Portare le biblioteche in fabbrica, per migliorare conoscenze, fantasia e qualità di vita e lavoro
I libri in fabbrica. Ce li porta il Premio Campiello, cominciando dalle aree industriali del Nord Est. Ma in alcune imprese ci sono già, nelle biblioteche aziendali, come in Pirelli a Milano Bicocca, a Bollate e a Settimo Torinese. E la loro presenza apre nuovi spazi non soltanto a un rafforzamento della conoscenza generale di operai, impiegati, manager e imprenditori (e dei loro familiari) ma soprattutto alla diffusione di un vero e proprio piacere legato alla lettura: la scoperta di fatti e personaggi sino a quel momento ignoti, lo stimolo all’immaginazione e alla fantasia, l’ingresso in nuovi mondi, altre vite, sorprendenti storie. L’avventura del “piacere del testo”, insomma. E, per questa strada, si arriva anche a un miglioramento della qualità della vita, della consapevolezza dei tanti volti della condizione umana, del consolidamento dei legami di comunità e di civiltà.
L’iniziativa del “Campiello in fabbrica” ha preso le mosse un paio d’anni fa, come articolazione delle tante iniziative di diffusione di un premio che era nato nel 1962, per iniziativa degli industriali veneti e con l’obiettivo di radicare la cultura delle imprese nel più ampio mondo culturale e sociale regionale e poi italiano. Ha affiancato, accanto al premio principale (cinque libri di letteratura, selezionati da una giuria tecnica e sottoposti al giudizio finale di una giuria popolare di lettori), il Campiello Giovani (per gli scrittori emergenti), il Campiello “opera prima”, il Campiello Junior (destinato ai autori di libri per bambini e ragazzi) e il Campiello Natura. E ha lo scopo di “avvicinare le maestranze alla cultura e contribuire a divulgare i valori culturali e sociali delle nostre imprese e approfondire, grazie anche alla buona letteratura, gli scenari dello sviluppo economico e della sostenibilità ambientale e sociale”, come spiega Mariacristina Gribaudi, imprenditrice metalmeccanica e presidente del Comitato di gestione del Premio Campiello.
Le fabbriche coinvolte sono, finora, il polo petrolchimico Eni di Marghera e altre imprese a Montebelluna, Sacile e Torreglia, nelle più dinamiche aree industriali del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. “Partecipazione appassionata di oltre 600 operai, curiosità, attenzione, voglia di sapere”, racconta Gribaudi. E aggiunge: “La nostra intenzione, nel corso del tempo, è allargare l’iniziativa anche ad altre regioni”. E la collaborazione con biblioteche pubbliche e private nei territori, con circoli di lettura, con scuole e università e, perché no? con altre iniziative e festival culturali di vario tipo può essere una strada da percorrere.
Crescono infatti anche i premi e i festival dedicati alla letteratura d’impresa (a Biella, il più antico ma di recente anche a Bergamo, per iniziativa del gruppo editoriale Italy Post e a Verona, per le migliori monografie d’impresa, tanto per fare solo pochi esempi). E si rileggono, in scuole e università, i testi letterari che hanno al centro l’impresa, il lavoro, la capacità del fare, la fabbrica (da “La chiave a stella” di Primo Levi all’appena ripubblicato “La linea gotica” di Ottiero Ottieri, lucido e dolente racconto della “faccia triste del boom” dell’economia italiana degli anni Sessanta del Novecento, per riprendere una sintesi di Edoardo Albinati che ne firma la prefazione).
