Cronache per amare Milano, scrivendo di moda, Masterchef e case per i tranvieri
A Milano, nei giardini di marzo con gli alberi ancora spogli, tira comunque aria di primavera. E le strade sono affollate dal popolo fashion, per le sfilate femminili delle collezioni per il prossimo autunno/inverno (pare che si useranno molto il color cioccolato e le gonne longuette a vita alta, scelta ardua però se non si è alte e magre). Per compensare la severa e competitiva leggerezza modaiola, ecco che è cominciata “Milano MuseoCity”, 140 eventi tra musei e palazzi storici, per confrontarsi con la grande arte ma anche con le raccolte degli archivi e dei musei d’impresa: una settimana intera tra arte, scienza, tecnologia, design, “saper fare e far sapere”. Milano è appunto così: bellezza e cultura politecnica, mille luci scintillanti e solidità dei saperi.
Eccolo, dunque, un possibile racconto di Milano, sfogliando le pagine di cronaca dei quotidiani, per dire di una metropoli cui tutti guardano con ossessiva attenzione e che i milanesi osservano con speciale inclinazione autocritica (mai dimenticare che “milanesi si diventa”, con impegnativi percorsi di inclusione e integrazione, guidati dalla tradizione delle regole del lavoro e delle virtù civiche e civili, oggi però un po’ in crisi). E mentre c’è chi scrive libri intitolati “Contro Milano” deprecandone l’illustrato degrado, fioriscono le discussioni, nel mondo politico ed economico, nei circoli della società civile e nei circuiti culturali (il Centro Studi “Grande Milano” ne offre testimonianze esemplari) su cosa vale la pena fare, tra atti di governo e scelte sociali, perché, pur in un mondo di conflitti crescenti e turbolenti cambiamenti, Milano continui a essere “the place to be”.Senza illusioni né retorica. Ma, semmai, con la convinzione profonda che una metropoli è il luogo principe della complessità e, perché no?, delle contraddizioni. Leggere, per averne coscienza, un grande poeta americano, Walt Whitman: “Mi contraddico? Sì, mi contraddico. Contengo moltitudini”. Milano è, appunto, città di moltitudini.
Cosa dice, dunque, la cronaca? Che una ragazza milanese di famiglia cinese, Anna Ylan Zhang, ha vinto Masterchef: era disoccupata, sa cucinare benissimo, ha la tempra di chi regge una dura competizione (e si commuove spesso) e alla fine trova il successo. Tutto, appunto, molto milanese (con radici in via Sarpi).
Sfogli il “Corriere della Sera” e scopri che in una strada del centro, via Palestro, le auto dei frequentatori di un club privato di gran lusso sostano in doppia fila o sul marciapiedi, mentre un portiere in livrea allontana gli automobilisti qualunque. È una conferma della deriva verso “la città dei ricchi”? Magari non vale la pena generalizzare un caso di privilegio. Meglio continuare a leggere. E sapere che monta “la travolgente ondata dei ristoranti romani” visto che “tutte le più rinomate trattorie della capitale hanno aperto qui: è la nuova moda milanese”. “Gricia” e “carbonara” accanto alll’ossobuco e risotto giallo: Milano è appunto inclusiva, no?
Leggiamo su “la Repubblica” che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ribadisce che “la città non è solo mercato e produzione”, che “la solitudine è un’epidemia” e che “Milano si salva se c’è la fiducia”, cioè se non si perdono umanità, solidarietà, spirito di accoglienza (non solo per le belle modelle, i ragazzi delle famiglie benestanti di tutto il mondo e l’uso generoso del guanciale in cucina). Delpini ha proprio ragione.
C’è appunto da affrontare con urgenza il problema del caro-casa, di fronte ad aumenti clamorosi dei prezzi per gli acquisti immobiliari e gli affitti, che allontanano da Milano gli studenti ma anche i giovani professori, le famiglie delle classi medie e le ragazze e i ragazzi del “ceti creativi e intellettuali”, coloro cioè che sono sempre stati l’energia vitale di una “città che sale”, di una cultura urbana in espansione. Chi governa la città lo sa. E prepara misure.
Un esempio? Sempre leggendo i quotidiani (dovere civile farlo, oltre che interesse profondo per sapere bene dove si vive e come ci si dimostrata cittadini: la buona informazione ne è il sale, altro che volgarità e approssimazioni così diffuse sui social media)… sempre sui quotidiani, dicevamo, si legge che l’ATM sta mettendo a punto un piano per alloggi a canone ridotto per trovare tranvieri. Una buona mossa, un’intelligente indicazione da seguire da parte di strutture pubbliche e private.
Le cronache dicono anche di fatti di “nera” che creano allarme sociale. E le analisi ci confermano che Milano, pur segnata da una microcriminalità diffusa come in tutte le metropoli, non è affatto la Gotham City che a tanti piace evocare, stimolando un clima di paura.
