscenza, per il pieno godimento dei diritti politici e civili. Una ferita sociale. E un’aperta violazione della Costituzione, dei suoi principi di uguaglianza e pari opportunità.

L’intero panorama italiano, proprio dal punto di vista dei rapporti con le nuove tecnologie informatiche, è sconfortante. Siamo al 25° posto tra i 27 paesi Ue per livello di digitalizzazione. Il 17% degli Italiani tra i 16 e i 74 anni non ha mai usato Internet (la media Ue è del 9%). Le connessioni veloci in moltissime zone del paese sono un miraggio. La dimestichezza con tutto ciò che circola di appena sofisticato sulla rete è carente (eccezion fatta per social, giochi e porno).

C’è dunque da fare un grande salto, sul fronte dell’innovazione tecnologica. Giustamente il Pnrr (la versione italiana del Recovery Plan della Ue) stanzia risorse imponenti e si pone obiettivi ambiziosi, per superare il divario con il resto della Ue. E Vittorio Colao, adesso ministro per la transizione digitale del governo Draghi, dopo un passato di top manager internazionale, sostiene: “Con il digitale un’Italia più giusta per giovani e donne. Connettività per tutti significa aumentare le opportunità di apprendere, di cercare lavoro e di fare impresa” (“la Repubblica”, 1 maggio).

Tecnologie da sviluppare e applicare, dunque. Una nuova e migliore coscienza dei diritti e dei doveri digitali, per abitare con consapevolezza “l’infosfera” (ne ha scritto con lucidità il 1° maggio Maurizio Molinari su “la Repubblica”: “Sicurezza e prosperità collettive dipendono dalla nostra capacità di essere protagonisti responsabili delle attività digitali… E’ nello spazio digitale la nuova frontiera del lavoro”). Una robusta sinergia tra investimenti pubblici e investimenti privati per l’innovazione. Un ambizioso salto culturale.

Ma proprio pensando ai nostri bambini e alle nostre bambine delle aree del Sud e dei quartieri più fragili di tutte le città italiane, è indispensabile fare di più. Elaborare una strategia che coinvolga enti locali, fondazioni, imprese, strutture del terzo settore per mettere le nuove generazioni, partendo proprio dalle scuole elementari, in condizione di non subire i disagi del divario digitale scolastico. Fornire computer e tablet, dunque. E impegnarsi nell’insegnare come usarli, per la formazione e, più in generale, per i processi di conoscenza. E’ una scelta urgente, proprio mentre l’anno scolastico va a finire, per non dare per scontata la differenza di frequentazione delle lezioni e di apprendimento da cui siamo partiti in questo ragionamento e per prepararsi bene all’anno che verrà.

I vaccini – si spera – terranno a bada la pandemia. Ma l’esperienza digitale, in un modo o nell’altro, andrà avanti. E sarebbe gravissimo se disparità e diseguaglianze si approfondissero e si aggravassero.

La pandemia ha messo in evidenza vecchie fragilità, personali e sociali. E ne ha fatte emergere di nuove. I divari digitali, tra gli altri. Che diventano rapidamente, se non affrontati e bloccati, divari di istruzione, lavoro, reddito, partecipazione, cittadinanza. C’è un dato particolare, su cui vale la pena riflettere: nel Mezzogiorno, un bambino e una bambina, una ragazza e un ragazzo su tre non hanno né un Pc né un tablet (sono per l’esattezza il 34%, secondo dati della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). Sono dunque tagliati fuori dal mondo delle relazioni digitali, dal web e, ovviamente, proprio in questi tempi oramai lunghi di chiusure e restrizioni, sono stati messi ai margini della scuola: niente computer, niente didattica a distanza. Il quadro è ancora più grave se si considerano pure le carenze delle banda larga, ma anche la scarsa dimestichezza dei familiari di questi bambini con i vari elementi della cultura informatica, con le app per seguire le lezioni, per fare i compiti, per tenersi in collegamento con maestri e professori e con i compagni. “La scuola perduta dai ragazzi del Sud”, ha documentato efficacemente Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera” (30 aprile), calcolando, oltre al divario digitale, la differenza di frequenza in classe tra gli studenti di Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo: nelle città del Sud (tranne che a Palermo) è andata molto peggio. “Negli asili di Bari finora 66 giorni in classe contro i 135 di Milano”.

