Milano vicina all’Europa, come cantava Dalla: le nuove metropolitane e le ombre del boom immobiliare
Aveva avuto la vista lunga, Lucio Dalla quando, nel 1979, aveva scritto “Milano”, definendola in mille modi, “perduta” e “lontana dal cielo” ma anche “a portata di mano” e cantandone la “fatica”, le emozioni, la condizione di città “tra i milioni e il respiro di un polmone solo”. Insomma, “Milano vicina all’Europa”… “che banche, che cambi”, e poi ancora “Milano senza fortuna, mi porti con te/ sottoterra o sulla luna”. Erano stagioni difficili, note come “gli anni di piombo”. Eppure vitali, mentre si preparavano gli scintillanti Ottanta della “Milano da bere”, del rigoglioso benessere economico, del successo della moda e del lusso, dei grandi imprenditori e della tv commerciale zeppa di brillante pubblicità.
Gli artisti hanno una sensibilità particolare, un’affilata intelligenza creativa che li porta non solo a cogliere i pur deboli segnali dei tempi nuovi ma anche a fissare in parole e musiche le permanenze di lungo periodo. E dunque chi riascolta, oggi, la Milano cantata da Dalla, ritrova, oltre al piacere dolce-amaro dell’amarcord, anche il gusto piccante dell’attualità.
Milano vicina all’Europa, appunto. Lo confermano le pagine della cronaca contemporanea. Ricche di notizie e dati sugli investimenti esteri, non solo quelli delle imprese multinazionali (5mila hanno sede a Milano, delle 7mila lombarde, metà del totale nazionale) ma anche gli affari dei milionari che abbandonano Londra per comprare casa a Milano, facendo impazzire i valori del mercato immobiliare: “Milano e la Liguria sono nella top ten delle scelte dei 128mila paperoni mondiali, i milionari con oltre un milione di dollari di patrimonio netto, che nel 2024 stanno cambiando la residenza fiscale””, scrive Il Sole24Ore (15 settembre), quantificando in 2.200 i nuovi contribuenti da 100mila euro all’anno di tasse all inclusive, beneficiati da una vantaggiosa fiscalità piatta stabilita da una legge del governo Renzi, portata proprio adesso a 200mila euro dal governo Meloni e comunque quanto mai attrattiva.
E Milano “che ti porta con sé sottoterra o sulla luna”? Industria aerospaziale a parte, è quel “sottoterra” a essere di stretta attualità. Perché alla fine della scorsa settimana è stata inaugurata la seconda tratta della M4, la quinta linea della metropolitana, dall’aeroporto di Linate alla periferia di San Cristoforo, sul Naviglio Grande: la “linea blu” lunga 15 chilometri da percorrere in mezz’ora, un treno ogni 90 secondi per trasportare 86 milioni di passeggeri all’anno. E proprio il giorno dell’inaugurazione, dopo dieci anni di lavori (realizzati da WeBuild, colosso italiano delle grandi infrastrutture, di respiro internazionale), il sindaco di Milano Beppe Sala ha alzato il tiro, parlando del “sogno” della M6, una nuova linea (ancora da progettare e finanziare) e del prolungamento delle quattro linee che ci sono già verso nuove destinazioni, Monza, Segrate, Baggio. Un poderoso potenziamento del servizio pubblico in una metropoli che anche così, seguendo Dalla, è “vicina all’Europa” e cioè agli standard delle maggiori città.
Conferma Pietro Salini, amministratore delegato e principale azionista di WeBuild: “Costruire a Milano ‘la porta dell’Europa’ significa contribuire alla crescita di una città che è diventata sempre più motore dell’Italia, protagonista europea e metropoli cosmopolita aperta al mondo”.
È proprio così, Milano. Internazionale. Ambiziosa. Ed esigente. Capace di sognare. E di avere i piedi per terra. Severa. E accogliente. Abituata ai numeri e ai fatti. E colta, per consuetudine con le parole ben dette, scritte, recitate, musicate, impaginate, pubblicate. Una città ipercritica, anche con se stessa. E dunque fonte di un frequente mal di testa per chi la amministra e ne definisce e guida i percorsi. D’altronde è proprio questa la caratteristica di una civitas in cui l’abitudine storicamente radicata alla buona amministrazione convive con l’attitudine intraprendente e creativa dei soggetti sociali e il potere pubblico si misura con i poteri e le organizzazioni private. E tutti sanno di dovere fare i conti con un pragmatismo dai caratteri illuministi e riformisti.
