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Pubblicare e leggere buoni libri, per una “ecologia della parola” che rafforzi i valori civili e le ipotesi di miglior futuro per i giovani

Cancellare le parole dei libri può anche voler dire sottolinearne l’importanza, l’essenzialità? Insistere sulla centralità della parola scritta? Naturalmente sì, se quella “cancellatura” è il gesto esemplare di un artista, una scelta di creatività, un paradosso che porta alla verità. Se quell’artista si chiama Emilio Isgrò. E della cancellatura, appunto, ha fatto un esemplare gesto poetico, un’estetica e dunque pure una vera e propria etica.

Di Isgrò, uno dei maggiori artisti contemporanei, è stata appena inaugurata una grande mostra antologica per fare da battesimo al nuovo Macc (Museo d’arte contemporanea) di Scicli, in Sicilia strabilianti architetture barocche e colline aspre di muri a secco (ne parla Stefano Salis sulla Domenica de Il Sole24Ore, 11 maggio). E le opere in rassegna, a sessant’anni dalle prime cancellature del maestro profondamente siciliano e dunque mediterraneo e universale, mettono in evidenza frasi e lettere, alimentano critiche e sogni, realtà e fantasie.

Fare cultura, insomma, racconta Isgrò, significa saper scrivere, leggere, criticare, immaginare. Costruire giochi di parole. E condirle di silenzi fondamentali, come fossero sottolineature (alla stregua delle “cancellature” di Isgrò, appunto).

Viviamo tempi di vaniloquio, sgrammaticature sintattiche e concettuali, pettegolezzi rumorosi e dunque ancor più volgari, sgangherati “fattoidi”, fake news, discorsi pubblici immiseriti nella propaganda. L’epoca di un “presentismo”, un appiattimento sul contingente che nega lo spessore della storia, della cultura, della stessa sacralità della vita e delle speranze della trascendenza, vanificando il peso del verbum, la densità della parola. E anche per colpa di questo contesto, vediamo nuove generazioni che faticano sempre più, anche ad elevati livelli formali di scolarità, a comprendere un testo scritto.

Siamo di fronte a una crisi del discorso. Una crisi crescente. Ed è dunque essenziale costruire una vera e propria “ecologia delle parole” e restituire al parlare i valori essenziali che stanno alla base dell’opinione pubblica “discorsiva” (la lezione di Jurgen Habermas) e dunque della democrazia ma anche del buon funzionamento dell’economia di mercato e della costruzione di un capitale sociale positivo (se ne è parlato diffusamente, nei giorni scorsi, al Forum della Comunicazione organizzato in Assolombarda). I libri ne sono cardine. “Più libri, più liberi”, è l’efficace slogan della Fiera nazionale della piccola e media editoria in programma ogni anno, in dicembre, a Roma, per iniziativa dell’Aie, l’Associazione degli editori.

La memoria torna ad alcune sapide pagine di Umberto Eco, “Non sperate di liberarvi dei libri” (scritto con Jean-Claude Carrière e pubblicato da La nave di Teseo nel 2009) sulla buona abitudine a usare il libro come oggetto quotidiano, “come un cucchiaio” e sull’attitudine dei libri a non resistere agli incendi (paradigmatico quello della Biblioteca di Alessandria, angosciosi quelli dei roghi nazisti) ma invece a sopravvivere “al blackout globale”.

“Segno di vitalità e di salvezza”, commenta il cardinale Gianfranco Ravasi (IlSole24Ore, 11 maggio), ripescando anche, nell’ “Elogio del libro” del teologo Romano Guardini, la storia del cappellano militare che, nel cuore d’una battaglia, distribuisce ai soldati le pagine del suo Vangelo come viatico per quell’ora disperata. Pagine di consolazione e di rimemorazione dell’essenza della vita, proprio in punto di morte.

“Il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, amava dire Stéphane Mallarmé. E anche se è altrettanto vero che la “vita o la si vive o la si scrive”, per citare Luigi Pirandello, di certo i libri aiutano a capire meglio la vita e a trasmetterne, ai lettori, senso e valori e dunque a dare, a un’esperienza narrata, i caratteri di una sfida al tempo e all’oblio.

Leggere e innamorarsi dei libri, dunque. Tenerli nel tessuto della nostra quotidianità.

