Ricostruire la fiducia in istituzioni e democrazia: è la sfida per un’Europa più aperta e competitiva
Attenzione, la fiducia nelle istituzioni pubbliche è in calo. E questa crisi investe la politica, ma anche l’economia e mette in difficoltà governi e mercati, partiti e associazioni di rappresentanza sociale e culturale, scuola e comunità. Ferisce la nostra convivenza civile. E, quel che è peggio, danneggia profondamente la relazione delle nuove generazioni con il futuro. Rende fragile la storia che stiamo scrivendo e soprattutto impedisce di scriverne una migliore da parte dei nostri figli e nipoti.
L’allarme arriva dall’Ocse che, in un recente rapporto, “Trust Survey – 2024 Results: Building Trust in a Complex Policy Environment” (IlSole24Ore, 5 settembre) nota come il 44% degli intervistati nei 30 paesi coinvolti nella ricerca (per la prima volta c’è anche l’Italia) dichiari di avere poca o nessuna fiducia nelle istituzioni pubbliche, superando coloro che invece sostengono di averne abbastanza, il 39%. Negli Usa va ancora peggio: i “fiduciosi” sono appena il 23%.
Le istituzioni che riscuotono più fiducia sono le forze dell’ordine (62,9%) e le Corti di giustizia (54,1%), in coda ci sono i partiti (23,4%), le amministrazioni internazionali, ma anche quelle regionali e locali stanno appena sopra il 40%, i governi e i parlamenti nazionali appena sotto. I dati, naturalmente, andranno letti con grande attenzione ai dettagli, alle differenze tra paese e paese, alle contingenze storiche e politiche. Resta comunque il dato di fondo: il “patto di fiducia” che sta alla base delle democrazie rappresentative, ispira il rapporto tra governanti e governati e fa da base alla delega di rappresentanza si va sempre più incrinando. E’ la crisi della democrazia liberale e del “patto sociale” che la ispira (libertà & benessere diffuso). E sono necessarie rapide, efficaci risposte, anche per evitare che abbiano la meglio, in una competizione sempre più aspra e spregiudicata, i sistemi autoritari, le “demokrature”, le “democrazie illiberali” che caratterizzano la maggior parte dei paesi nel mondo.
La questione investe in pieno l’Europa, oltre che gli Usa (il voto dei primi di novembre per la Casa Bianca chiarirà bene quanto profonda sia la crisi di fiducia politica e istituzionale e quali risposte sul tema potranno venirci da una grande e solida democrazia, punto di riferimento internazionale). E ha proprio ragione chi, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parla di “Europa incompiuta” che “può crollare”, di limiti da superare, riforme da fare (per l’Italia, anche quelle necessarie ad abbattere un gigantesco debito pubblico, pericoloso per la stabilità e lo sviluppo del Paese) e fantasmi cui non cedere: “Nella pubblica opinione si riaffacciano spinte che immaginano, senza motivo, un futuro frutto di nostalgie di un passato che ci ha riservato spesso tragedia”. L’ancoraggio è la Costituzione. Lo sguardo è verso i giovani, sollecitati a “combattere contro fantasmi che sperano nell’oblio per poter riemergere con vesti nuove”.
Più Europa, dice in sostanza Mattarella. E un’Europa migliore, capace cioè di riforme, investimenti comuni, scelte lungimiranti. Anche per difendere e rilanciare il patrimonio di Stati e istituzioni comunitarie che hanno saputo, come in nessun altro posto al mondo, tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e innovazione, crescita economica e inclusione, intraprendenza individuale e giustizia sociale. Un equilibrio complesso, sottoposto oggi a stravolgenti fibrillazioni dalla rapidità e radicalità delle crisi ambientali e delle trasformazioni tecnologiche (la diffusione crescente di fake news è un veleno sempre più allarmante). E che ha bisogno, per essere rafforzato e rinnovato, di una decisa ricostruzione di fiducia.
