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Fare cultura rilancia il made in Italy e le imprese sono attori sociali essenziali per creatività e innovazione

“La cultura è il volano per il made in Italy”, si sostiene al Forum del Soft Power a Venezia, durante i lavori del Soft Power Club, l’associazione presieduta da Francesco Rutelli. E si approfondiscono le relazioni tra sviluppo economico sostenibile, manifattura di qualità e dialoghi culturali. Sempre a Venezia, in occasione della Mostra del Cinema, Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, insiste sul fatto che “cinema e cultura incrementano il Pil e fanno girare l’economia” (IlSole24Ore, 27 agosto) e ricorda anche lui l’importanza del “dialogo” tra mondi culturali diversi, varie discipline artistiche e ambienti economici.

Sempre a Venezia, il nuovo presidente della Fondazione Cini, Gianfelice Rocca, uno dei maggiori imprenditori italiani di rilievo internazionale, parla del nuovo corso dell’istituzione (grazie anche alla direzione scientifica di Daniele Franco, ex ministro dell’Economia ed ex direttore generale della Banca d’Italia) come di una “lanterna” che rischiari ambienti diversi e come luogo di dialoghi internazionali che permettano di superare i limiti delle contrapposizioni tra le “due culture” umanistica e scientifica e costruiscano ponti tra l’Occidente, la Cina, l’India e il complesso Global South.

Cultura ed economia si intrecciano. La geopolitica, per trovare vie d’uscita di ampio respiro da conflitti drammatici e aspri contrasti in corso, ha bisogno di nuove mappe della conoscenza. I rapporti tra mercati diversi e molto competitivi hanno bisogno di regole che stimolino un vero e proprio fair trade piuttosto che aggressivi atteggiamenti da free trade. Ma anche le evoluzioni tecnologiche della digital economy , gli sviluppi sconvolgenti dell’AI (l’Intelligenza Artificiale) e il potere crescente delle Big Tech insofferenti a regole e vincoli, anche quelli antitrust, pongono alla politica e alle società civili sfide culturali inedite e quanto mai complesse, per fare convivere la necessaria libertà per la ricerca e l’innovazione con la responsabilità delle conseguenze di scelte, cambiamenti, radicali trasformazioni di consumi, costumi, relazioni, poteri.

Tutti temi culturali, appunto. Di saperi in metamorfosi. Che oltre che giacimenti di saperi, hanno bisogno soprattutto di un lavorìo critico sul “senso” dei saperi stessi. Come sostiene anche Carlo Ossola, appena nominato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella alla presidenza dell’Enciclopedia Treccani: “Il fondamento delle Enciclopedie non era tanto nell’estensione dell’aggregazione, nel convogliamento della datità, quanto nel tracciare il circolo di ciò che poteva essere incorporato dagli occhi, dalla memoria, dalla lettura, dalla memoria, dalla singola esistenza”. Mentre oggi, purtroppo, “si ‘scorporano’ sempre più saperi trasferendoli in un altrove letteralmente inafferrabile” (IlSole24Ore, 1 settembre). Occorre invece “riprendere quella lezione critica: il centro dell’uomo è l’uomo. la sua dignità, la sua esistenza che, a differenza delle cose e delle memorie digitali, è unica e breve”.

Eccola, la ricerca di senso. E la sfida culturale ed etica per i governi, le istituzioni del sapere e, naturalmente, le imprese.

Sono temi complessi, che non sopportano scorciatoie demagogiche, approssimazioni retoriche, superficialità da propaganda e inclinazione ai “fattoidi” e alle fake news di cui i social media sono sempre più affollati. Se ne parlerà nei prossimi giorni a Milano, al Forum Cultura 2024 indetto dal Comune e con la partecipazione di amministratori, personalità delle strutture culturali pubbliche e private e delle imprese, anche per discutere di collaborazioni sulle “infrastrutture della cultura” (Corriere della Sera, 2 settembre). E si continuerà a discuterne pure in tutte quelle occasioni d’incontro, tra festival letterari e premi (Mantova, Pordenonelegge, il Campiello) in cui parlare di libri significherà confrontarsi non solo sui temi culturali, ma anche sulle nuove mappe dell’economia e dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

E’ una riflessione che, proprio in questa chiave, trova crescenti sensibilità e attenzioni nel mondo economico, tra le imprese del “made in Italy” più internazionali e competitive. Con la radicata consapevolezza che il loro ruolo e la loro responsabilità da attori sociali e culturali va ben oltre le tradizionali manifestazioni del mecenatismo (pur comunque necessario, in carenza di fondi pubblici a sostegno di cultura e arte) per investire in pieno le relazioni tra intraprendenza competitiva e creatività.

