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Donne e lavoro, le prescrizioni della Costituzione e i vantaggi per lo sviluppo e la qualità della vita

E’ necessario insistere sull’importanza del lavoro delle donne e sull’abbattimento deciso delle disparità di genere, se si vuole davvero costruire un migliore sviluppo economico e sociale dell’Italia. In nome della Costituzione. Ma anche dei valori e degli interessi del Paese e del futuro delle nuove generazioni. Parola del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E dell’ex presidente del Consiglio e della Bce (la Banca Centrale Europea) Mario Draghi. Nel paese che cresce poco e male e vive un sempre più freddo “inverno demografico”, i loro interventi, alla fine della scorsa settimana, hanno avuto il merito di indirizzare il discorso pubblico su una delle questioni essenziali cui politica ed economia dovrebbero dedicare la massima attenzione.

Cominciamo con Mattarella. In un messaggio inviato alla manifestazione “Il tempo delle donne” organizzato, come ogni anno, dal Corriere della Sera, il presidente ha ricordato come “il lavoro è motore di crescita sociale ed economica” e “il nostro paese, al pari degli altri, non può permettersi di rinunciare all’apporto delle donne, che costituisce un fattore indispensabile”. Il divario di quasi il 20% tra occupazione maschile e femminile costituisce “un punto critico” da ridurre sempre più. E se il lavoro è anche “libertà, dignità e riscatto”, occorre, anche nei rapporti di lavoro, “rispettare i diritti di parità e di eguaglianza previsti dalla Costituzione”.

Bisogna dunque abbattere “ostacoli e disparità”, superare finalmente “barriere” per l’accesso, le retribuzioni, le carriere, gli incarichi di vertice, che portano a “inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica e psicologica”. Quanto agli ostacoli, Mattarella ha indicato quelli che “rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia”. Lo sguardo è rivolto soprattutto alle nuove generazioni: “Per cercare di frenare l’impoverimento demografico ma anche venire incontro ai legittimo desideri delle giovani coppie sarà sempre più necessario impegnarsi per una migliore gestione dei servizi, per la conciliazione dei tempi di lavoro, per una più forte cultura di sostegno della famiglia”.

Alla legge fondamentale che guida la Repubblica ha fatto riferimento anche Mario Draghi: “Chi paga meno le donne va contro la Costituzione”. Un’affermazione forte, che chiama direttamente in causa il mondo delle imprese e delle professioni e che interpella anche governo, parlamento, forze politiche e pubbliche amministrazioni perché facciano con più decisione e maggiore incisività quel che serve contro quelle “barriere” e “discriminazioni” cui ha fatto cenno Mattarella.

Draghi ha ricordato come sulla parità di genere l’Italia sia “molto, troppo indietro”. Ha insistito sul fatto che “la parità non si fa per decreto, ma bisogna costruirne le condizioni”. E ha inserito le scelte politiche necessarie per una maggiore partecipazione delle donne al lavoro nella strategia di rilancio delle politiche industriali e dell’innovazione previste dal “Rapporto sulla Competitività” dell’Europa presentato nei giorni scorsi a Bruxelles.

Il richiamo alla Costituzione è quanto mai opportuno. E vale la pena ricordare i tre articoli cui fare riferimento: gli articoli 3, 31 e 37.

Il più diretto è l’articolo 37, che stabilisce che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e aggiunge: “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al bambino una speciale adeguata protezione”. L’articolo 31, più ampio, afferma che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento di compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. E l’articolo 3 è la cornice generale in cui inserire le indicazioni di cui abbiamo detto: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’esperienza di ognuno di noi e la lettura della storia recente dicono che molti passi avanti sono stati fatti, nel corso del tempo dall’approvazione della Costituzione a oggi. Ma conferma pure che quelle disposizioni fondamentali sono ancora lontane dall’avere avuto piena e soddisfacente attuazione. Tanto che due personalità di grande peso intellettuale e politico e di tanto rigore culturale e intellettuale, come appunto Mattarella e Draghi sentono giustamente la necessità di ricordarne il dettato.

Norme infrante dalle istituzioni e dalle imprese, oltre che da molti cittadini, sottolinea su La Stampa Simonetta Sciandivasci (14 settembre).

Guardiamo alcuni dati, per capire meglio. Il tasso di occupazione femminile, secondo l’Istat, è stato del 52,7%, in miglioramento rispetto al 51,9 dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma comunque nettamente al di sotto di quello maschile, rispettivamente al 70,4% nel ’24 e al 69,4% del ’23, con una forbice di 18 punti, molto più ampia del 10% della media Ue. Un divario di genere che continua a collocarci nelle ultime posizioni europee. E si ripercuote negativamente sull’andamento complessivo dell’economia italiana: “Se il nostro tasso di occupazione femminile raggiungesse la media europea, il Pil crescerebbe del 7,4%”, ha notato Azzurra Rinaldi, economista, direttrice della School of Gender Economics dell’università “La Sapienza” di Roma, durante “Il tempo delle donne” (Corriere della Sera, 14 settembre).