Se è vero che “milanesi si diventa” (appunto come lo siamo diventati in centinaia di migliaia, dal dopoguerra in poi), è altrettanto vero che l’inclusione sociale e la partecipazione come cittadinanza consapevole hanno bisogno di solide virtù civiche e generose qualità sociali, per legare competitività e solidarietà, produttività del fare affari e lungimiranza nel costruire un robusto tessuto di relazioni virtuose tra interessi legittimi e valori.
Ecco qui, però, il punto di crisi. Nel corso del tempo, anche a causa di complesse trasformazioni culturali e sociali le cui radici affondano anche ben oltre il territorio di Milano, la città ha cominciato a trasformarsi. Meno cittadini, più city users, senza più né la cultura né l’inclinazione a farsi carico delle esigenze e dei valori generali. E l’andamento al rialzo impetuoso dei prezzi delle case e del costo della vita ha accentuato questa tendenza. I “nuovi ricchi” molto internazionali e poco “borghesi” (se la borghesia è connotata non solo dal reddito, ma anche e soprattutto da valori, cultura e stili di vita, poca “moda” e solida “eleganza”, molta sobrietà e scarsa inclinazione all’apparenza) stanno caratterizzando in modo crescente costumi e consumi di Milano, nevroticamente sensibile agli eventi e poco interessata alle strutture e alle istituzioni di lungo periodo.
Il rischio è che “la rendita mangi lo sviluppo”, si potrebbe dire parafrasando la sintesi di un’inchiesta di Dario Di Vico, elaborata su dati di Assolombarda e “Your Next Milano” e pubblicata sull’Economia del Corriere della Sera (30 settembre) e che cioè gli interessi dei proprietari di case mettano in ombra le virtù, molto milanesi dell’intraprendenza, della cultura, dell’innovazione, della ricerca: “Sotto la Madonnina diminuiscono multinazionali e studenti stranieri. E dove c’erano i capitani d’industria adesso dominano e proprietari delle mura”.
Il rischio, insomma, discusso a lungo anche da un sodalizio come il Centro Studi Grande Milano, buon interprete del riformismo lombardo, è che continui e si accentui, sino a un punto di non ritorno, la tendenza a espellere dal centro urbano e dai quartieri un tempo residenziali, ceti medi e studenti, giovani coppie, anziani in difficoltà economiche e aspiranti nuovi cittadini di medio reddito, per far posto ai “milionari” internazionali della flat tax da 200mila euro all’anno e ai turisti amanti degli “affitti brevi”. “Canoni su del 22 per cento in cinque anni. Record a Barona e Corvetto”, nota il Corriere della Sera (9 ottobre), citando quartieri un tempo popolari e adesso diventati molto ricercati.
Ma Milano, così, perderebbe la sua anima, la sua sensibilità economica e sociale, la sua stessa attrattività. Una deriva inaccettabile.
Una deriva scontata, inarrestabile? Forse no. Scorrendo le cronache locali, infatti, si trovano notizie su investimenti per alloggi per studenti e giovani professori, per esempio a sud di Milano, là dove sta sorgendo il Villaggio degli Atleti per le Olimpiadi Milano-Cortina del 2026. E si legge di un “obiettivo diecimila appartamenti a prezzo contenuto per contrastare l’emergenza casa” in corso di definizione da parte della giunta comunale del sindaco Sala (la Repubblica, 24 settembre). Si sa che “Edison lancia il piano casa per reclutare nuovi laureati” (Corriere della Sera, 7 ottobre). E si spera in un miglioramento generale della qualità della vita grazie a un “Atlante delle aree verdi, delle piste ciclabili e delle piazze” elaborato dal Comune ascoltando i quartieri e da allegare al nuovo “Piano di governo del territorio”, il principale strumento urbanistico della città.
Milano, insomma, è in trasformazione. E in movimento. Può degradare, tra appariscenza luminosa dei grattacieli e ombre cupe del disagio sociale (e della criminalità). Oppure riprendersi, come peraltro ha già fatto parecchie volte, anche nella storia recente.
Un buon esempio, che fa sperare, arriva da una celebrazione aziendale, organizzata proprio nel cantiere del Villaggio Olimpico, per i cinquant’anni della Coima, la società di investimento immobiliare guidata da Manfredi Catella, dinamico protagonista della nuova Milano: una gara tra otto università milanesi e cinque romane, per immaginare la città del futuro, dal titolo “Inspiring cities”. Ha vinto l’equipe dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, con un progetto chiamato “Organism”, una prospettiva di polis ideale, desiderabile, realizzabile.
Milano che sogna, insomma. E progetta. Con intelligenza. E sentimento.
Ecco, il ruolo positivo dei sentimenti. Milano testa pensante. E Milano da stereotipo “con il cuore in mano”. “E se tornassimo a parlare d’amore?” è il titolo della nuova stagione del teatro Franco Parenti, progettata da Andrée Ruth Shammah. Appunto. Un amore di città.