La cultura d’impresa, infatti, va considerata come Cultura con la C maiuscola. Sollecita il superamento del tradizionale schema di un’endiadi, “impresa e cultura” come dialogo – pur importante – tra dimensioni differenti, tra il fare e il rappresentare, tra il produrre e il raccontare, tra la meccanica e la filosofia o la poesia. Per insistere, invece, su un nuovo percorso semantico, su una radicale modifica dell’andamento della frase, abituandosi a dire “impresa è cultura”. Nello schema di quel soft power di cui abbiamo parlato all’inizio, tra il Forum di Rutelli e i progetti della Fondazione Cini.

Cultura sono, infatti, la scienza e la tecnologia, i brevetti, la messa a punto di nuovi materiali, l’evoluzione delle relazioni industriali (quei contratti di lavoro che investono fattori culturali e sociali fondamentali come i rapporti di potere e le funzioni di controllo, le dialettiche personali, i salari e il welfare aziendale, i servizi ecc.). Cultura sono i linguaggi del marketing e della comunicazione, che modificano comportamenti e aspettative. Cultura i processi di governance secondo cui si articolano i rapporti tra l’impresa, gli azionisti, i manager, i dipendenti e tutto il vasto mondo degli stakeholder. Cultura sono i bilanci, strumenti di progettazione e di resa dei conti. E cultura gli scambi su mercati aperti e ben regolati. Cultura, ancora, le scelte di sostegno mecenatistico di un’impresa ai processi creativi e artistici di chi raffigura e costruisce l’immaginario personale e sociale generale.

La cultura d’impresa, insomma, è un racconto corale e polifonico, un gioco d’orchestra. In elaborazione continua.

Le imprese, nel corso del tempo, si sono radicalmente trasformate, archiviando culture e metodologie della stagione taylorista della produzione in serie e delle “economie di scala”. Data driven e digitali, conoscono altre culture organizzative e di governance e altri tempi e metodi di lavoro e di calcolo della produttività e dell’efficienza. Sentono fortemente il senso di responsabilità delle relazioni positive sia con le proprie persone sia con l’insieme degli stakeholders. Ed è proprio questa trasformazione a sollecitare un nuovo racconto, una diversa e più pertinente rappresentazione dell’impresa stessa. Le imprese, insomma, devono imparare ad aprirsi e a essere trasparenti. A caratterizzarsi, nelle neofabbriche ad alta tecnologia, come “mani che pensano”. A vivere, insomma, una nuova stagione produttiva con evidenti connotazioni culturali. Per legare in modo sempre più efficace il “saper fare” al “fare sapere”.

L’innovazione, così, si caratterizza come un percorso a tutto tondo, soprattutto adesso che si entra nel vivo delle nuove sfide. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot. I simulatori high tech. Le nanotecnologie.  E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo, ai molteplici aspetti dell’economia e della vita. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio oggi vivendo e scrivendo. E che chiedono anche alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali. Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. E scienza e conoscenza sono sollecitate a una nuova dimensione della responsabilità.

(foto Getty Images)

“La cultura è il volano per il made in Italy”, si sostiene al Forum del Soft Power a Venezia, durante i lavori del Soft Power Club, l’associazione presieduta da Francesco Rutelli. E si approfondiscono le relazioni tra sviluppo economico sostenibile, manifattura di qualità e dialoghi culturali. Sempre a Venezia, in occasione della Mostra del Cinema, Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, insiste sul fatto che “cinema e cultura incrementano il Pil e fanno girare l’economia” (IlSole24Ore, 27 agosto) e ricorda anche lui l’importanza del “dialogo” tra mondi culturali diversi, varie discipline artistiche e ambienti economici.

Sempre a Venezia, il nuovo presidente della Fondazione Cini, Gianfelice Rocca, uno dei maggiori imprenditori italiani di rilievo internazionale, parla del nuovo corso dell’istituzione (grazie anche alla direzione scientifica di Daniele Franco, ex ministro dell’Economia ed ex direttore generale della Banca d’Italia) come di una “lanterna” che rischiari ambienti diversi e come luogo di dialoghi internazionali che permettano di superare i limiti delle contrapposizioni tra le “due culture” umanistica e scientifica e costruiscano ponti tra l’Occidente, la Cina, l’India e il complesso Global South.

