Investire sulla scienza per migliorare scuola e imprese: la Fondazione Leonardo punta sulla cultura politecnica
Investire sulla scienza. Insegnare la scienza. Tenere in gran conto il metodo scientifico per l’economia, l’ambiente, la salute, l’alimentazione e tutte le altre difficili, ambiziose e controverse sfide dei nostri tempi inquieti. E dunque lavorare con impegno per sanare la frattura che, durante il corso del Novecento, ha separato “le due culture”, cioè i saperi umanistici dalle conoscenze scientifiche, e ha quindi rallentato il progresso e la crescita economica dell’Italia. Pensare, insomma, a come rafforzare proprio quella “cultura politecnica” che nella stagione luminosa dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva profondamente caratterizzato “l’identità italiana” e dato, alla civiltà del mondo, l’esempio di personalità che erano, insieme, artisti e scienziati (Leonardo da Vinci, Piero della Francesca e Leon Battista Alberti sono solo i principali dei tanti nomi che potremmo fare).
Sono queste le considerazioni essenziali che vengono in mente leggendo i documenti del nuovo corso della Fondazione Leonardo, presieduta da Luciano Floridi (dopo la lunga stagione di presidenza di Luciano Violante). Floridi è filosofo, attento ai temi dell’epistemologia e dell’etica del mondo dell’Information Technology, ha insegnato a Oxford e dirige il Digital Ethic Center della Yale University negli Usa. E adesso ha potenziato i suoi impegni anche in Italia, per sostenere una serie di programmi didattici e di ricerca sulla scienza nelle scuole e nelle università italiane. La Fondazione Leonardo ne è uno strumento, anche in collaborazione con i progetti della Fondazione Treccani.
“A scuola di Stem” è il cardine del progetto (una sigla oramai nota, dalle iniziali di Science, Technology, Engineering e Mathematics), presentato nei giorni scorsi, nella Sala della Lupa di Montecitorio, da Floridi, da Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo e da Helga Cossu, direttore generale della Fondazione Leonardo. La mission della Fondazione, appunto, è “contribuire al rinnovamento della didattica nelle scuole” per “agevolare la comprensione della complessità sociale attraverso le materie Stem”, elaborare efficaci strategie di comunicazione verso le nuove generazioni grazie a una originale piattaforma del Progetto Outreach, ridurre il gap generazionale rispetto ai temi scientifici e “sviluppare progetti di ricerca scientifica con corsi, borse di studio, scambi internazionali, eventi e mostre”.
Un progetto ambizioso, naturalmente. Ma fondamentale. Insistendo proprio sulle sintesi tra discipline diverse, conoscenze, correlazioni tra informazioni, rafforzamento e rilancio della ricerca.
Le evoluzioni del mondo digitale e gli strumenti messi a disposizione dalla diffusione dell’AI (Artificial Intelligence) aiutano, pure se pongono, sia agli studiosi che ai politici, agli operatori economici ed a tutta la società civile, nuove e drammatiche sfide, epistemologiche ma anche e soprattutto di valori e di senso.
D’altronde, proprio le grandi questioni legate alle evoluzioni scientifiche portano da tempo ai nodi morali delle scelte (lo testimonia una delle più belle pagine della letteratura teatrale del Novecento”, il dramma “Copenhagen” di Michael Frayn, centrato sul difficile dialogo tra due grandi fisici, Niels Bohr e Werner Heisenberg, sulle responsabilità etiche degli scienziati di fronte agli sviluppi dell’energia atomica come strumento di guerra).
Cingolani, scienziato e uomo d’impresa, sa bene quanto intensa sia l’attualità umanistica della conoscenza scientifica. E ha chiaro come la “maggiore democrazia nei processi della conoscenza” favorita dal mondo digitale apra contemporaneamente questioni, sociali e politiche, sulla maggiore “complessità rispetto all’attendibilità delle informazioni” (si smarrisce il rapporto con le fonti e si complicano i processi di verifica della veridicità di dati e fatti, degradati spesso a “fattoidi”).
La presenza di Floridi va proprio in questa direzione: da sapiente filosofo, conosce le sfide etiche e sociali che i rapidi, tumultuosi processi di evoluzione scientifica e tecnologica pongono all’intera umanità. Sfide di comprensione. Di giudizio. Di governabilità e non solo di normazione e regolazione (come si limita a fare la Ue, tecnologicamente secondaria rispetto alla grande forza dei giganti high tech negli Usa e in Cina, ma anche in India). Di sintesi, insomma, per usare espressioni care a Floridi, tra nomos, il sistema delle regole, e paideia, la formazione umana in senso ampio.
