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Europa nonostante tutto.
Ecco le scelte che il Governo deve fare per lo sviluppo

Europa, nonostante tutto. La conclusione dell’estenuante Consiglio Europeo, a metà luglio, ha sancito l’ingresso delle Ue in una nuova fase, dopo gli anni dell’ortodossia dei conti in regola con i parametri di Maastricht (ma solo su debito e deficit dei paesi mediterranei, mai sui surplus commerciali di Germania e Olanda) e dell’ideologia ordoliberista. Una Ue, finalmente, capace di una strategia comune per fronteggiare la drammatica crisi da Covid19 e recessione, forte di una visione lungimirante con il Recovery Fund chiamato, saggiamente, “Next Generation”, decisa a condividere, grazie anche a fondi trovati sui mercati, una politica condivisa di sviluppo secondo due chiarissime direttrici, green economy e digital economy, e cioè crescita sostenibile sia ambientale che sociale e innovazione in base ai migliori paradigmi della “economia della conoscenza”. Un’Europa, dunque, in movimento, verso una robusta soggettività politica proprio nella stagione quanto mai contrastata dei nazionalismi, delle guerre commerciali, degli scontri tra Usa, Cina e Russia in cerca di nuovi equilibri egoistici e di ruvidi protagonismi sugli scenari del mondo.Europa, dunque, attenta e attiva. Nonostante i guasti della Brexit, le tensioni introdotte dalla Turchia (pur sempre partner della Nato) in un inquieto Mediterraneo, proprio in contrasto con i paesi europei. E nonostante i tentativi dell’ideologia rissosa dell’America First di dividere tra loro i paesi Ue.

Adesso, serve “un’Europa che ispiri emozioni”, si augura Angelo Panebianco sulla prima pagina del “Corriere della Sera” (27 luglio). Ha fondato la sua crescita e la sua affermazione, pur tra mille difficoltà, su due pilastri economici, il mercato comune e la moneta. Adesso serve uno scatto in avanti, una più solida unione politica, dando spazio e prospettive, proprio per le nuove generazioni, ai valori che hanno contrassegnato l’esperienza storica europea: “La società aperta con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, la rule of law (il governo della legge) sono patrimonio comune del mondo occidentale. Riescono a mobilitare emozioni solo quando l’opinione pubblica (o una sua parte significativa) ne avverte la fragilità, quando è messa in condizione di comprendere quali pericoli esso corra, quali siano le minacce pendenti”, nota Panebianco. E sono minacce che arrivano non solo dall’esterno, da regimi segnati da robuste inclinazioni alll’autoritarismo o chiaramente totalitari, ma anche dall’interno stesso della Ue, da paesi in cui è in corso una drammatica compressione dei diritti civili e personali (l’Ungheria, la Polonia) su cui Bruxelles ha la responsabilità di dire parole chiare e fare scelte conseguenti.

Quest’Europa “non merita i fichi secchi”, scriveva, all’inizio degli anni Cinquanta, Ernesto Rossi a Sergio Siglienti, presidente dell’Imi (l’Istituto che sta gestendo i fondi del Piano Marshall) e dell’Abi, l’Associazione bancaria), per sollecitare investimenti in grado di fare crescere una solida cultura europeista. Quel monito vale ancora oggi.Quei “fichi secchi” che l’Europa e soprattutto le nostre giovani generazioni non meritano oggi possono essere ben rappresentati da insipienze politiche e progetti miopi di chi ancora, sia negli ambienti di governo sia all’opposizione, si muove confusamente nella definizione rapida e precisa di scelte per usare i 200 miliardi del Recovery Fund per l’Italia, chiacchiera vanamente sull’utilizzo dei 37 miliardi del Mes (indispensabili per dare forza ed efficienza alla nostra sanità, a dispetto dei fastidi tutti ideologici e propagandistici di una parte dei 5Stelle), non ha ancora ben programmato l’uso dei fondi che vengono dagli “scostamenti di bilancio” e dall’ombrello protettivo della Bce sui titoli pubblici italiani (più di 200 miliardi).Si tratta di fare scelte chiare, concrete, coerenti con una strategia di profonda riforma e di sviluppo del Paese. Non distribuzioni a pioggia, elargizioni assistenziali care alla infausta stagione di governo dello scorso anno sull’asse Lega-5Stelle (reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni, contributi per clientele e corporazioni) ma progetti di riforma e di intervento, appunto secondo le indicazioni di Bruxelles sul Recovery Fund.