Il rapporto sulla competitività presentato ieri da Mario Draghi chiarisce i termini della questione, sollecita “cambi radicali”, ammonisce che “se la Ue non può più fornire pace, equità, libertà, prosperità non ha motivo di esistere”. E indica la necessità di massicci investimenti, “pari a due volte il Piano Marshall” su sicurezza, energia, difesa, innovazione (a cominciare dall’Intelligenza Artificiale), ambiente, formazione, con scelte politiche essenziali per reggere la competizione con Usa e Cina.
La nuova Commissione Ue, guidata da Ursula von der Leyen, adesso, con il Rapporto Draghi e con quello presentato a luglio da Enrico Letta sulla costruzione di un vero ed efficiente Mercato Unico, ha i cardini della sua agenda politica. Su cui ritessere la tela della fiducia e dunque dello sviluppo sostenibile.
Una sintesi da ascoltare è anche quella contenuta nelle pagine di “Un patto per il futuro – Dalla sopravvivenza alla convivenza” di Giovanni Maria Flick, pubblicato dal Sole24Ore. Ex ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte Costituzionale, Flick insiste, con lungimirante acume, sulle scelte da fare, sia a Bruxelles che a Roma, per evitare di cadere nella trappola del “presentismo” (agevolato dalle tentazioni semplificatorie dei social media) e avviare ambiziose riforme. Anche per lui la Costituzione è punto essenziale di riferimento. E la centralità della persona è una linea guida. Anche per cercare di governare le innovazioni tecnologiche.
C’è, infatti, un rischio: la conquista del potere da parte di oligarchie tecnologiche estranee a valori e metodi delle democrazie liberali, manipolatorie, sostanzialmente autoritarie (“il ragionamento robotico altro non è se non il riflesso di chi gestisce il robot”, ne scrive l’algoritmo di funzionamento). E dunque scelte e riforme devono essere fatte, senza negare importanza e aspetti positivi delle nuove tecnologie, Intelligenza Artificiale compresa, nel contesto dei valori democratici, dell’efficacia e della responsabilità delle istituzioni pubbliche e delle responsabilità degli attori economici e sociali. Una questione di fiducia, appunto. E di rinnovamento di una buona democrazia.
(foto Getty Images)
Attenzione, la fiducia nelle istituzioni pubbliche è in calo. E questa crisi investe la politica, ma anche l’economia e mette in difficoltà governi e mercati, partiti e associazioni di rappresentanza sociale e culturale, scuola e comunità. Ferisce la nostra convivenza civile. E, quel che è peggio, danneggia profondamente la relazione delle nuove generazioni con il futuro. Rende fragile la storia che stiamo scrivendo e soprattutto impedisce di scriverne una migliore da parte dei nostri figli e nipoti.
L’allarme arriva dall’Ocse che, in un recente rapporto, “Trust Survey – 2024 Results: Building Trust in a Complex Policy Environment” (IlSole24Ore, 5 settembre) nota come il 44% degli intervistati nei 30 paesi coinvolti nella ricerca (per la prima volta c’è anche l’Italia) dichiari di avere poca o nessuna fiducia nelle istituzioni pubbliche, superando coloro che invece sostengono di averne abbastanza, il 39%. Negli Usa va ancora peggio: i “fiduciosi” sono appena il 23%.
Le istituzioni che riscuotono più fiducia sono le forze dell’ordine (62,9%) e le Corti di giustizia (54,1%), in coda ci sono i partiti (23,4%), le amministrazioni internazionali, ma anche quelle regionali e locali stanno appena sopra il 40%, i governi e i parlamenti nazionali appena sotto. I dati, naturalmente, andranno letti con grande attenzione ai dettagli, alle differenze tra paese e paese, alle contingenze storiche e politiche. Resta comunque il dato di fondo: il “patto di fiducia” che sta alla base delle democrazie rappresentative, ispira il rapporto tra governanti e governati e fa da base alla delega di rappresentanza si va sempre più incrinando. E’ la crisi della democrazia liberale e del “patto sociale” che la ispira (libertà & benessere diffuso). E sono necessarie rapide, efficaci risposte, anche per evitare che abbiano la meglio, in una competizione sempre più aspra e spregiudicata, i sistemi autoritari, le “demokrature”, le “democrazie illiberali” che caratterizzano la maggior parte dei paesi nel mondo.
