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Le “mani che pensano” tengono in piedi l’industria italiana, con una sintesi tra design e intelligenza artigianale e artificiale

“Era una notte buia e tempestosa”. È l’incipit di un romanzo immaginario, molto più famoso di tante altre prime pagine di romanzi reali. E lo scrive Snoopy, sul tetto della sua cuccia, battendo sui tasti di una macchina da scrivere che ricorda la Lettera 22 della Olivetti. Una straordinaria sintesi di icone. Innanzitutto, l’adorabile, fantasioso, ironico personaggio dei cartoon di Schulz. Poi, un prodotto industriale che connota, per bellezza e funzionalità, il miglior design italiano (un esemplare, appunto, è esposto al Moma di New York). E infine, un’attività, il raccontare in forma di libro, antica eppure straordinariamente attuale (ai libri abbiamo dedicato il blog della scorsa settimana).

Tre icone, ancora, che hanno sapore di buona cultura. E di valore universale del miglior Made in Italy: quella Lettera 22 (sulla mia scrivania ce n’è un esemplare del 1950, giusto il mio anno di nascita, un regalo profondamente gradito dei miei compagni e compagne di lavoro) è infatti una sintesi esemplare di forma e funzione e ancora oggi testimonia quella relazione creativa tra radici storiche e contemporaneità che connota l’attitudine diffusa dell’industria italiana a investire, come vantaggio competitivo, sul rapporto fra tradizione e innovazione.

“Intelligenza artigianale”, dice Diego Della Valle, presidente del Gruppo Tod’s, raccontando i 40 anni di vita del “gommino” che caratterizza le scarpe di maggior successo della manifattura di Casette d’Ete, sulle industriose colline marchigiane (Il Sole24Ore, 16 maggio e il Corriere della Sera, 17maggio) costruendo, per il piacere della discussione, un contrasto dialettico con l’Intelligenza Artificiale. Non certo per negare l’importanza della rivoluzione digitale in corso (l’IA è fondamentale, per l’industria, dal punto di vista della ricerca, della sperimentazione, dei controlli di qualità, della funzionalità degli impianti e dei processi di marketing sui mercati internazionali). Quanto soprattutto per insistere sui valori che segnano il “bello e ben fatto” della nostra industria: l’importanza delle persone, il rapporto con i territori, la qualità dei processi e dei prodotti, la cura per la sostenibilità ambientale e sociale nella “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, sicura. I valori dell’artigianalità, appunto. Che Diego Della Valle ha tradotto anche nell’apertura, nel 2012, di una “Bottega dei mestieri”, per formare giovani che hanno passione e intelligenza per la buona manifattura. “Italian hands”, come suggerisce il titolo dell’ultimo libro appena pubblicato dal Gruppo Tod’s.

“Mani che pensano”, era d’altronde il tema della Settimana della Cultura d’Impresa ‘24, la manifestazione organizzata, nel novembre di ogni anno, da Confindustria e Museimpresa per parlare, stavolta, di “Intelligenza Artificiale, arte e cultura per il rilancio dell’impresa”. E sono proprio le nostre capacità manifatturiere, anche in stagioni difficili di tensioni geopolitiche e devastanti guerre commerciali, a fare da punto di forza dell’export del Made in Italy e dunque della pur stentata crescita del Pil, del benessere e del lavoro dell’intero sistema Paese.

Il racconto del “saper fare italiano”, ancora carico di una forte eco negli ambienti economici e culturali internazionali, trova straordinarie testimonianze in un volume recentemente promosso dall’Adi (l’Associazione del design italiano), pubblicato da Treccani e curato da Beppe Finessi. Nelle oltre mille pagine del libro, la prima opera organica sul premio “Compasso d’Oro”, ideato da Gio Ponti all’inizio degli anni Cinquanta, ci sono sia la storia delle sue 27 edizioni, sino al ‘22, sia le presentazioni di tutti i prodotti vincitori e delle imprese produttrici (ma anche i ritratti dei designer cui è stato attribuito il premio alla carriera). E una ricca serie di riflessioni (Aldo Bonomi, Massimo Bray, Andrea Cancellato, Paola Antonelli, Chiara Alessi, Stefano Micelli, Luca Molinari, Carlo Branzaglia, tra i tanti) sul ruolo dei musei, sul rapporto tra industria, artigianato e design, sulle sinergie tra cultura del progetto e cultura del prodotto, sulla “civiltà delle macchine”, sulla costruzione, nel tempo, di un vero e proprio “immaginario” del saper fare italiano e sulla necessità di investire ancora di più su creatività, qualità industriale, innovazione, relazione fra una tradizione così solida e gli stimoli all’innovazione che arrivano dalle trasformazioni digitali della “economia della conoscenza”.