I nostri “compiti a casa”, per essere all’altezza delle scelte strategiche della Ue e adeguati al bisogno di profondo rinnovamento del nostro Paese. Su questo piano, il governo Conte si muove tra le incertezze e le chiacchiere politiche su comitati, inutili “Commissioni Bicamerali” parlamentari, tentazioni di nuovi, dannosi sussidi. E ha ragione il presidente di Confindustria Carlo Bonomi quando, sul “Corriere della Sera” di oggi, chiede riforme (fisco, pubblica amministrazione) e investimenti produttivi.Il punto di svolta di un’Italia europea sta proprio qui: nella capacità di mettere in moto la macchina dello sviluppo, dopo la lunga stagione della “crescita zero” e, adesso, le cadute della recessione post Covid19. Il che comporta la responsabilità di scelte su produttività, competitività, innovazione, scuola e formazione permanente, ambiente e sostenibilità. E, naturalmente, politiche attive del lavoro, non tanto per difendere posti e salari attuali, ma per andare verso il lavoro da creare: assistenza e formazione oggi, nuove imprese e nuovi lavori nell’immediato futuro. Tutto il contrario del sussidio caro ai 5Stelle.

Il Governo è su un crinale. Può decidere e fare sul versante dello sviluppo, meritando attenzione e fiducia dei cittadini. O può perdere l’ennesima occasione di fare il bene del Paese. E’ l’agosto delle scelte, in vista di un autunno difficile e impegnativo. L’orizzonte è la politica del fare, e fare bene. Finalmente.

Europa, nonostante tutto. La conclusione dell’estenuante Consiglio Europeo, a metà luglio, ha sancito l’ingresso delle Ue in una nuova fase, dopo gli anni dell’ortodossia dei conti in regola con i parametri di Maastricht (ma solo su debito e deficit dei paesi mediterranei, mai sui surplus commerciali di Germania e Olanda) e dell’ideologia ordoliberista. Una Ue, finalmente, capace di una strategia comune per fronteggiare la drammatica crisi da Covid19 e recessione, forte di una visione lungimirante con il Recovery Fund chiamato, saggiamente, “Next Generation”, decisa a condividere, grazie anche a fondi trovati sui mercati, una politica condivisa di sviluppo secondo due chiarissime direttrici, green economy e digital economy, e cioè crescita sostenibile sia ambientale che sociale e innovazione in base ai migliori paradigmi della “economia della conoscenza”. Un’Europa, dunque, in movimento, verso una robusta soggettività politica proprio nella stagione quanto mai contrastata dei nazionalismi, delle guerre commerciali, degli scontri tra Usa, Cina e Russia in cerca di nuovi equilibri egoistici e di ruvidi protagonismi sugli scenari del mondo.Europa, dunque, attenta e attiva. Nonostante i guasti della Brexit, le tensioni introdotte dalla Turchia (pur sempre partner della Nato) in un inquieto Mediterraneo, proprio in contrasto con i paesi europei. E nonostante i tentativi dell’ideologia rissosa dell’America First di dividere tra loro i paesi Ue.

