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Lavoro a distanza, strumento (frenato) per una diversa cultura del produrre

Una ricerca Inapp mette in evidenza che cosa manca per un miglior uso dello smart working

Lavoro a distanza o smart working che dir si voglia. In ogni caso, una nuova modalità di lavorare (in ufficio soprattutto) completamente diversa da quelle consuete. Esploso nel periodo dell’emergenza pandemica del Covid, il lavoro a distanza esisteva già prima e, soprattutto, è continuato dopo l’emergenza. Capire quali effetti abbia è però ancora materia di studio e sondaggio. Oltre alla modalità di lavorare, infatti, lo smart working comporta una diversa cultura del produrre che, sempre di più, si sta diffondendo e che deve essere ben compresa.

A questo, quindi, serve leggere “Iper-luoghi e spazi di interazione: lo smart working nelle aree interne”, ricerca dell’Inapp realizzata a cura di Filippo Tantillo e Rosita Zucaro e da poco pubblicata.

Il paper viene presentato come “il primo esito organico di un’attività di ricerca volta alla misurazione e all’analisi delle significative sinergie e ricadute, che possono essere impresse da forme di lavoro a distanza sui territori in via di abbandono e a grave rischio di spopolamento, le cosiddette aree interne”. Sottolineatura importante, questa. Il lavoro a distanza, infatti, può essere la chiave per aprire porte  fino ad oggi quasi sempre chiuse, soprattutto quelle che mettono in collegamento le aree svantaggiate con il resto dell’economia.

Per capire meglio, Inapp ha quindi avviato lo studio a partire dalla vertiginosa diffusione del lavoro da remoto per esigenze emergenziali, con l’obiettivo di misurare l’impatto che queste nuove modalità lavorative possono determinare in termini di geografia del lavoro su un territorio gravato da un’accentuata polarizzazione, tra zone congestionate e territori in grave contrazione demografica.

La ricerca si articola in più fasi. Prima di tutto sono stati approfonditi i collegamenti tra smart working e aree interne, poi si sono analizzati gli indicatori a disposizione per comprendere meglio la realtà, quindi sono state approfondite le esperienze di tre aree interne. La ricerca si conclude con l’indicazione di una serie di provvedimenti nazionali e regionali che potrebbero favorire la diffusione di questo tipo di lavoro.

Il lavoro da remoto, è il messaggio dei curatori dell’indagine, non solo rappresentare una forma concreta di intendere la cultura del produrre ma anche uno strumento per frenare l’esodo della popolazione da aree in cui è “complesso” vivere. Contemporaneamente, però, la ricerca mette in evidenza la “discrasia tra esigenze e bisogno (…) e risposte dell’apparato ordinativo”.

Iper-luoghi e spazi di interazione: lo smart working nelle aree interne

Filippo Tantillo, Rosita Zucaro (a cura di)

INAPP Papers, 2024

Una ricerca Inapp mette in evidenza che cosa manca per un miglior uso dello smart working

Lavoro a distanza o smart working che dir si voglia. In ogni caso, una nuova modalità di lavorare (in ufficio soprattutto) completamente diversa da quelle consuete. Esploso nel periodo dell’emergenza pandemica del Covid, il lavoro a distanza esisteva già prima e, soprattutto, è continuato dopo l’emergenza. Capire quali effetti abbia è però ancora materia di studio e sondaggio. Oltre alla modalità di lavorare, infatti, lo smart working comporta una diversa cultura del produrre che, sempre di più, si sta diffondendo e che deve essere ben compresa.

A questo, quindi, serve leggere “Iper-luoghi e spazi di interazione: lo smart working nelle aree interne”, ricerca dell’Inapp realizzata a cura di Filippo Tantillo e Rosita Zucaro e da poco pubblicata.

Il paper viene presentato come “il primo esito organico di un’attività di ricerca volta alla misurazione e all’analisi delle significative sinergie e ricadute, che possono essere impresse da forme di lavoro a distanza sui territori in via di abbandono e a grave rischio di spopolamento, le cosiddette aree interne”. Sottolineatura importante, questa. Il lavoro a distanza, infatti, può essere la chiave per aprire porte  fino ad oggi quasi sempre chiuse, soprattutto quelle che mettono in collegamento le aree svantaggiate con il resto dell’economia.

Per capire meglio, Inapp ha quindi avviato lo studio a partire dalla vertiginosa diffusione del lavoro da remoto per esigenze emergenziali, con l’obiettivo di misurare l’impatto che queste nuove modalità lavorative possono determinare in termini di geografia del lavoro su un territorio gravato da un’accentuata polarizzazione, tra zone congestionate e territori in grave contrazione demografica.

La ricerca si articola in più fasi. Prima di tutto sono stati approfonditi i collegamenti tra smart working e aree interne, poi si sono analizzati gli indicatori a disposizione per comprendere meglio la realtà, quindi sono state approfondite le esperienze di tre aree interne. La ricerca si conclude con l’indicazione di una serie di provvedimenti nazionali e regionali che potrebbero favorire la diffusione di questo tipo di lavoro.

Il lavoro da remoto, è il messaggio dei curatori dell’indagine, non solo rappresentare una forma concreta di intendere la cultura del produrre ma anche uno strumento per frenare l’esodo della popolazione da aree in cui è “complesso” vivere. Contemporaneamente, però, la ricerca mette in evidenza la “discrasia tra esigenze e bisogno (…) e risposte dell’apparato ordinativo”.

Iper-luoghi e spazi di interazione: lo smart working nelle aree interne

Filippo Tantillo, Rosita Zucaro (a cura di)

INAPP Papers, 2024

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