Andare, dunque, “a scuola di Stem”. E probabilmente trovare anche relazioni virtuose con le iniziative che insistono sulla diffusione tecnologica e sulla cultura d’impresa, sui rapporti tra scienza, applicazioni tecnologiche e competitività economica. Come, per esempio, “A scuola d’impresa”, le attività didattiche promosse da Museimpresa e curate dalle aziende iscritte all’associazione che riunisce musei e archivi storici del mondo produttivo.
Forse, però, c’è un passaggio in più da fare. Non soltanto colmare il deficit di cultura scientifica e favorirne l’accesso soprattutto alle ragazze, che la falsa dicotomia umanesimo-scienza ha a lungo tagliato fuori dalle materie matematiche, fisiche e ingegneristiche. Ma soprattutto lavorare su una nuova e migliore sintesi. La “cultura politecnica”, appunto.
Qualche anno fa, l’Assolombarda (su input dell’allora presidente Gianfelice Rocca) aveva lanciato un nuovo acronimo, arricchendo la sigla Stem in Steam, aggiungendo cioè la “a” di arts: la letteratura e la filosofia, la storia e la conoscenza dei processi di creatività artistica, dal teatro alla musica, dalla scultura alla pittura e alle tante altre espressioni della rappresentazione del bello. Una strada su cui riflettere, da seguire. Una strada, peraltro, già nota alla migliore cultura d’impresa del Made in Italy, legata alle sinergie tra bellezza e qualità, innovazione e senso della storia, radici delle culture materiali dei territori e sguardo internazionale: le ragioni di fondo della migliore competitività economica del sistema Paese.
È una consapevolezza già nutrita da tempo dalle università più sensibili all’innovazione e alle dimensioni multidisciplinari, indispensabili per fare fronte alle questioni poste dalle evoluzioni dell’ “economia della conoscenza”. Nei due Politecnici di Milano e di Torino, infatti, si studia filosofia. E proprio l’evoluzione delle strutture e delle funzioni degli algoritmi dell’AI creativa sollecita una crescente integrazione delle conoscenze e delle competenze di cyberscienziati e filosofi, fisici e sociologhi, statistici ed economisti, giuristi e letterati.
Stem che diventa Steam, dunque. “Due culture” che tornano a essere una, nelle sue variabili e complesse articolazioni. Diversità in cerca di sintesi e da vivere come punti di forza. E valore economico da costruire lungo la strada dei valori morali e civili. Seguendo la lezione della “notte chiara” della scienza di un altro straordinario umanista italiano: Galileo Galilei.
(Foto Getty Images)


Investire sulla scienza. Insegnare la scienza. Tenere in gran conto il metodo scientifico per l’economia, l’ambiente, la salute, l’alimentazione e tutte le altre difficili, ambiziose e controverse sfide dei nostri tempi inquieti. E dunque lavorare con impegno per sanare la frattura che, durante il corso del Novecento, ha separato “le due culture”, cioè i saperi umanistici dalle conoscenze scientifiche, e ha quindi rallentato il progresso e la crescita economica dell’Italia. Pensare, insomma, a come rafforzare proprio quella “cultura politecnica” che nella stagione luminosa dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva profondamente caratterizzato “l’identità italiana” e dato, alla civiltà del mondo, l’esempio di personalità che erano, insieme, artisti e scienziati (Leonardo da Vinci, Piero della Francesca e Leon Battista Alberti sono solo i principali dei tanti nomi che potremmo fare).
Sono queste le considerazioni essenziali che vengono in mente leggendo i documenti del nuovo corso della Fondazione Leonardo, presieduta da Luciano Floridi (dopo la lunga stagione di presidenza di Luciano Violante). Floridi è filosofo, attento ai temi dell’epistemologia e dell’etica del mondo dell’Information Technology, ha insegnato a Oxford e dirige il Digital Ethic Center della Yale University negli Usa. E adesso ha potenziato i suoi impegni anche in Italia, per sostenere una serie di programmi didattici e di ricerca sulla scienza nelle scuole e nelle università italiane. La Fondazione Leonardo ne è uno strumento, anche in collaborazione con i progetti della Fondazione Treccani.
“A scuola di Stem” è il cardine del progetto (una sigla oramai nota, dalle iniziali di Science, Technology, Engineering e Mathematics), presentato nei giorni scorsi, nella Sala della Lupa di Montecitorio, da Floridi, da Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo e da Helga Cossu, direttore generale della Fondazione Leonardo. La mission della Fondazione, appunto, è “contribuire al rinnovamento della didattica nelle scuole” per “agevolare la comprensione della complessità sociale attraverso le materie Stem”, elaborare efficaci strategie di comunicazione verso le nuove generazioni grazie a una originale piattaforma del Progetto Outreach, ridurre il gap generazionale rispetto ai temi scientifici e “sviluppare progetti di ricerca scientifica con corsi, borse di studio, scambi internazionali, eventi e mostre”.