Adesso, serve “un’Europa che ispiri emozioni”, si augura Angelo Panebianco sulla prima pagina del “Corriere della Sera” (27 luglio). Ha fondato la sua crescita e la sua affermazione, pur tra mille difficoltà, su due pilastri economici, il mercato comune e la moneta. Adesso serve uno scatto in avanti, una più solida unione politica, dando spazio e prospettive, proprio per le nuove generazioni, ai valori che hanno contrassegnato l’esperienza storica europea: “La società aperta con le sue libertà civili ed economiche, la democrazia liberale, la rule of law (il governo della legge) sono patrimonio comune del mondo occidentale. Riescono a mobilitare emozioni solo quando l’opinione pubblica (o una sua parte significativa) ne avverte la fragilità, quando è messa in condizione di comprendere quali pericoli esso corra, quali siano le minacce pendenti”, nota Panebianco. E sono minacce che arrivano non solo dall’esterno, da regimi segnati da robuste inclinazioni alll’autoritarismo o chiaramente totalitari, ma anche dall’interno stesso della Ue, da paesi in cui è in corso una drammatica compressione dei diritti civili e personali (l’Ungheria, la Polonia) su cui Bruxelles ha la responsabilità di dire parole chiare e fare scelte conseguenti.

Quest’Europa “non merita i fichi secchi”, scriveva, all’inizio degli anni Cinquanta, Ernesto Rossi a Sergio Siglienti, presidente dell’Imi (l’Istituto che sta gestendo i fondi del Piano Marshall) e dell’Abi, l’Associazione bancaria), per sollecitare investimenti in grado di fare crescere una solida cultura europeista. Quel monito vale ancora oggi.Quei “fichi secchi” che l’Europa e soprattutto le nostre giovani generazioni non meritano oggi possono essere ben rappresentati da insipienze politiche e progetti miopi di chi ancora, sia negli ambienti di governo sia all’opposizione, si muove confusamente nella definizione rapida e precisa di scelte per usare i 200 miliardi del Recovery Fund per l’Italia, chiacchiera vanamente sull’utilizzo dei 37 miliardi del Mes (indispensabili per dare forza ed efficienza alla nostra sanità, a dispetto dei fastidi tutti ideologici e propagandistici di una parte dei 5Stelle), non ha ancora ben programmato l’uso dei fondi che vengono dagli “scostamenti di bilancio” e dall’ombrello protettivo della Bce sui titoli pubblici italiani (più di 200 miliardi).Si tratta di fare scelte chiare, concrete, coerenti con una strategia di profonda riforma e di sviluppo del Paese. Non distribuzioni a pioggia, elargizioni assistenziali care alla infausta stagione di governo dello scorso anno sull’asse Lega-5Stelle (reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni, contributi per clientele e corporazioni) ma progetti di riforma e di intervento, appunto secondo le indicazioni di Bruxelles sul Recovery Fund.

I nostri “compiti a casa”, per essere all’altezza delle scelte strategiche della Ue e adeguati al bisogno di profondo rinnovamento del nostro Paese. Su questo piano, il governo Conte si muove tra le incertezze e le chiacchiere politiche su comitati, inutili “Commissioni Bicamerali” parlamentari, tentazioni di nuovi, dannosi sussidi. E ha ragione il presidente di Confindustria Carlo Bonomi quando, sul “Corriere della Sera” di oggi, chiede riforme (fisco, pubblica amministrazione) e investimenti produttivi.Il punto di svolta di un’Italia europea sta proprio qui: nella capacità di mettere in moto la macchina dello sviluppo, dopo la lunga stagione della “crescita zero” e, adesso, le cadute della recessione post Covid19. Il che comporta la responsabilità di scelte su produttività, competitività, innovazione, scuola e formazione permanente, ambiente e sostenibilità. E, naturalmente, politiche attive del lavoro, non tanto per difendere posti e salari attuali, ma per andare verso il lavoro da creare: assistenza e formazione oggi, nuove imprese e nuovi lavori nell’immediato futuro. Tutto il contrario del sussidio caro ai 5Stelle.

Il Governo è su un crinale. Può decidere e fare sul versante dello sviluppo, meritando attenzione e fiducia dei cittadini. O può perdere l’ennesima occasione di fare il bene del Paese. E’ l’agosto delle scelte, in vista di un autunno difficile e impegnativo. L’orizzonte è la politica del fare, e fare bene. Finalmente.

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