Valori culturali e sociali, per creare capitale sociale positivo e, naturalmente, anche valore economico, dal punto di vista delle imprese e del mercato. Sono dimensioni che restano d’attualità.

Vale dunque la pena tornare alle origini, a cominciare dai vincitori della prima edizione del “Compasso d’Oro” nel 1954: la scimmietta Zizi, un innovativo giocattolo in gomma piuma progettata da Bruno Munari e prodotta dalla Pirelli; e la Lettera 22 progettata da Marcello Nizzoli e prodotta dalla Olivetti.

Proprio la motivazione del premio olivettiano individua la relazione tra l’oggetto e il contesto, tra il progettare e il fabbricare. Nota infatti Luciano Galimberti, presidente Adi, nell’introduzione al libro: “La prima edizione ci racconta l’orgoglio di un Paese provato sia in termini economici sia morali dal secondo conflitto mondiale e interpreta la libertà come componente fondamentale per il progetto del futuro. Lettera 22, la macchina per scrivere portatile, scardina il rigido legame tra lavoro e luogo di lavoro. Oggi è del tutto normale lavorare e studiare in ogni dove, ma solo una straordinaria libertà di pensiero può produrre un simile cambiamento e solo la libertà ridefinita in quegli anni lo ha permesso”.

Il tema, oggi, per raccogliere e valorizzare l’eredità di una così ricca storia di design e manifattura di qualità, è quello della necessità di una vera e propria politica industriale, di respiro europeo, che definisca gli investimenti in ricerca e innovazione, sistemi e strumenti dell’AI europei (per sottrarsi dall’assoluta dipendenza delle Big Tech sia americane che cinesi), formazione, sicurezza e sciolga finalmente i nodi che impediscono alle imprese europee e, naturalmente, italiane, di essere competitive: la produttività, il costo elevato dell’energia, il lavoro, la burocrazia. Investimenti di ampio respiro. Da finanziare sia con il bilancio Ue e i bilanci dei singoli Stati europei, sia facendo ricordo ai mercati finanziari internazionali con strumenti di debito comune europeo.

Per dirla in sintesi: non solo “intelligenza artigianale” e “intelligenza artificiale” ma anche e innanzitutto “intelligenza politica” per un miglior futuro delle nuove generazioni.

Nella “notte buia e tempestosa”, insomma, bisogna darsi molto da fare, per riuscire al più presto a intravvedere l’alba.

(Foto Getty Images)

“Era una notte buia e tempestosa”. È l’incipit di un romanzo immaginario, molto più famoso di tante altre prime pagine di romanzi reali. E lo scrive Snoopy, sul tetto della sua cuccia, battendo sui tasti di una macchina da scrivere che ricorda la Lettera 22 della Olivetti. Una straordinaria sintesi di icone. Innanzitutto, l’adorabile, fantasioso, ironico personaggio dei cartoon di Schulz. Poi, un prodotto industriale che connota, per bellezza e funzionalità, il miglior design italiano (un esemplare, appunto, è esposto al Moma di New York). E infine, un’attività, il raccontare in forma di libro, antica eppure straordinariamente attuale (ai libri abbiamo dedicato il blog della scorsa settimana).

Tre icone, ancora, che hanno sapore di buona cultura. E di valore universale del miglior Made in Italy: quella Lettera 22 (sulla mia scrivania ce n’è un esemplare del 1950, giusto il mio anno di nascita, un regalo profondamente gradito dei miei compagni e compagne di lavoro) è infatti una sintesi esemplare di forma e funzione e ancora oggi testimonia quella relazione creativa tra radici storiche e contemporaneità che connota l’attitudine diffusa dell’industria italiana a investire, come vantaggio competitivo, sul rapporto fra tradizione e innovazione.

“Intelligenza artigianale”, dice Diego Della Valle, presidente del Gruppo Tod’s, raccontando i 40 anni di vita del “gommino” che caratterizza le scarpe di maggior successo della manifattura di Casette d’Ete, sulle industriose colline marchigiane (Il Sole24Ore, 16 maggio e il Corriere della Sera, 17maggio) costruendo, per il piacere della discussione, un contrasto dialettico con l’Intelligenza Artificiale. Non certo per negare l’importanza della rivoluzione digitale in corso (l’IA è fondamentale, per l’industria, dal punto di vista della ricerca, della sperimentazione, dei controlli di qualità, della funzionalità degli impianti e dei processi di marketing sui mercati internazionali). Quanto soprattutto per insistere sui valori che segnano il “bello e ben fatto” della nostra industria: l’importanza delle persone, il rapporto con i territori, la qualità dei processi e dei prodotti, la cura per la sostenibilità ambientale e sociale nella “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, sicura. I valori dell’artigianalità, appunto. Che Diego Della Valle ha tradotto anche nell’apertura, nel 2012, di una “Bottega dei mestieri”, per formare giovani che hanno passione e intelligenza per la buona manifattura. “Italian hands”, come suggerisce il titolo dell’ultimo libro appena pubblicato dal Gruppo Tod’s.