La questione investe in pieno l’Europa, oltre che gli Usa (il voto dei primi di novembre per la Casa Bianca chiarirà bene quanto profonda sia la crisi di fiducia politica e istituzionale e quali risposte sul tema potranno venirci da una grande e solida democrazia, punto di riferimento internazionale). E ha proprio ragione chi, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parla di “Europa incompiuta” che “può crollare”, di limiti da superare, riforme da fare (per l’Italia, anche quelle necessarie ad abbattere un gigantesco debito pubblico, pericoloso per la stabilità e lo sviluppo del Paese) e fantasmi cui non cedere: “Nella pubblica opinione si riaffacciano spinte che immaginano, senza motivo, un futuro frutto di nostalgie di un passato che ci ha riservato spesso tragedia”. L’ancoraggio è la Costituzione. Lo sguardo è verso i giovani, sollecitati a “combattere contro fantasmi che sperano nell’oblio per poter riemergere con vesti nuove”.
Più Europa, dice in sostanza Mattarella. E un’Europa migliore, capace cioè di riforme, investimenti comuni, scelte lungimiranti. Anche per difendere e rilanciare il patrimonio di Stati e istituzioni comunitarie che hanno saputo, come in nessun altro posto al mondo, tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e innovazione, crescita economica e inclusione, intraprendenza individuale e giustizia sociale. Un equilibrio complesso, sottoposto oggi a stravolgenti fibrillazioni dalla rapidità e radicalità delle crisi ambientali e delle trasformazioni tecnologiche (la diffusione crescente di fake news è un veleno sempre più allarmante). E che ha bisogno, per essere rafforzato e rinnovato, di una decisa ricostruzione di fiducia.
Il rapporto sulla competitività presentato ieri da Mario Draghi chiarisce i termini della questione, sollecita “cambi radicali”, ammonisce che “se la Ue non può più fornire pace, equità, libertà, prosperità non ha motivo di esistere”. E indica la necessità di massicci investimenti, “pari a due volte il Piano Marshall” su sicurezza, energia, difesa, innovazione (a cominciare dall’Intelligenza Artificiale), ambiente, formazione, con scelte politiche essenziali per reggere la competizione con Usa e Cina.
La nuova Commissione Ue, guidata da Ursula von der Leyen, adesso, con il Rapporto Draghi e con quello presentato a luglio da Enrico Letta sulla costruzione di un vero ed efficiente Mercato Unico, ha i cardini della sua agenda politica. Su cui ritessere la tela della fiducia e dunque dello sviluppo sostenibile.
Una sintesi da ascoltare è anche quella contenuta nelle pagine di “Un patto per il futuro – Dalla sopravvivenza alla convivenza” di Giovanni Maria Flick, pubblicato dal Sole24Ore. Ex ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte Costituzionale, Flick insiste, con lungimirante acume, sulle scelte da fare, sia a Bruxelles che a Roma, per evitare di cadere nella trappola del “presentismo” (agevolato dalle tentazioni semplificatorie dei social media) e avviare ambiziose riforme. Anche per lui la Costituzione è punto essenziale di riferimento. E la centralità della persona è una linea guida. Anche per cercare di governare le innovazioni tecnologiche.
C’è, infatti, un rischio: la conquista del potere da parte di oligarchie tecnologiche estranee a valori e metodi delle democrazie liberali, manipolatorie, sostanzialmente autoritarie (“il ragionamento robotico altro non è se non il riflesso di chi gestisce il robot”, ne scrive l’algoritmo di funzionamento). E dunque scelte e riforme devono essere fatte, senza negare importanza e aspetti positivi delle nuove tecnologie, Intelligenza Artificiale compresa, nel contesto dei valori democratici, dell’efficacia e della responsabilità delle istituzioni pubbliche e delle responsabilità degli attori economici e sociali. Una questione di fiducia, appunto. E di rinnovamento di una buona democrazia.
(foto Getty Images)