Sempre le cronache fanno notare che in certe classifiche ministeriali la sanità lombarda perde posizioni (ma poi, leggendo meglio, di capisce che la qualità dell’assistenza, nelle strutture pubbliche e private, resta elevatissima e attrattiva per migliaia di malati che arrivano qui dal resto d’Italia): c’è infatti “del buono da fare emergere”, come commenta giustamente Giangiacomo Schiavi sul “Corriere”.
Si scrive, ancora, che Milano e Palermo, sulla spinta dei due sindaci Beppe Sala e Roberto Lagalla, progettano programmi comuni legati alla cultura, alla formazione di qualità, all’ambiente, alle nuove tecnologie e allo sviluppo europeo del Mediterraneo, che proprio nelle due città può avere “laboratori segnati da spirito di frontiera e creatività”. E da una scelta di fondo per “la legalità”.
Ecco qui, in poche righe, scampoli di cronaca. Per dire cosa? Che Milano, come ogni metropoli, va letta con attenzione e rispetto, senza facili generalizzazioni. E che la cifra di interpretazione è proprio l’analisi della complessità. Dei problemi. E delle soluzioni.
Una metropoli come Milano, infatti, non può non vivere di mercato, di intraprendenza privata, di crescita e stimoli di successo. Ma naturalmente non può essere abbandonata alla prevalenza delle logiche di mercato. Ha bisogno di buon governo, nazionale e regionale. E di pubblica amministrazione di qualità. Che sappia tenere insieme valori e interessi, generali e particolari. Come peraltro, la storia dei suoi sindaci ha dimostrato di saper fare (e la cui lezione va oggi rimeditata e riconsiderata). Come le sue classi imprenditrici e le associazioni economiche hanno testimoniato, mostrando come i valori pubblici e civili siano nutriti anche nel mondo degli affari.
Più economia produttiva insomma (la parola “produttiva” è essenziale, senza cadere nel privilegio della rendita). E migliore amministrazione della cosa pubblica. In una sinergia di scelte e progetti che, com’è sempre successo, facciano convivere mercato e welfare, competitività e inclusione sociale. Una sinergia difficile da sostenere, però, se, sempre leggendo le cronache, i cittadini scoprono che il governo continua a tagliare le risorse a disposizione degli enti locali per servizi e investimenti. Le nozze con i fichi secchi non sono affatto una buona abitudine nè un efficace servizio democratico ai cittadini. Né a Milano né altrove.
(foto Getty Images)


A Milano, nei giardini di marzo con gli alberi ancora spogli, tira comunque aria di primavera. E le strade sono affollate dal popolo fashion, per le sfilate femminili delle collezioni per il prossimo autunno/inverno (pare che si useranno molto il color cioccolato e le gonne longuette a vita alta, scelta ardua però se non si è alte e magre). Per compensare la severa e competitiva leggerezza modaiola, ecco che è cominciata “Milano MuseoCity”, 140 eventi tra musei e palazzi storici, per confrontarsi con la grande arte ma anche con le raccolte degli archivi e dei musei d’impresa: una settimana intera tra arte, scienza, tecnologia, design, “saper fare e far sapere”. Milano è appunto così: bellezza e cultura politecnica, mille luci scintillanti e solidità dei saperi.
Eccolo, dunque, un possibile racconto di Milano, sfogliando le pagine di cronaca dei quotidiani, per dire di una metropoli cui tutti guardano con ossessiva attenzione e che i milanesi osservano con speciale inclinazione autocritica (mai dimenticare che “milanesi si diventa”, con impegnativi percorsi di inclusione e integrazione, guidati dalla tradizione delle regole del lavoro e delle virtù civiche e civili, oggi però un po’ in crisi). E mentre c’è chi scrive libri intitolati “Contro Milano” deprecandone l’illustrato degrado, fioriscono le discussioni, nel mondo politico ed economico, nei circoli della società civile e nei circuiti culturali (il Centro Studi “Grande Milano” ne offre testimonianze esemplari) su cosa vale la pena fare, tra atti di governo e scelte sociali, perché, pur in un mondo di conflitti crescenti e turbolenti cambiamenti, Milano continui a essere “the place to be”.Senza illusioni né retorica. Ma, semmai, con la convinzione profonda che una metropoli è il luogo principe della complessità e, perché no?, delle contraddizioni. Leggere, per averne coscienza, un grande poeta americano, Walt Whitman: “Mi contraddico? Sì, mi contraddico. Contengo moltitudini”. Milano è, appunto, città di moltitudini.
Cosa dice, dunque, la cronaca? Che una ragazza milanese di famiglia cinese, Anna Ylan Zhang, ha vinto Masterchef: era disoccupata, sa cucinare benissimo, ha la tempra di chi regge una dura competizione (e si commuove spesso) e alla fine trova il successo. Tutto, appunto, molto milanese (con radici in via Sarpi).