D’altronde, proprio nel mondo dell’impresa, cresce una consapevolezza: dopo una lunga stagione in cui gli imprenditori si sono descritti come “gente del fare”, “molti fatti, poche parole”, è necessario adesso impegnarsi non solo a migliorare il “saper fare” ma anche a rafforzare il “far sapere”, il racconto dell’industria, della manifattura, delle tecnologie, dell’intraprendenza e del lavoro. Per contrastare una cultura anti-impresa che continua a essere fin troppo diffusa in ampi strati dell’opinione pubblica (anche anti-tecnologia, anti-scienza, anti-innovazione). Ma soprattutto per stimolare nelle nuove generazioni la consapevolezza che proprio le imprese, le industrie del miglior made in Italy (metalmeccanica e meccatronica, avionica, cantieristica navale, chimica, farmaceutica, automotive, robotica oltre che agroalimentare, arredamento e abbigliamento) e i servizi collegati all’impresa, insomma il mondo della “economia reale” e della produzione sono luoghi in cui investire le loro conoscenze e indirizzare le ambizioni di crescita e di miglior futuro.
Anche la promozione e lo sviluppo delle biblioteche aziendali rientrano in questo contesto, spesso collegate pure alla nascita di musei d’impresa e di archivi storici economici. E delle biblioteche pubbliche che si raccordano alle imprese di un territorio: la Biblioteca Civica Multimediale “Archimede” di Settimo Torinese e il “Multiplo”, Centro di Cultura di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, ne sono ottimi esempi.
Nell’era del primato della “economia della conoscenza”, d’altronde, serve avere in azienda non solo persone tecnicamente ben formate, ma anche ragazze e ragazzi curiosi delle dimensioni e delle evoluzioni del mondo, pronti a vivere nuove esperienze, inedite avventure personali e professionali, a coltivare l’attitudine generosa alla speranza e all’avere “una visione”, una responsabilità, una “missione”. E a cercare di governare le nuove tecnologie digitali, a cominciare dall’Intelligenza Artificiale.
Le pagine di un libro, con una storia ben raccontata (anche le pagine in formato digitale) sono strumenti preziosi. Non tanto e non soltanto perché “il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, come amava dire Stéphane Mallarmé. Quanto perché, senza le parole di un libro, non si immaginano né si costruiscono nuovi mondi, anche un po’ migliori di quelli in cui stiamo adesso vivendo.
Vale, come riferimento, una delle migliori lezioni del Novecento, le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, nonostante tutto, vedo venire”.
I libri in fabbrica. Ce li porta il Premio Campiello, cominciando dalle aree industriali del Nord Est. Ma in alcune imprese ci sono già, nelle biblioteche aziendali, come in Pirelli a Milano Bicocca, a Bollate e a Settimo Torinese. E la loro presenza apre nuovi spazi non soltanto a un rafforzamento della conoscenza generale di operai, impiegati, manager e imprenditori (e dei loro familiari) ma soprattutto alla diffusione di un vero e proprio piacere legato alla lettura: la scoperta di fatti e personaggi sino a quel momento ignoti, lo stimolo all’immaginazione e alla fantasia, l’ingresso in nuovi mondi, altre vite, sorprendenti storie. L’avventura del “piacere del testo”, insomma. E, per questa strada, si arriva anche a un miglioramento della qualità della vita, della consapevolezza dei tanti volti della condizione umana, del consolidamento dei legami di comunità e di civiltà.
L’iniziativa del “Campiello in fabbrica” ha preso le mosse un paio d’anni fa, come articolazione delle tante iniziative di diffusione di un premio che era nato nel 1962, per iniziativa degli industriali veneti e con l’obiettivo di radicare la cultura delle imprese nel più ampio mondo culturale e sociale regionale e poi italiano. Ha affiancato, accanto al premio principale (cinque libri di letteratura, selezionati da una giuria tecnica e sottoposti al giudizio finale di una giuria popolare di lettori), il Campiello Giovani (per gli scrittori emergenti), il Campiello “opera prima”, il Campiello Junior (destinato ai autori di libri per bambini e ragazzi) e il Campiello Natura. E ha lo scopo di “avvicinare le maestranze alla cultura e contribuire a divulgare i valori culturali e sociali delle nostre imprese e approfondire, grazie anche alla buona letteratura, gli scenari dello sviluppo economico e della sostenibilità ambientale e sociale”, come spiega Mariacristina Gribaudi, imprenditrice metalmeccanica e presidente del Comitato di gestione del Premio Campiello.