“Guardando al tasso di occupazione femminile abbiamo fatto progressi enormi negli ultimi due anni. Ed è chiaro il sentiero su cui andare avanti”, sostiene il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Donne e diritti, restano forti ritardi sulla parità”, insiste invece Maurizio Ferrera, economista, esperto di welfare e questioni sociali, in un editoriale sul Corriere della Sera (16 settembre), notando come la consapevolezza di quanto l’occupazione femminile faccia bene all’economia si stia radicando soprattutto tra le nuove generazioni ma anche quanto, ognuno a suo modo e per ragioni diverse, governo e istituzioni e partiti, trasversalmente alle aree politiche, fatichino a tradurre questa idea in scelte politiche e misure concrete.

Non si tratta di un bonus o sussidi, ma di misure di politica economica e sociale che riguardino i redditi, le opportunità di carriera e gli stipendi, i servizi, la casa, le opportunità di conciliazione tra vita e lavoro sia per le madri che per i padri. E, più in generale, di una vera e propria ricostruzione della fiducia nel futuro.

C’è ancora un altro aspetto su cui insistere: la relazione virtuosa tra occupazione femminile e situazione demografica: “Il tasso di fecondità cresce dove le donne lavorano di più”, sostiene Maria Rita Testa, professore di Demografia all’università Luiss (IlSole24Ore, 5 settembre), documentando come quei tassi siano più alti della media nazionale (l’1,2%, tra i più bassi nella Ue, che ha una media di 1,46) nelle aree come le province autonome di Bolzano e Trento e l’Emilia Romagna (rispettivamente 1,56 e poi 1,28 e 1,22) in cui l’occupazione femminile tocca il 69,3 e poi il 64,5 e il 64,4. La relazione non è naturalmente deterministica. Ma indica un percorso, lungo le strade della qualità della vita e del lavoro, dei servizi efficienti e di una prospettiva di fiducia, combinando “politiche occupazionali, educative e di welfare, con un impegno concertato per creare un ambiente di lavoro in cui le donne realizzino il loro pieno potenziale professionale senza rinunciare al ruolo di madre nel menage familiare”.

(foto Getty Images)

E’ necessario insistere sull’importanza del lavoro delle donne e sull’abbattimento deciso delle disparità di genere, se si vuole davvero costruire un migliore sviluppo economico e sociale dell’Italia. In nome della Costituzione. Ma anche dei valori e degli interessi del Paese e del futuro delle nuove generazioni. Parola del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E dell’ex presidente del Consiglio e della Bce (la Banca Centrale Europea) Mario Draghi. Nel paese che cresce poco e male e vive un sempre più freddo “inverno demografico”, i loro interventi, alla fine della scorsa settimana, hanno avuto il merito di indirizzare il discorso pubblico su una delle questioni essenziali cui politica ed economia dovrebbero dedicare la massima attenzione.

Cominciamo con Mattarella. In un messaggio inviato alla manifestazione “Il tempo delle donne” organizzato, come ogni anno, dal Corriere della Sera, il presidente ha ricordato come “il lavoro è motore di crescita sociale ed economica” e “il nostro paese, al pari degli altri, non può permettersi di rinunciare all’apporto delle donne, che costituisce un fattore indispensabile”. Il divario di quasi il 20% tra occupazione maschile e femminile costituisce “un punto critico” da ridurre sempre più. E se il lavoro è anche “libertà, dignità e riscatto”, occorre, anche nei rapporti di lavoro, “rispettare i diritti di parità e di eguaglianza previsti dalla Costituzione”.

Bisogna dunque abbattere “ostacoli e disparità”, superare finalmente “barriere” per l’accesso, le retribuzioni, le carriere, gli incarichi di vertice, che portano a “inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica e psicologica”. Quanto agli ostacoli, Mattarella ha indicato quelli che “rendono difficile la conciliazione tra occupazione e cura della famiglia”. Lo sguardo è rivolto soprattutto alle nuove generazioni: “Per cercare di frenare l’impoverimento demografico ma anche venire incontro ai legittimo desideri delle giovani coppie sarà sempre più necessario impegnarsi per una migliore gestione dei servizi, per la conciliazione dei tempi di lavoro, per una più forte cultura di sostegno della famiglia”.

Alla legge fondamentale che guida la Repubblica ha fatto riferimento anche Mario Draghi: “Chi paga meno le donne va contro la Costituzione”. Un’affermazione forte, che chiama direttamente in causa il mondo delle imprese e delle professioni e che interpella anche governo, parlamento, forze politiche e pubbliche amministrazioni perché facciano con più decisione e maggiore incisività quel che serve contro quelle “barriere” e “discriminazioni” cui ha fatto cenno Mattarella.