Sfogli il “Corriere della Sera” e scopri che in una strada del centro, via Palestro, le auto dei frequentatori di un club privato di gran lusso sostano in doppia fila o sul marciapiedi, mentre un portiere in livrea allontana gli automobilisti qualunque. È una conferma della deriva verso “la città dei ricchi”? Magari non vale la pena generalizzare un caso di privilegio. Meglio continuare a leggere. E sapere che monta “la travolgente ondata dei ristoranti romani” visto che “tutte le più rinomate trattorie della capitale hanno aperto qui: è la nuova moda milanese”. “Gricia” e “carbonara” accanto alll’ossobuco e risotto giallo: Milano è appunto inclusiva, no?
Leggiamo su “la Repubblica” che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ribadisce che “la città non è solo mercato e produzione”, che “la solitudine è un’epidemia” e che “Milano si salva se c’è la fiducia”, cioè se non si perdono umanità, solidarietà, spirito di accoglienza (non solo per le belle modelle, i ragazzi delle famiglie benestanti di tutto il mondo e l’uso generoso del guanciale in cucina). Delpini ha proprio ragione.
C’è appunto da affrontare con urgenza il problema del caro-casa, di fronte ad aumenti clamorosi dei prezzi per gli acquisti immobiliari e gli affitti, che allontanano da Milano gli studenti ma anche i giovani professori, le famiglie delle classi medie e le ragazze e i ragazzi del “ceti creativi e intellettuali”, coloro cioè che sono sempre stati l’energia vitale di una “città che sale”, di una cultura urbana in espansione. Chi governa la città lo sa. E prepara misure.
Un esempio? Sempre leggendo i quotidiani (dovere civile farlo, oltre che interesse profondo per sapere bene dove si vive e come ci si dimostrata cittadini: la buona informazione ne è il sale, altro che volgarità e approssimazioni così diffuse sui social media)… sempre sui quotidiani, dicevamo, si legge che l’ATM sta mettendo a punto un piano per alloggi a canone ridotto per trovare tranvieri. Una buona mossa, un’intelligente indicazione da seguire da parte di strutture pubbliche e private.
Le cronache dicono anche di fatti di “nera” che creano allarme sociale. E le analisi ci confermano che Milano, pur segnata da una microcriminalità diffusa come in tutte le metropoli, non è affatto la Gotham City che a tanti piace evocare, stimolando un clima di paura.
Sempre le cronache fanno notare che in certe classifiche ministeriali la sanità lombarda perde posizioni (ma poi, leggendo meglio, di capisce che la qualità dell’assistenza, nelle strutture pubbliche e private, resta elevatissima e attrattiva per migliaia di malati che arrivano qui dal resto d’Italia): c’è infatti “del buono da fare emergere”, come commenta giustamente Giangiacomo Schiavi sul “Corriere”.
Si scrive, ancora, che Milano e Palermo, sulla spinta dei due sindaci Beppe Sala e Roberto Lagalla, progettano programmi comuni legati alla cultura, alla formazione di qualità, all’ambiente, alle nuove tecnologie e allo sviluppo europeo del Mediterraneo, che proprio nelle due città può avere “laboratori segnati da spirito di frontiera e creatività”. E da una scelta di fondo per “la legalità”.
Ecco qui, in poche righe, scampoli di cronaca. Per dire cosa? Che Milano, come ogni metropoli, va letta con attenzione e rispetto, senza facili generalizzazioni. E che la cifra di interpretazione è proprio l’analisi della complessità. Dei problemi. E delle soluzioni.
Una metropoli come Milano, infatti, non può non vivere di mercato, di intraprendenza privata, di crescita e stimoli di successo. Ma naturalmente non può essere abbandonata alla prevalenza delle logiche di mercato. Ha bisogno di buon governo, nazionale e regionale. E di pubblica amministrazione di qualità. Che sappia tenere insieme valori e interessi, generali e particolari. Come peraltro, la storia dei suoi sindaci ha dimostrato di saper fare (e la cui lezione va oggi rimeditata e riconsiderata). Come le sue classi imprenditrici e le associazioni economiche hanno testimoniato, mostrando come i valori pubblici e civili siano nutriti anche nel mondo degli affari.
Più economia produttiva insomma (la parola “produttiva” è essenziale, senza cadere nel privilegio della rendita). E migliore amministrazione della cosa pubblica. In una sinergia di scelte e progetti che, com’è sempre successo, facciano convivere mercato e welfare, competitività e inclusione sociale. Una sinergia difficile da sostenere, però, se, sempre leggendo le cronache, i cittadini scoprono che il governo continua a tagliare le risorse a disposizione degli enti locali per servizi e investimenti. Le nozze con i fichi secchi non sono affatto una buona abitudine nè un efficace servizio democratico ai cittadini. Né a Milano né altrove.
(foto Getty Images)