La stagione appena cominciata aiuta a ragionare meglio di parole, forza della scrittura e piacere della lettura. A Torino, dal 14 al 18 maggio, c’è il Salone del libro, duemila eventi, incontri, dialoghi, pretesti per buone letture. E poi comincia il Grand Tour dei premi (lo Strega, il Campiello, il Viareggio, il Bancarella e così via continuando per centinaia di appuntamenti) e dei Festival, a Mantova e Pordenone, a Taormina e Polignano a mare, a Salerno e Trani e via via toccando città e paesi lungo tutta l’Italia. Ci si confronta sui libri, si parla con scrittrici e scrittori, si fanno girare idee ed emozioni. “Grazie ai libri possiamo riconoscerci come comunità”, commenta Giuseppe Laterza, editore tra i più impegnati nell’organizzazione di iniziative a supporto della lettura (La Stampa, 10 maggio).

È vero, in Italia si legge poco. E le vendite di libri sono ridiventate poco brillanti, dopo il boom di vendite post Covid. Ma – segnale consolante – molti sondaggi dicono che le nuove generazioni si fidano dei libri come fonte di conoscenza e di stimolo mentale. E l’editoria per bambini e ragazzi, in buona salute, testimonia che c’è un miglior destino possibile, grazie alla consuetudine – diffusa in scuole e famiglie più sensibili – a fare vivere il libro di carta non in alternativa agli strumenti digitali di lettura, ma in sintonia.

Anche l’editoria, mondo poco frequentato dalla maggioranza degli italiani e poco amato in parecchi ambienti politici, registra novità interessanti. Come, per esempio, il peso crescente, ai vertici, di donne capaci e competenti, brave anche a fare tesoro critico dell’esperienza e della memoria delle grandi signore del libro, Elvira Sellerio, Inge Feltrinelli e Laura Lepetit. Un peso sottolineato dalla recente nomina della nuova presidente di Longanesi, Agnese Pini (direttrice di Quotidiano Nazionale/ Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno), dalla gestione del Salone del Libro di Torino nelle mani di Annalena Benini, dal rinnovamento di Feltrinelli per opera di Alessandra Carra, amministratrice delegata, dall’attivismo di Elisabetta Sgarbi per la crescita de “La nave di Teseo” e di quello di Laura Donnini per i successi di HarperCollins e di Elena Campominosi per Bollati Boringhieri. E, ancora, ecco l’impegno sempre attuale di Rosellina Archinto, le scelte editoriali sapienti e innovative di Chicca Dubini per NN Editore, con l’occhio attento agli scrittori americani più promettenti (dopo la valorizzazione, in Italia, di un grande autore come Kent Haruf), la qualità costante delle pubblicazioni di Iperborea guidata da Emilia Lodigiani, le iniziative di Annamaria Malato per Salerno Editrice e di Patrizia Alma Pacini per la casa editrice di famiglia.

L’elenco delle storie femminili positive potrebbe continuare a lungo: un segno importante di qualità e di modernità del mondo del libro, della buona editoria. D’altronde, sono donne, in maggioranza, le “lettrici forti”, più degli uomini. E donne, un lungo elenco di autrici di solido successo.

Pubblicare e fare leggere libri (magari in quantità minori degli oltre 80mila titoli all’anno, ma di qualità migliore). Stimolare incontri e circoli di lettura. Agevolare fiscalmente chi vuole aprire una libreria. E investire sulle biblioteche, pubbliche e private, mettendo in collegamento biblioteche comunali, biblioteche scolastiche e biblioteche nelle imprese e negli altri posti di lavoro (il Gruppo Cultura di Confindustria e Museimpresa stanno studiano iniziative in questo senso). La lunga esperienza positiva delle biblioteche aziendali Pirelli (sia nell’Head Quarter di Milano in Bicocca che nelle fabbriche di Settimo Torinese e Bollate) può essere un buon paradigma di riferimento.

In tempi di primato della “economia della conoscenza” e di utilizzo responsabile dell’Intelligenza Artificiale, fare leva sui libri è una scelta non solo culturale, ma anche sociale e civile.

Una testimonianza? Tra le tante possibili, ci sono le pagine di Jorge Luis Borges ne “L’Aleph”, appena ripubblicato nella Universale Economica di Feltrinelli, una collana ben curata densa di classici, che non dovrebbero proprio mancare in ogni casa di chi ama la cultura e la lettura. Eccole: “ ‘Quando aprii gli occhi, vidi l’Aleph’. ‘L’Aleph?’, ripetei. ‘Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli’.”

L’Aleph, la prima lettera dell’alfabeto della lingua sacra. L’inizio simbolico del Libro. E dei libri. Sino ad arrivare, sempre seguendo Borges, alla “Biblioteca di Babele”. Il caos, cioè, nell’infinito dei fogli che si rincorrono e si ripetono. Ma anche un caos che può essere ricomposto e compreso. Rieccoci, al senso positivo dei libri.