Draghi ha ricordato come sulla parità di genere l’Italia sia “molto, troppo indietro”. Ha insistito sul fatto che “la parità non si fa per decreto, ma bisogna costruirne le condizioni”. E ha inserito le scelte politiche necessarie per una maggiore partecipazione delle donne al lavoro nella strategia di rilancio delle politiche industriali e dell’innovazione previste dal “Rapporto sulla Competitività” dell’Europa presentato nei giorni scorsi a Bruxelles.

Il richiamo alla Costituzione è quanto mai opportuno. E vale la pena ricordare i tre articoli cui fare riferimento: gli articoli 3, 31 e 37.

Il più diretto è l’articolo 37, che stabilisce che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e aggiunge: “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al bambino una speciale adeguata protezione”. L’articolo 31, più ampio, afferma che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento di compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. E l’articolo 3 è la cornice generale in cui inserire le indicazioni di cui abbiamo detto: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

L’esperienza di ognuno di noi e la lettura della storia recente dicono che molti passi avanti sono stati fatti, nel corso del tempo dall’approvazione della Costituzione a oggi. Ma conferma pure che quelle disposizioni fondamentali sono ancora lontane dall’avere avuto piena e soddisfacente attuazione. Tanto che due personalità di grande peso intellettuale e politico e di tanto rigore culturale e intellettuale, come appunto Mattarella e Draghi sentono giustamente la necessità di ricordarne il dettato.

Norme infrante dalle istituzioni e dalle imprese, oltre che da molti cittadini, sottolinea su La Stampa Simonetta Sciandivasci (14 settembre).

Guardiamo alcuni dati, per capire meglio. Il tasso di occupazione femminile, secondo l’Istat, è stato del 52,7%, in miglioramento rispetto al 51,9 dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma comunque nettamente al di sotto di quello maschile, rispettivamente al 70,4% nel ’24 e al 69,4% del ’23, con una forbice di 18 punti, molto più ampia del 10% della media Ue. Un divario di genere che continua a collocarci nelle ultime posizioni europee. E si ripercuote negativamente sull’andamento complessivo dell’economia italiana: “Se il nostro tasso di occupazione femminile raggiungesse la media europea, il Pil crescerebbe del 7,4%”, ha notato Azzurra Rinaldi, economista, direttrice della School of Gender Economics dell’università “La Sapienza” di Roma, durante “Il tempo delle donne” (Corriere della Sera, 14 settembre).

“Guardando al tasso di occupazione femminile abbiamo fatto progressi enormi negli ultimi due anni. Ed è chiaro il sentiero su cui andare avanti”, sostiene il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Donne e diritti, restano forti ritardi sulla parità”, insiste invece Maurizio Ferrera, economista, esperto di welfare e questioni sociali, in un editoriale sul Corriere della Sera (16 settembre), notando come la consapevolezza di quanto l’occupazione femminile faccia bene all’economia si stia radicando soprattutto tra le nuove generazioni ma anche quanto, ognuno a suo modo e per ragioni diverse, governo e istituzioni e partiti, trasversalmente alle aree politiche, fatichino a tradurre questa idea in scelte politiche e misure concrete.

Non si tratta di un bonus o sussidi, ma di misure di politica economica e sociale che riguardino i redditi, le opportunità di carriera e gli stipendi, i servizi, la casa, le opportunità di conciliazione tra vita e lavoro sia per le madri che per i padri. E, più in generale, di una vera e propria ricostruzione della fiducia nel futuro.

C’è ancora un altro aspetto su cui insistere: la relazione virtuosa tra occupazione femminile e situazione demografica: “Il tasso di fecondità cresce dove le donne lavorano di più”, sostiene Maria Rita Testa, professore di Demografia all’università Luiss (IlSole24Ore, 5 settembre), documentando come quei tassi siano più alti della media nazionale (l’1,2%, tra i più bassi nella Ue, che ha una media di 1,46) nelle aree come le province autonome di Bolzano e Trento e l’Emilia Romagna (rispettivamente 1,56 e poi 1,28 e 1,22) in cui l’occupazione femminile tocca il 69,3 e poi il 64,5 e il 64,4. La relazione non è naturalmente deterministica. Ma indica un percorso, lungo le strade della qualità della vita e del lavoro, dei servizi efficienti e di una prospettiva di fiducia, combinando “politiche occupazionali, educative e di welfare, con un impegno concertato per creare un ambiente di lavoro in cui le donne realizzino il loro pieno potenziale professionale senza rinunciare al ruolo di madre nel menage familiare”.

(foto Getty Images)

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