Le fabbriche coinvolte sono, finora, il polo petrolchimico Eni di Marghera e altre imprese a Montebelluna, Sacile e Torreglia, nelle più dinamiche aree industriali del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. “Partecipazione appassionata di oltre 600 operai, curiosità, attenzione, voglia di sapere”, racconta Gribaudi. E aggiunge: “La nostra intenzione, nel corso del tempo, è allargare l’iniziativa anche ad altre regioni”. E la collaborazione con biblioteche pubbliche e private nei territori, con circoli di lettura, con scuole e università e, perché no? con altre iniziative e festival culturali di vario tipo può essere una strada da percorrere.
Crescono infatti anche i premi e i festival dedicati alla letteratura d’impresa (a Biella, il più antico ma di recente anche a Bergamo, per iniziativa del gruppo editoriale Italy Post e a Verona, per le migliori monografie d’impresa, tanto per fare solo pochi esempi). E si rileggono, in scuole e università, i testi letterari che hanno al centro l’impresa, il lavoro, la capacità del fare, la fabbrica (da “La chiave a stella” di Primo Levi all’appena ripubblicato “La linea gotica” di Ottiero Ottieri, lucido e dolente racconto della “faccia triste del boom” dell’economia italiana degli anni Sessanta del Novecento, per riprendere una sintesi di Edoardo Albinati che ne firma la prefazione).
D’altronde, proprio nel mondo dell’impresa, cresce una consapevolezza: dopo una lunga stagione in cui gli imprenditori si sono descritti come “gente del fare”, “molti fatti, poche parole”, è necessario adesso impegnarsi non solo a migliorare il “saper fare” ma anche a rafforzare il “far sapere”, il racconto dell’industria, della manifattura, delle tecnologie, dell’intraprendenza e del lavoro. Per contrastare una cultura anti-impresa che continua a essere fin troppo diffusa in ampi strati dell’opinione pubblica (anche anti-tecnologia, anti-scienza, anti-innovazione). Ma soprattutto per stimolare nelle nuove generazioni la consapevolezza che proprio le imprese, le industrie del miglior made in Italy (metalmeccanica e meccatronica, avionica, cantieristica navale, chimica, farmaceutica, automotive, robotica oltre che agroalimentare, arredamento e abbigliamento) e i servizi collegati all’impresa, insomma il mondo della “economia reale” e della produzione sono luoghi in cui investire le loro conoscenze e indirizzare le ambizioni di crescita e di miglior futuro.
Anche la promozione e lo sviluppo delle biblioteche aziendali rientrano in questo contesto, spesso collegate pure alla nascita di musei d’impresa e di archivi storici economici. E delle biblioteche pubbliche che si raccordano alle imprese di un territorio: la Biblioteca Civica Multimediale “Archimede” di Settimo Torinese e il “Multiplo”, Centro di Cultura di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, ne sono ottimi esempi.
Nell’era del primato della “economia della conoscenza”, d’altronde, serve avere in azienda non solo persone tecnicamente ben formate, ma anche ragazze e ragazzi curiosi delle dimensioni e delle evoluzioni del mondo, pronti a vivere nuove esperienze, inedite avventure personali e professionali, a coltivare l’attitudine generosa alla speranza e all’avere “una visione”, una responsabilità, una “missione”. E a cercare di governare le nuove tecnologie digitali, a cominciare dall’Intelligenza Artificiale.
Le pagine di un libro, con una storia ben raccontata (anche le pagine in formato digitale) sono strumenti preziosi. Non tanto e non soltanto perché “il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, come amava dire Stéphane Mallarmé. Quanto perché, senza le parole di un libro, non si immaginano né si costruiscono nuovi mondi, anche un po’ migliori di quelli in cui stiamo adesso vivendo.
Vale, come riferimento, una delle migliori lezioni del Novecento, le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, nonostante tutto, vedo venire”.