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La bellezza come scelta per migliorare la salute e la cura: pittura, letteratura e musica utili alle “scienze della vita”

L’icona è la frase attribuita al principe Myškin, il protagonista de L’idiota di Fëdor Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Non era un motto consolatorio, ma piuttosto l’invito a cercare, nelle ombre delle miserie e del dolore dell’esistenza quotidiana, quelle tracce di grazia e di moralità che ci consentano di alzare lo sguardo verso una migliore condizione di pensiero e di vita. L’idea sarebbe stata ripresa, in tempi più recenti, da Tzvetan Todorov in un libro dallo stesso titolo, legando a quello dello scrittore russo anche i pensieri di Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva.
Bellezza, dunque, come ricerca di equilibrio, qualità, misura, oltre che come valore estetico (ben sapendo che già al tempo dei filosofi greci, estetica ed etica erano territori comuni di riflessione). Bellezza come via d’uscita dalla sofferenza.
Sono questi i primi pensieri che vengono in mente a proposito del recente progetto dell’Humanitas “La cura e la bellezza”, realizzato con il Museo Poldi Pezzoli di Milano per la clinica San Pio X. Sulle pareti dell’istituto di cura, ecco le riproduzioni della “Dama” di Pietro del Pollaiolo, con lo sguardo elegante e compìto e la celebre collana di perle e poi di opere di Hayez, Botticelli, Canaletto, Grechetto, Sassoferrato, Previtali, Sofonisba Anguissola e altri artisti, tutti lì per scandire i tempi dell’attesa, dare un momento di serenità nelle condizioni di sofferenza, consentire un momento di riposo ai medici e agli infermieri, ai malati e ai loro parenti, alle persone che, per una ragione o per l’altra, attraversano stanze di cura, laboratori, ambulatori, reparti sanitari. Ma anche accompagnare istanti di felicità (alla San Pio X c’è un frequentato reparto di maternità: arrivano nuove vite di bambine e bambini).
“Siamo una casa di cura. E quella casa-museo meravigliosa che è il Poldi Pezzoli ci aiuta ad evolvere e diventare una casa tout court per pazienti e personale”, sostiene Gianfelice Rocca, presidente di Humanitas.

Quadri. E oggetti d’arte della collezione del Poldi Pezzoli, orologi, strumenti segnatempo, porcellane (il progetto è stato curato da Daniele Lupo). Con l’idea di fondo di valorizzare sguardi, paesaggi, lampi di occhi e incroci di mani, luce, colori, per dare corpo e profondità alla vita che scorre e può pur avere diritto all’opportunità di un momento di tregua, di sosta, di respiro nella sofferenza. Bellezza terapeutica, appunto.
L’iniziativa con il Poldi Pezzoli è la terza tappa di un cammino iniziato anni fa dall’Humanitas. Con il Museo di Brera per l’Irccs di Rozzano e poi con l’Accademia Carrara per l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo (un filmato su questa iniziativa, con la regia di Nicola Martini per Social Content Factory, ha appena vinto il Made Film Festival di Bergamo per il cinema d’impresa, ex aequo con “Includere per crescere” di Bnl/ Bnp Paribas).

Sono scelte rilevanti, quelle della relazione tra bellezza e salute. Certo non generalizzabili in tutte le strutture sanitarie, in un settore già carico di difficoltà, carenze, tensioni, limiti economici e funzionali. Ma scelte da guardare comunque con grande interesse. Perché la qualità dell’ambiente sanitario incide sull’umore e sul clima psicologico di pazienti e familiari, medici e infermieri e dunque migliora l’inclinazione psicologica a dare spazio alla speranza di guarigione (per fare solo un esempio, i reparti pediatrici dell’Ospedale Niguarda, a Milano, erano stati arredati e decorati qualche anno fa, con disegni allegri e colorati, dalla Pirelli; e parecchie altre imprese si sono mosse in direzioni analoghe in altre strutture ospedaliere).
D’altronde cresce, anche nel mondo imprenditoriale, la consapevolezza dell’importanza di un rapporto positivo tra azienda e stakeholders, le persone delle comunità su cui incide l’attività dell’azienda stessa. Un circuito virtuoso tra “fare, fare bene e fare del bene”. Una relazione di valori sociali e civili, al di là dello stretto compito dell’impresa come attore che produce valore economico.
La cultura d’impresa, infatti, va intesa come cultura di sostenibilità e responsabilità sociale. E le Life Sciences sono vissute non soltanto come settore sanitario, ma come mondo più ampio che ha a che fare con la salute e con la qualità della vita. Una dimensione, peraltro, in cui il mondo delle imprese italiane può raccontare storie esemplari.

La cura e la bellezza, dunque. Come scelta personale e sociale. Ragionando sull’arte figurativa, secondo il paradigma Humanitas. Ma anche sul teatro e sulla musica. Sulla poesia e sulla letteratura (“Curarsi con i libri” era il titolo di uno straordinario volume di Ella Berthoud e Susan Elderkin, pubblicato una decina di anni fa da Sellerio: “Rimedi letterari per ogni malanno”). Su tutti gli aspetti della “cultura politecnica” italiana che continua a saper coniugare le conoscenze umanistiche con quelle scientifiche, la bellezza e le tecnologie, la memoria e l’innovazione. Con un’idea di “umanesimo integrale” che sa guardare alla persona nella sua complessa unitarietà e al corpo sociale con i suoi legami di solidarietà e di inclusione e con le capacità di dare valore alle diversità. Una scelta di buona salute. Ma anche un’idea lungimirante di civiltà. Un robusto capitale sociale.