(Getty Images)

Cancellare le parole dei libri può anche voler dire sottolinearne l’importanza, l’essenzialità? Insistere sulla centralità della parola scritta? Naturalmente sì, se quella “cancellatura” è il gesto esemplare di un artista, una scelta di creatività, un paradosso che porta alla verità. Se quell’artista si chiama Emilio Isgrò. E della cancellatura, appunto, ha fatto un esemplare gesto poetico, un’estetica e dunque pure una vera e propria etica.

Di Isgrò, uno dei maggiori artisti contemporanei, è stata appena inaugurata una grande mostra antologica per fare da battesimo al nuovo Macc (Museo d’arte contemporanea) di Scicli, in Sicilia strabilianti architetture barocche e colline aspre di muri a secco (ne parla Stefano Salis sulla Domenica de Il Sole24Ore, 11 maggio). E le opere in rassegna, a sessant’anni dalle prime cancellature del maestro profondamente siciliano e dunque mediterraneo e universale, mettono in evidenza frasi e lettere, alimentano critiche e sogni, realtà e fantasie.

Fare cultura, insomma, racconta Isgrò, significa saper scrivere, leggere, criticare, immaginare. Costruire giochi di parole. E condirle di silenzi fondamentali, come fossero sottolineature (alla stregua delle “cancellature” di Isgrò, appunto).

Viviamo tempi di vaniloquio, sgrammaticature sintattiche e concettuali, pettegolezzi rumorosi e dunque ancor più volgari, sgangherati “fattoidi”, fake news, discorsi pubblici immiseriti nella propaganda. L’epoca di un “presentismo”, un appiattimento sul contingente che nega lo spessore della storia, della cultura, della stessa sacralità della vita e delle speranze della trascendenza, vanificando il peso del verbum, la densità della parola. E anche per colpa di questo contesto, vediamo nuove generazioni che faticano sempre più, anche ad elevati livelli formali di scolarità, a comprendere un testo scritto.

Siamo di fronte a una crisi del discorso. Una crisi crescente. Ed è dunque essenziale costruire una vera e propria “ecologia delle parole” e restituire al parlare i valori essenziali che stanno alla base dell’opinione pubblica “discorsiva” (la lezione di Jurgen Habermas) e dunque della democrazia ma anche del buon funzionamento dell’economia di mercato e della costruzione di un capitale sociale positivo (se ne è parlato diffusamente, nei giorni scorsi, al Forum della Comunicazione organizzato in Assolombarda). I libri ne sono cardine. “Più libri, più liberi”, è l’efficace slogan della Fiera nazionale della piccola e media editoria in programma ogni anno, in dicembre, a Roma, per iniziativa dell’Aie, l’Associazione degli editori.

La memoria torna ad alcune sapide pagine di Umberto Eco, “Non sperate di liberarvi dei libri” (scritto con Jean-Claude Carrière e pubblicato da La nave di Teseo nel 2009) sulla buona abitudine a usare il libro come oggetto quotidiano, “come un cucchiaio” e sull’attitudine dei libri a non resistere agli incendi (paradigmatico quello della Biblioteca di Alessandria, angosciosi quelli dei roghi nazisti) ma invece a sopravvivere “al blackout globale”.

“Segno di vitalità e di salvezza”, commenta il cardinale Gianfranco Ravasi (IlSole24Ore, 11 maggio), ripescando anche, nell’ “Elogio del libro” del teologo Romano Guardini, la storia del cappellano militare che, nel cuore d’una battaglia, distribuisce ai soldati le pagine del suo Vangelo come viatico per quell’ora disperata. Pagine di consolazione e di rimemorazione dell’essenza della vita, proprio in punto di morte.

“Il mondo, alla fine, è fatto per finire in un bel libro”, amava dire Stéphane Mallarmé. E anche se è altrettanto vero che la “vita o la si vive o la si scrive”, per citare Luigi Pirandello, di certo i libri aiutano a capire meglio la vita e a trasmetterne, ai lettori, senso e valori e dunque a dare, a un’esperienza narrata, i caratteri di una sfida al tempo e all’oblio.

Leggere e innamorarsi dei libri, dunque. Tenerli nel tessuto della nostra quotidianità.

