

Il 26 aprile del 1955 moriva in un incidente sulla pista di Monza il pilota automobilistico Alberto Ascari. Anzi, “Il nostro amico Alberto Ascari”, come titolava l’articolo che la Rivista Pirelli gli dedicò un mese dopo la scomparsa. Ascari era l’amico dei meccanici ai box, il campione che dopo ogni gara vittoriosa saliva le scale dell’edificio di Viale Abruzzi a Milano, allora sede provvisoria postbellica della Pirelli, in visita al suo partner tecnologico di fiducia. Con Pirelli, Ascari aveva corso sulle Maserati,sulle Ferrari e sulle Lancia. Il pneumatico Pirelli Stella Bianca prima e lo Stelvio poi l’avevano condotto per due volte in vetta al Campionato del Mondo di Formula 1 nel 1952 e ne 1953. Con Pirelli aveva affrontato, e spesso vinto, le grandi classiche come la Mille Miglia o la 1000 km del Nürburgring: la fedeltà negli anni al marchio della P Lunga era un motivo in più per sottolineare la sua amicizia con il “maestro” Gigi Villoresi e trovare un punto in comune con il rivale Juan Manuel Fangio. Alberto era per molti “Ascarino”, perchè figlio del pilota Antonio scomparso nel 1925. O anche “Ciccio”, come lo chiamava Gianni Brera per via del fisico non propriamente esile. O ancora – per lo stesso motivo – era “La montagna che respira”. Lo confermava la moglie Mietta al giornalista Nino Nutrizio nell’articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli nel 1951, dedicato al riposo dei campioni: “la montagna è di là che dorme, e respira. Buon segno, vuol dire che va tutto bene.”
Era scaramantico Ascari? Probabilmente sì, come tanti piloti di allora perennemente a rischio della vita. Già le tredici lettere che componevano il suo nome, così come quello del padre, gli piacevano poco. Proprio suo padre che era morto in un incidente al Gran Premio di Francia del 1925, il 26 luglio: mai mettersi al volante di una monoposto il giorno 26. E soprattutto mai correre senza il casco azzurro portafortuna.
Quando gli amici Villoresi e Castellotti lo invitarono a Monza a vedere la nuovissima Ferrari 750 Sport cheavrebbe esordito a giorni, Ascari si trovava nella sua casa di Milano, di ritorno dal Gran Premio di Monaco , dove era uscito di pista inabissandosi con la sua Lancia D50 nelle acque del porto del Principato. A Monza Ascari non resistette alla tentazione di provare la nuova Ferrari, anche senza il casco azzurro, anche se era giovedì 26 maggio. Al terzo giro, la curva del Vialone gli fu fatale: si disse che avesse bruscamente frenato per non investire un curioso che stava attraversando la pista.
Avrebbe compiuto 37 anni di lì a poco più di un mese, proprio come il padre Alberto al momento della scomparsa: lui nato nel 1888, suo figlio nel 1918. Due uomini legati da un destino simile e da una fine prematura, ma anche dalla leggendaria fama di campioni.