Il divario tra bambini, digitale e non, ha dunque una dimensione geografica che conferma le tradizionali diseguaglianze (“Le due Italie. Perché il Paese è sempre più diseguale”, è il titolo del nuovo libro di Alberto Magnani per Castelvecchi, denso di analisi aggiornate). Ma anche una dimensione interna alle metropoli del Nord, tra zone benestanti e aree povere delle città, tra chi vive e frequenta scuole nei quartieri con redditi e abitudini culturali e sociali più elevati e periferie marginali.

Il risultato è allarmante: il nostro paese sta rischiando di perdere per strada milioni di bambini, già in crisi nei rapporti con la scuola (l’Italia ha un primato negativo in Europa per gli abbandoni scolastici) e adesso ancora più nettamente tagliati fuori dalle lezioni, dallo studio, dalla relazioni fondamentali con insegnanti e coetanei. Generazioni a rischio, che in futuro potranno vedere accentuate le difficoltà per il lavoro e l’inserimento sociale, per la conoscenza, per il pieno godimento dei diritti politici e civili. Una ferita sociale. E un’aperta violazione della Costituzione, dei suoi principi di uguaglianza e pari opportunità.

L’intero panorama italiano, proprio dal punto di vista dei rapporti con le nuove tecnologie informatiche, è sconfortante. Siamo al 25° posto tra i 27 paesi Ue per livello di digitalizzazione. Il 17% degli Italiani tra i 16 e i 74 anni non ha mai usato Internet (la media Ue è del 9%). Le connessioni veloci in moltissime zone del paese sono un miraggio. La dimestichezza con tutto ciò che circola di appena sofisticato sulla rete è carente (eccezion fatta per social, giochi e porno).

C’è dunque da fare un grande salto, sul fronte dell’innovazione tecnologica. Giustamente il Pnrr (la versione italiana del Recovery Plan della Ue) stanzia risorse imponenti e si pone obiettivi ambiziosi, per superare il divario con il resto della Ue. E Vittorio Colao, adesso ministro per la transizione digitale del governo Draghi, dopo un passato di top manager internazionale, sostiene: “Con il digitale un’Italia più giusta per giovani e donne. Connettività per tutti significa aumentare le opportunità di apprendere, di cercare lavoro e di fare impresa” (“la Repubblica”, 1 maggio).

Tecnologie da sviluppare e applicare, dunque. Una nuova e migliore coscienza dei diritti e dei doveri digitali, per abitare con consapevolezza “l’infosfera” (ne ha scritto con lucidità il 1° maggio Maurizio Molinari su “la Repubblica”: “Sicurezza e prosperità collettive dipendono dalla nostra capacità di essere protagonisti responsabili delle attività digitali… E’ nello spazio digitale la nuova frontiera del lavoro”). Una robusta sinergia tra investimenti pubblici e investimenti privati per l’innovazione. Un ambizioso salto culturale.

Ma proprio pensando ai nostri bambini e alle nostre bambine delle aree del Sud e dei quartieri più fragili di tutte le città italiane, è indispensabile fare di più. Elaborare una strategia che coinvolga enti locali, fondazioni, imprese, strutture del terzo settore per mettere le nuove generazioni, partendo proprio dalle scuole elementari, in condizione di non subire i disagi del divario digitale scolastico. Fornire computer e tablet, dunque. E impegnarsi nell’insegnare come usarli, per la formazione e, più in generale, per i processi di conoscenza. E’ una scelta urgente, proprio mentre l’anno scolastico va a finire, per non dare per scontata la differenza di frequentazione delle lezioni e di apprendimento da cui siamo partiti in questo ragionamento e per prepararsi bene all’anno che verrà.

I vaccini – si spera – terranno a bada la pandemia. Ma l’esperienza digitale, in un modo o nell’altro, andrà avanti. E sarebbe gravissimo se disparità e diseguaglianze si approfondissero e si aggravassero.

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