(foto Getty Images)
Aveva avuto la vista lunga, Lucio Dalla quando, nel 1979, aveva scritto “Milano”, definendola in mille modi, “perduta” e “lontana dal cielo” ma anche “a portata di mano” e cantandone la “fatica”, le emozioni, la condizione di città “tra i milioni e il respiro di un polmone solo”. Insomma, “Milano vicina all’Europa”… “che banche, che cambi”, e poi ancora “Milano senza fortuna, mi porti con te/ sottoterra o sulla luna”. Erano stagioni difficili, note come “gli anni di piombo”. Eppure vitali, mentre si preparavano gli scintillanti Ottanta della “Milano da bere”, del rigoglioso benessere economico, del successo della moda e del lusso, dei grandi imprenditori e della tv commerciale zeppa di brillante pubblicità.
Gli artisti hanno una sensibilità particolare, un’affilata intelligenza creativa che li porta non solo a cogliere i pur deboli segnali dei tempi nuovi ma anche a fissare in parole e musiche le permanenze di lungo periodo. E dunque chi riascolta, oggi, la Milano cantata da Dalla, ritrova, oltre al piacere dolce-amaro dell’amarcord, anche il gusto piccante dell’attualità.
Milano vicina all’Europa, appunto. Lo confermano le pagine della cronaca contemporanea. Ricche di notizie e dati sugli investimenti esteri, non solo quelli delle imprese multinazionali (5mila hanno sede a Milano, delle 7mila lombarde, metà del totale nazionale) ma anche gli affari dei milionari che abbandonano Londra per comprare casa a Milano, facendo impazzire i valori del mercato immobiliare: “Milano e la Liguria sono nella top ten delle scelte dei 128mila paperoni mondiali, i milionari con oltre un milione di dollari di patrimonio netto, che nel 2024 stanno cambiando la residenza fiscale””, scrive Il Sole24Ore (15 settembre), quantificando in 2.200 i nuovi contribuenti da 100mila euro all’anno di tasse all inclusive, beneficiati da una vantaggiosa fiscalità piatta stabilita da una legge del governo Renzi, portata proprio adesso a 200mila euro dal governo Meloni e comunque quanto mai attrattiva.
E Milano “che ti porta con sé sottoterra o sulla luna”? Industria aerospaziale a parte, è quel “sottoterra” a essere di stretta attualità. Perché alla fine della scorsa settimana è stata inaugurata la seconda tratta della M4, la quinta linea della metropolitana, dall’aeroporto di Linate alla periferia di San Cristoforo, sul Naviglio Grande: la “linea blu” lunga 15 chilometri da percorrere in mezz’ora, un treno ogni 90 secondi per trasportare 86 milioni di passeggeri all’anno. E proprio il giorno dell’inaugurazione, dopo dieci anni di lavori (realizzati da WeBuild, colosso italiano delle grandi infrastrutture, di respiro internazionale), il sindaco di Milano Beppe Sala ha alzato il tiro, parlando del “sogno” della M6, una nuova linea (ancora da progettare e finanziare) e del prolungamento delle quattro linee che ci sono già verso nuove destinazioni, Monza, Segrate, Baggio. Un poderoso potenziamento del servizio pubblico in una metropoli che anche così, seguendo Dalla, è “vicina all’Europa” e cioè agli standard delle maggiori città.
Conferma Pietro Salini, amministratore delegato e principale azionista di WeBuild: “Costruire a Milano ‘la porta dell’Europa’ significa contribuire alla crescita di una città che è diventata sempre più motore dell’Italia, protagonista europea e metropoli cosmopolita aperta al mondo”.
È proprio così, Milano. Internazionale. Ambiziosa. Ed esigente. Capace di sognare. E di avere i piedi per terra. Severa. E accogliente. Abituata ai numeri e ai fatti. E colta, per consuetudine con le parole ben dette, scritte, recitate, musicate, impaginate, pubblicate. Una città ipercritica, anche con se stessa. E dunque fonte di un frequente mal di testa per chi la amministra e ne definisce e guida i percorsi. D’altronde è proprio questa la caratteristica di una civitas in cui l’abitudine storicamente radicata alla buona amministrazione convive con l’attitudine intraprendente e creativa dei soggetti sociali e il potere pubblico si misura con i poteri e le organizzazioni private. E tutti sanno di dovere fare i conti con un pragmatismo dai caratteri illuministi e riformisti.
Se è vero che “milanesi si diventa” (appunto come lo siamo diventati in centinaia di migliaia, dal dopoguerra in poi), è altrettanto vero che l’inclusione sociale e la partecipazione come cittadinanza consapevole hanno bisogno di solide virtù civiche e generose qualità sociali, per legare competitività e solidarietà, produttività del fare affari e lungimiranza nel costruire un robusto tessuto di relazioni virtuose tra interessi legittimi e valori.