“Mani che pensano”, era d’altronde il tema della Settimana della Cultura d’Impresa ‘24, la manifestazione organizzata, nel novembre di ogni anno, da Confindustria e Museimpresa per parlare, stavolta, di “Intelligenza Artificiale, arte e cultura per il rilancio dell’impresa”. E sono proprio le nostre capacità manifatturiere, anche in stagioni difficili di tensioni geopolitiche e devastanti guerre commerciali, a fare da punto di forza dell’export del Made in Italy e dunque della pur stentata crescita del Pil, del benessere e del lavoro dell’intero sistema Paese.

Il racconto del “saper fare italiano”, ancora carico di una forte eco negli ambienti economici e culturali internazionali, trova straordinarie testimonianze in un volume recentemente promosso dall’Adi (l’Associazione del design italiano), pubblicato da Treccani e curato da Beppe Finessi. Nelle oltre mille pagine del libro, la prima opera organica sul premio “Compasso d’Oro”, ideato da Gio Ponti all’inizio degli anni Cinquanta, ci sono sia la storia delle sue 27 edizioni, sino al ‘22, sia le presentazioni di tutti i prodotti vincitori e delle imprese produttrici (ma anche i ritratti dei designer cui è stato attribuito il premio alla carriera). E una ricca serie di riflessioni (Aldo Bonomi, Massimo Bray, Andrea Cancellato, Paola Antonelli, Chiara Alessi, Stefano Micelli, Luca Molinari, Carlo Branzaglia, tra i tanti) sul ruolo dei musei, sul rapporto tra industria, artigianato e design, sulle sinergie tra cultura del progetto e cultura del prodotto, sulla “civiltà delle macchine”, sulla costruzione, nel tempo, di un vero e proprio “immaginario” del saper fare italiano e sulla necessità di investire ancora di più su creatività, qualità industriale, innovazione, relazione fra una tradizione così solida e gli stimoli all’innovazione che arrivano dalle trasformazioni digitali della “economia della conoscenza”.

Valori culturali e sociali, per creare capitale sociale positivo e, naturalmente, anche valore economico, dal punto di vista delle imprese e del mercato. Sono dimensioni che restano d’attualità.

Vale dunque la pena tornare alle origini, a cominciare dai vincitori della prima edizione del “Compasso d’Oro” nel 1954: la scimmietta Zizi, un innovativo giocattolo in gomma piuma progettata da Bruno Munari e prodotta dalla Pirelli; e la Lettera 22 progettata da Marcello Nizzoli e prodotta dalla Olivetti.

Proprio la motivazione del premio olivettiano individua la relazione tra l’oggetto e il contesto, tra il progettare e il fabbricare. Nota infatti Luciano Galimberti, presidente Adi, nell’introduzione al libro: “La prima edizione ci racconta l’orgoglio di un Paese provato sia in termini economici sia morali dal secondo conflitto mondiale e interpreta la libertà come componente fondamentale per il progetto del futuro. Lettera 22, la macchina per scrivere portatile, scardina il rigido legame tra lavoro e luogo di lavoro. Oggi è del tutto normale lavorare e studiare in ogni dove, ma solo una straordinaria libertà di pensiero può produrre un simile cambiamento e solo la libertà ridefinita in quegli anni lo ha permesso”.

Il tema, oggi, per raccogliere e valorizzare l’eredità di una così ricca storia di design e manifattura di qualità, è quello della necessità di una vera e propria politica industriale, di respiro europeo, che definisca gli investimenti in ricerca e innovazione, sistemi e strumenti dell’AI europei (per sottrarsi dall’assoluta dipendenza delle Big Tech sia americane che cinesi), formazione, sicurezza e sciolga finalmente i nodi che impediscono alle imprese europee e, naturalmente, italiane, di essere competitive: la produttività, il costo elevato dell’energia, il lavoro, la burocrazia. Investimenti di ampio respiro. Da finanziare sia con il bilancio Ue e i bilanci dei singoli Stati europei, sia facendo ricordo ai mercati finanziari internazionali con strumenti di debito comune europeo.

Per dirla in sintesi: non solo “intelligenza artigianale” e “intelligenza artificiale” ma anche e innanzitutto “intelligenza politica” per un miglior futuro delle nuove generazioni.

Nella “notte buia e tempestosa”, insomma, bisogna darsi molto da fare, per riuscire al più presto a intravvedere l’alba.

(Foto Getty Images)

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