La stagione appena cominciata aiuta a ragionare meglio di parole, forza della scrittura e piacere della lettura. A Torino, dal 14 al 18 maggio, c’è il Salone del libro, duemila eventi, incontri, dialoghi, pretesti per buone letture. E poi comincia il Grand Tour dei premi (lo Strega, il Campiello, il Viareggio, il Bancarella e così via continuando per centinaia di appuntamenti) e dei Festival, a Mantova e Pordenone, a Taormina e Polignano a mare, a Salerno e Trani e via via toccando città e paesi lungo tutta l’Italia. Ci si confronta sui libri, si parla con scrittrici e scrittori, si fanno girare idee ed emozioni. “Grazie ai libri possiamo riconoscerci come comunità”, commenta Giuseppe Laterza, editore tra i più impegnati nell’organizzazione di iniziative a supporto della lettura (La Stampa, 10 maggio).

È vero, in Italia si legge poco. E le vendite di libri sono ridiventate poco brillanti, dopo il boom di vendite post Covid. Ma – segnale consolante – molti sondaggi dicono che le nuove generazioni si fidano dei libri come fonte di conoscenza e di stimolo mentale. E l’editoria per bambini e ragazzi, in buona salute, testimonia che c’è un miglior destino possibile, grazie alla consuetudine – diffusa in scuole e famiglie più sensibili – a fare vivere il libro di carta non in alternativa agli strumenti digitali di lettura, ma in sintonia.

Anche l’editoria, mondo poco frequentato dalla maggioranza degli italiani e poco amato in parecchi ambienti politici, registra novità interessanti. Come, per esempio, il peso crescente, ai vertici, di donne capaci e competenti, brave anche a fare tesoro critico dell’esperienza e della memoria delle grandi signore del libro, Elvira Sellerio, Inge Feltrinelli e Laura Lepetit. Un peso sottolineato dalla recente nomina della nuova presidente di Longanesi, Agnese Pini (direttrice di Quotidiano Nazionale/ Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno), dalla gestione del Salone del Libro di Torino nelle mani di Annalena Benini, dal rinnovamento di Feltrinelli per opera di Alessandra Carra, amministratrice delegata, dall’attivismo di Elisabetta Sgarbi per la crescita de “La nave di Teseo” e di quello di Laura Donnini per i successi di HarperCollins e di Elena Campominosi per Bollati Boringhieri. E, ancora, ecco l’impegno sempre attuale di Rosellina Archinto, le scelte editoriali sapienti e innovative di Chicca Dubini per NN Editore, con l’occhio attento agli scrittori americani più promettenti (dopo la valorizzazione, in Italia, di un grande autore come Kent Haruf), la qualità costante delle pubblicazioni di Iperborea guidata da Emilia Lodigiani, le iniziative di Annamaria Malato per Salerno Editrice e di Patrizia Alma Pacini per la casa editrice di famiglia.

L’elenco delle storie femminili positive potrebbe continuare a lungo: un segno importante di qualità e di modernità del mondo del libro, della buona editoria. D’altronde, sono donne, in maggioranza, le “lettrici forti”, più degli uomini. E donne, un lungo elenco di autrici di solido successo.

Pubblicare e fare leggere libri (magari in quantità minori degli oltre 80mila titoli all’anno, ma di qualità migliore). Stimolare incontri e circoli di lettura. Agevolare fiscalmente chi vuole aprire una libreria. E investire sulle biblioteche, pubbliche e private, mettendo in collegamento biblioteche comunali, biblioteche scolastiche e biblioteche nelle imprese e negli altri posti di lavoro (il Gruppo Cultura di Confindustria e Museimpresa stanno studiano iniziative in questo senso). La lunga esperienza positiva delle biblioteche aziendali Pirelli (sia nell’Head Quarter di Milano in Bicocca che nelle fabbriche di Settimo Torinese e Bollate) può essere un buon paradigma di riferimento.

In tempi di primato della “economia della conoscenza” e di utilizzo responsabile dell’Intelligenza Artificiale, fare leva sui libri è una scelta non solo culturale, ma anche sociale e civile.

Una testimonianza? Tra le tante possibili, ci sono le pagine di Jorge Luis Borges ne “L’Aleph”, appena ripubblicato nella Universale Economica di Feltrinelli, una collana ben curata densa di classici, che non dovrebbero proprio mancare in ogni casa di chi ama la cultura e la lettura. Eccole: “ ‘Quando aprii gli occhi, vidi l’Aleph’. ‘L’Aleph?’, ripetei. ‘Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli’.”

L’Aleph, la prima lettera dell’alfabeto della lingua sacra. L’inizio simbolico del Libro. E dei libri. Sino ad arrivare, sempre seguendo Borges, alla “Biblioteca di Babele”. Il caos, cioè, nell’infinito dei fogli che si rincorrono e si ripetono. Ma anche un caos che può essere ricomposto e compreso. Rieccoci, al senso positivo dei libri.

(Getty Images)

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