Un progetto ambizioso, naturalmente. Ma fondamentale. Insistendo proprio sulle sintesi tra discipline diverse, conoscenze, correlazioni tra informazioni, rafforzamento e rilancio della ricerca.
Le evoluzioni del mondo digitale e gli strumenti messi a disposizione dalla diffusione dell’AI (Artificial Intelligence) aiutano, pure se pongono, sia agli studiosi che ai politici, agli operatori economici ed a tutta la società civile, nuove e drammatiche sfide, epistemologiche ma anche e soprattutto di valori e di senso.
D’altronde, proprio le grandi questioni legate alle evoluzioni scientifiche portano da tempo ai nodi morali delle scelte (lo testimonia una delle più belle pagine della letteratura teatrale del Novecento”, il dramma “Copenhagen” di Michael Frayn, centrato sul difficile dialogo tra due grandi fisici, Niels Bohr e Werner Heisenberg, sulle responsabilità etiche degli scienziati di fronte agli sviluppi dell’energia atomica come strumento di guerra).
Cingolani, scienziato e uomo d’impresa, sa bene quanto intensa sia l’attualità umanistica della conoscenza scientifica. E ha chiaro come la “maggiore democrazia nei processi della conoscenza” favorita dal mondo digitale apra contemporaneamente questioni, sociali e politiche, sulla maggiore “complessità rispetto all’attendibilità delle informazioni” (si smarrisce il rapporto con le fonti e si complicano i processi di verifica della veridicità di dati e fatti, degradati spesso a “fattoidi”).
La presenza di Floridi va proprio in questa direzione: da sapiente filosofo, conosce le sfide etiche e sociali che i rapidi, tumultuosi processi di evoluzione scientifica e tecnologica pongono all’intera umanità. Sfide di comprensione. Di giudizio. Di governabilità e non solo di normazione e regolazione (come si limita a fare la Ue, tecnologicamente secondaria rispetto alla grande forza dei giganti high tech negli Usa e in Cina, ma anche in India). Di sintesi, insomma, per usare espressioni care a Floridi, tra nomos, il sistema delle regole, e paideia, la formazione umana in senso ampio.
Andare, dunque, “a scuola di Stem”. E probabilmente trovare anche relazioni virtuose con le iniziative che insistono sulla diffusione tecnologica e sulla cultura d’impresa, sui rapporti tra scienza, applicazioni tecnologiche e competitività economica. Come, per esempio, “A scuola d’impresa”, le attività didattiche promosse da Museimpresa e curate dalle aziende iscritte all’associazione che riunisce musei e archivi storici del mondo produttivo.
Forse, però, c’è un passaggio in più da fare. Non soltanto colmare il deficit di cultura scientifica e favorirne l’accesso soprattutto alle ragazze, che la falsa dicotomia umanesimo-scienza ha a lungo tagliato fuori dalle materie matematiche, fisiche e ingegneristiche. Ma soprattutto lavorare su una nuova e migliore sintesi. La “cultura politecnica”, appunto.
Qualche anno fa, l’Assolombarda (su input dell’allora presidente Gianfelice Rocca) aveva lanciato un nuovo acronimo, arricchendo la sigla Stem in Steam, aggiungendo cioè la “a” di arts: la letteratura e la filosofia, la storia e la conoscenza dei processi di creatività artistica, dal teatro alla musica, dalla scultura alla pittura e alle tante altre espressioni della rappresentazione del bello. Una strada su cui riflettere, da seguire. Una strada, peraltro, già nota alla migliore cultura d’impresa del Made in Italy, legata alle sinergie tra bellezza e qualità, innovazione e senso della storia, radici delle culture materiali dei territori e sguardo internazionale: le ragioni di fondo della migliore competitività economica del sistema Paese.
È una consapevolezza già nutrita da tempo dalle università più sensibili all’innovazione e alle dimensioni multidisciplinari, indispensabili per fare fronte alle questioni poste dalle evoluzioni dell’ “economia della conoscenza”. Nei due Politecnici di Milano e di Torino, infatti, si studia filosofia. E proprio l’evoluzione delle strutture e delle funzioni degli algoritmi dell’AI creativa sollecita una crescente integrazione delle conoscenze e delle competenze di cyberscienziati e filosofi, fisici e sociologhi, statistici ed economisti, giuristi e letterati.
Stem che diventa Steam, dunque. “Due culture” che tornano a essere una, nelle sue variabili e complesse articolazioni. Diversità in cerca di sintesi e da vivere come punti di forza. E valore economico da costruire lungo la strada dei valori morali e civili. Seguendo la lezione della “notte chiara” della scienza di un altro straordinario umanista italiano: Galileo Galilei.
(Foto Getty Images)