Ecco qui, però, il punto di crisi. Nel corso del tempo, anche a causa di complesse trasformazioni culturali e sociali le cui radici affondano anche ben oltre il territorio di Milano, la città ha cominciato a trasformarsi. Meno cittadini, più city users, senza più né la cultura né l’inclinazione a farsi carico delle esigenze e dei valori generali. E l’andamento al rialzo impetuoso dei prezzi delle case e del costo della vita ha accentuato questa tendenza. I “nuovi ricchi” molto internazionali e poco “borghesi” (se la borghesia è connotata non solo dal reddito, ma anche e soprattutto da valori, cultura e stili di vita, poca “moda” e solida “eleganza”, molta sobrietà e scarsa inclinazione all’apparenza) stanno caratterizzando in modo crescente costumi e consumi di Milano, nevroticamente sensibile agli eventi e poco interessata alle strutture e alle istituzioni di lungo periodo.
Il rischio è che “la rendita mangi lo sviluppo”, si potrebbe dire parafrasando la sintesi di un’inchiesta di Dario Di Vico, elaborata su dati di Assolombarda e “Your Next Milano” e pubblicata sull’Economia del Corriere della Sera (30 settembre) e che cioè gli interessi dei proprietari di case mettano in ombra le virtù, molto milanesi dell’intraprendenza, della cultura, dell’innovazione, della ricerca: “Sotto la Madonnina diminuiscono multinazionali e studenti stranieri. E dove c’erano i capitani d’industria adesso dominano e proprietari delle mura”.
Il rischio, insomma, discusso a lungo anche da un sodalizio come il Centro Studi Grande Milano, buon interprete del riformismo lombardo, è che continui e si accentui, sino a un punto di non ritorno, la tendenza a espellere dal centro urbano e dai quartieri un tempo residenziali, ceti medi e studenti, giovani coppie, anziani in difficoltà economiche e aspiranti nuovi cittadini di medio reddito, per far posto ai “milionari” internazionali della flat tax da 200mila euro all’anno e ai turisti amanti degli “affitti brevi”. “Canoni su del 22 per cento in cinque anni. Record a Barona e Corvetto”, nota il Corriere della Sera (9 ottobre), citando quartieri un tempo popolari e adesso diventati molto ricercati.
Ma Milano, così, perderebbe la sua anima, la sua sensibilità economica e sociale, la sua stessa attrattività. Una deriva inaccettabile.
Una deriva scontata, inarrestabile? Forse no. Scorrendo le cronache locali, infatti, si trovano notizie su investimenti per alloggi per studenti e giovani professori, per esempio a sud di Milano, là dove sta sorgendo il Villaggio degli Atleti per le Olimpiadi Milano-Cortina del 2026. E si legge di un “obiettivo diecimila appartamenti a prezzo contenuto per contrastare l’emergenza casa” in corso di definizione da parte della giunta comunale del sindaco Sala (la Repubblica, 24 settembre). Si sa che “Edison lancia il piano casa per reclutare nuovi laureati” (Corriere della Sera, 7 ottobre). E si spera in un miglioramento generale della qualità della vita grazie a un “Atlante delle aree verdi, delle piste ciclabili e delle piazze” elaborato dal Comune ascoltando i quartieri e da allegare al nuovo “Piano di governo del territorio”, il principale strumento urbanistico della città.
Milano, insomma, è in trasformazione. E in movimento. Può degradare, tra appariscenza luminosa dei grattacieli e ombre cupe del disagio sociale (e della criminalità). Oppure riprendersi, come peraltro ha già fatto parecchie volte, anche nella storia recente.
Un buon esempio, che fa sperare, arriva da una celebrazione aziendale, organizzata proprio nel cantiere del Villaggio Olimpico, per i cinquant’anni della Coima, la società di investimento immobiliare guidata da Manfredi Catella, dinamico protagonista della nuova Milano: una gara tra otto università milanesi e cinque romane, per immaginare la città del futuro, dal titolo “Inspiring cities”. Ha vinto l’equipe dell’università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, con un progetto chiamato “Organism”, una prospettiva di polis ideale, desiderabile, realizzabile.
Milano che sogna, insomma. E progetta. Con intelligenza. E sentimento.
Ecco, il ruolo positivo dei sentimenti. Milano testa pensante. E Milano da stereotipo “con il cuore in mano”. “E se tornassimo a parlare d’amore?” è il titolo della nuova stagione del teatro Franco Parenti, progettata da Andrée Ruth Shammah. Appunto. Un amore di città.
(foto Getty Images)