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Innovare come e perché

Innovare oppure morire. La sintesi – estrema – della condizione in cui si trova tanta parte (non tutta), del sistema industriale italiano può essere questa. Siamo, non è un segreto, in carenza d’innovazione per tanti motivi. Ciò che occorre, è capire come agire per colmare il divario che ci separa dall’industria che, invece, ha fatto dell’innovazione il suo cavallo di battaglia. Partendo, per esempio, dal concetto di open innovation coniato da Henry Chesbrough di cui che recentemente è uscito in Italia “Open. Modelli di business per l’innovazione”.

Chesbrough è direttore esecutivo del Center of the Open Innovation e professore alla Haas School of Business, dell’Università di Berkeley in California, ma soprattutto è stato capace di raccordare teoria e pratica per dare indicazioni nuove a manager e imprenditori.

Open innovation, dunque, cioè l’idea secondo la quale in un mondo in cui le fonti della conoscenza sono sempre più distribuite e diffuse, per spingere la crescita bisogna cogliere le buone opportunità al di fuori delle mura aziendali. Detto in altre parole, secondo Chesbrough, le imprese – di ogni dimensione – devono imparare a gestire un processo innovativo “aperto” agli stimoli esterni, capace al contempo di esportare quelle idee che all’interno non verrebbero messe a frutto. Dalla teoria, come è ovvio, occorrono però strumenti ed esempi per passare alla pratica.

Ed è proprio ciò che indica Chesbrough nella sua ultima fatica. “Open” – 280 pagine nella sua edizione italiana -, contiene due cose: una serie di strumenti utili per capire ostacoli e rischi del “percorso di apertura” di un’impresa all’innovazione e una serie di esempi di aziende che questo percorso lo hanno già intrapreso. Si parla così di CR Firenze, Ferrovie dello Stato e SIA/SSB (che hanno avuto una spinta innovativa dal cambiamento di alcune direttive europee), oppure di Intesa Sanpaolo (spinta a cambiare dal cambiamento dell’assetto societario), ma anche di Almaviva, Elsag e Xerox (che hanno innovato condividendo i rischi con i clienti), e di piccole realtà come EDRA e Loccioni (che sono cambiate per distinguersi e competere con imprese molto più grandi di loro). E altri casi toccati sono quelli di STMicroelectronics, Fiat, Brembo e Tiscali, Finmeccanica.

“Open”, quindi, è tutto da leggere. E da mettere in pratica. Partendo dalle peculiarità delle imprese nazionali.

Open. Modelli di business per l’innovazione

Henry Chesbrough

Egea, 2013.

Innovare oppure morire. La sintesi – estrema – della condizione in cui si trova tanta parte (non tutta), del sistema industriale italiano può essere questa. Siamo, non è un segreto, in carenza d’innovazione per tanti motivi. Ciò che occorre, è capire come agire per colmare il divario che ci separa dall’industria che, invece, ha fatto dell’innovazione il suo cavallo di battaglia. Partendo, per esempio, dal concetto di open innovation coniato da Henry Chesbrough di cui che recentemente è uscito in Italia “Open. Modelli di business per l’innovazione”.

Chesbrough è direttore esecutivo del Center of the Open Innovation e professore alla Haas School of Business, dell’Università di Berkeley in California, ma soprattutto è stato capace di raccordare teoria e pratica per dare indicazioni nuove a manager e imprenditori.

Open innovation, dunque, cioè l’idea secondo la quale in un mondo in cui le fonti della conoscenza sono sempre più distribuite e diffuse, per spingere la crescita bisogna cogliere le buone opportunità al di fuori delle mura aziendali. Detto in altre parole, secondo Chesbrough, le imprese – di ogni dimensione – devono imparare a gestire un processo innovativo “aperto” agli stimoli esterni, capace al contempo di esportare quelle idee che all’interno non verrebbero messe a frutto. Dalla teoria, come è ovvio, occorrono però strumenti ed esempi per passare alla pratica.

Ed è proprio ciò che indica Chesbrough nella sua ultima fatica. “Open” – 280 pagine nella sua edizione italiana -, contiene due cose: una serie di strumenti utili per capire ostacoli e rischi del “percorso di apertura” di un’impresa all’innovazione e una serie di esempi di aziende che questo percorso lo hanno già intrapreso. Si parla così di CR Firenze, Ferrovie dello Stato e SIA/SSB (che hanno avuto una spinta innovativa dal cambiamento di alcune direttive europee), oppure di Intesa Sanpaolo (spinta a cambiare dal cambiamento dell’assetto societario), ma anche di Almaviva, Elsag e Xerox (che hanno innovato condividendo i rischi con i clienti), e di piccole realtà come EDRA e Loccioni (che sono cambiate per distinguersi e competere con imprese molto più grandi di loro). E altri casi toccati sono quelli di STMicroelectronics, Fiat, Brembo e Tiscali, Finmeccanica.

“Open”, quindi, è tutto da leggere. E da mettere in pratica. Partendo dalle peculiarità delle imprese nazionali.

Open. Modelli di business per l’innovazione

Henry Chesbrough

Egea, 2013.

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