(foto Humanitas)

L’icona è la frase attribuita al principe Myškin, il protagonista de L’idiota di Fëdor Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Non era un motto consolatorio, ma piuttosto l’invito a cercare, nelle ombre delle miserie e del dolore dell’esistenza quotidiana, quelle tracce di grazia e di moralità che ci consentano di alzare lo sguardo verso una migliore condizione di pensiero e di vita. L’idea sarebbe stata ripresa, in tempi più recenti, da Tzvetan Todorov in un libro dallo stesso titolo, legando a quello dello scrittore russo anche i pensieri di Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva.
Bellezza, dunque, come ricerca di equilibrio, qualità, misura, oltre che come valore estetico (ben sapendo che già al tempo dei filosofi greci, estetica ed etica erano territori comuni di riflessione). Bellezza come via d’uscita dalla sofferenza.
Sono questi i primi pensieri che vengono in mente a proposito del recente progetto dell’Humanitas “La cura e la bellezza”, realizzato con il Museo Poldi Pezzoli di Milano per la clinica San Pio X. Sulle pareti dell’istituto di cura, ecco le riproduzioni della “Dama” di Pietro del Pollaiolo, con lo sguardo elegante e compìto e la celebre collana di perle e poi di opere di Hayez, Botticelli, Canaletto, Grechetto, Sassoferrato, Previtali, Sofonisba Anguissola e altri artisti, tutti lì per scandire i tempi dell’attesa, dare un momento di serenità nelle condizioni di sofferenza, consentire un momento di riposo ai medici e agli infermieri, ai malati e ai loro parenti, alle persone che, per una ragione o per l’altra, attraversano stanze di cura, laboratori, ambulatori, reparti sanitari. Ma anche accompagnare istanti di felicità (alla San Pio X c’è un frequentato reparto di maternità: arrivano nuove vite di bambine e bambini).
“Siamo una casa di cura. E quella casa-museo meravigliosa che è il Poldi Pezzoli ci aiuta ad evolvere e diventare una casa tout court per pazienti e personale”, sostiene Gianfelice Rocca, presidente di Humanitas.

Quadri. E oggetti d’arte della collezione del Poldi Pezzoli, orologi, strumenti segnatempo, porcellane (il progetto è stato curato da Daniele Lupo). Con l’idea di fondo di valorizzare sguardi, paesaggi, lampi di occhi e incroci di mani, luce, colori, per dare corpo e profondità alla vita che scorre e può pur avere diritto all’opportunità di un momento di tregua, di sosta, di respiro nella sofferenza. Bellezza terapeutica, appunto.
L’iniziativa con il Poldi Pezzoli è la terza tappa di un cammino iniziato anni fa dall’Humanitas. Con il Museo di Brera per l’Irccs di Rozzano e poi con l’Accademia Carrara per l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo (un filmato su questa iniziativa, con la regia di Nicola Martini per Social Content Factory, ha appena vinto il Made Film Festival di Bergamo per il cinema d’impresa, ex aequo con “Includere per crescere” di Bnl/ Bnp Paribas).

Sono scelte rilevanti, quelle della relazione tra bellezza e salute. Certo non generalizzabili in tutte le strutture sanitarie, in un settore già carico di difficoltà, carenze, tensioni, limiti economici e funzionali. Ma scelte da guardare comunque con grande interesse. Perché la qualità dell’ambiente sanitario incide sull’umore e sul clima psicologico di pazienti e familiari, medici e infermieri e dunque migliora l’inclinazione psicologica a dare spazio alla speranza di guarigione (per fare solo un esempio, i reparti pediatrici dell’Ospedale Niguarda, a Milano, erano stati arredati e decorati qualche anno fa, con disegni allegri e colorati, dalla Pirelli; e parecchie altre imprese si sono mosse in direzioni analoghe in altre strutture ospedaliere).
D’altronde cresce, anche nel mondo imprenditoriale, la consapevolezza dell’importanza di un rapporto positivo tra azienda e stakeholders, le persone delle comunità su cui incide l’attività dell’azienda stessa. Un circuito virtuoso tra “fare, fare bene e fare del bene”. Una relazione di valori sociali e civili, al di là dello stretto compito dell’impresa come attore che produce valore economico.
La cultura d’impresa, infatti, va intesa come cultura di sostenibilità e responsabilità sociale. E le Life Sciences sono vissute non soltanto come settore sanitario, ma come mondo più ampio che ha a che fare con la salute e con la qualità della vita. Una dimensione, peraltro, in cui il mondo delle imprese italiane può raccontare storie esemplari.

La cura e la bellezza, dunque. Come scelta personale e sociale. Ragionando sull’arte figurativa, secondo il paradigma Humanitas. Ma anche sul teatro e sulla musica. Sulla poesia e sulla letteratura (“Curarsi con i libri” era il titolo di uno straordinario volume di Ella Berthoud e Susan Elderkin, pubblicato una decina di anni fa da Sellerio: “Rimedi letterari per ogni malanno”). Su tutti gli aspetti della “cultura politecnica” italiana che continua a saper coniugare le conoscenze umanistiche con quelle scientifiche, la bellezza e le tecnologie, la memoria e l’innovazione. Con un’idea di “umanesimo integrale” che sa guardare alla persona nella sua complessa unitarietà e al corpo sociale con i suoi legami di solidarietà e di inclusione e con le capacità di dare valore alle diversità. Una scelta di buona salute. Ma anche un’idea lungimirante di civiltà. Un robusto capitale sociale.

(foto Humanitas)

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