Cultura ed economia si intrecciano. La geopolitica, per trovare vie d’uscita di ampio respiro da conflitti drammatici e aspri contrasti in corso, ha bisogno di nuove mappe della conoscenza. I rapporti tra mercati diversi e molto competitivi hanno bisogno di regole che stimolino un vero e proprio fair trade piuttosto che aggressivi atteggiamenti da free trade. Ma anche le evoluzioni tecnologiche della digital economy , gli sviluppi sconvolgenti dell’AI (l’Intelligenza Artificiale) e il potere crescente delle Big Tech insofferenti a regole e vincoli, anche quelli antitrust, pongono alla politica e alle società civili sfide culturali inedite e quanto mai complesse, per fare convivere la necessaria libertà per la ricerca e l’innovazione con la responsabilità delle conseguenze di scelte, cambiamenti, radicali trasformazioni di consumi, costumi, relazioni, poteri.

Tutti temi culturali, appunto. Di saperi in metamorfosi. Che oltre che giacimenti di saperi, hanno bisogno soprattutto di un lavorìo critico sul “senso” dei saperi stessi. Come sostiene anche Carlo Ossola, appena nominato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella alla presidenza dell’Enciclopedia Treccani: “Il fondamento delle Enciclopedie non era tanto nell’estensione dell’aggregazione, nel convogliamento della datità, quanto nel tracciare il circolo di ciò che poteva essere incorporato dagli occhi, dalla memoria, dalla lettura, dalla memoria, dalla singola esistenza”. Mentre oggi, purtroppo, “si ‘scorporano’ sempre più saperi trasferendoli in un altrove letteralmente inafferrabile” (IlSole24Ore, 1 settembre). Occorre invece “riprendere quella lezione critica: il centro dell’uomo è l’uomo. la sua dignità, la sua esistenza che, a differenza delle cose e delle memorie digitali, è unica e breve”.

Eccola, la ricerca di senso. E la sfida culturale ed etica per i governi, le istituzioni del sapere e, naturalmente, le imprese.

Sono temi complessi, che non sopportano scorciatoie demagogiche, approssimazioni retoriche, superficialità da propaganda e inclinazione ai “fattoidi” e alle fake news di cui i social media sono sempre più affollati. Se ne parlerà nei prossimi giorni a Milano, al Forum Cultura 2024 indetto dal Comune e con la partecipazione di amministratori, personalità delle strutture culturali pubbliche e private e delle imprese, anche per discutere di collaborazioni sulle “infrastrutture della cultura” (Corriere della Sera, 2 settembre). E si continuerà a discuterne pure in tutte quelle occasioni d’incontro, tra festival letterari e premi (Mantova, Pordenonelegge, il Campiello) in cui parlare di libri significherà confrontarsi non solo sui temi culturali, ma anche sulle nuove mappe dell’economia e dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

E’ una riflessione che, proprio in questa chiave, trova crescenti sensibilità e attenzioni nel mondo economico, tra le imprese del “made in Italy” più internazionali e competitive. Con la radicata consapevolezza che il loro ruolo e la loro responsabilità da attori sociali e culturali va ben oltre le tradizionali manifestazioni del mecenatismo (pur comunque necessario, in carenza di fondi pubblici a sostegno di cultura e arte) per investire in pieno le relazioni tra intraprendenza competitiva e creatività.

La cultura d’impresa, infatti, va considerata come Cultura con la C maiuscola. Sollecita il superamento del tradizionale schema di un’endiadi, “impresa e cultura” come dialogo – pur importante – tra dimensioni differenti, tra il fare e il rappresentare, tra il produrre e il raccontare, tra la meccanica e la filosofia o la poesia. Per insistere, invece, su un nuovo percorso semantico, su una radicale modifica dell’andamento della frase, abituandosi a dire “impresa è cultura”. Nello schema di quel soft power di cui abbiamo parlato all’inizio, tra il Forum di Rutelli e i progetti della Fondazione Cini.

Cultura sono, infatti, la scienza e la tecnologia, i brevetti, la messa a punto di nuovi materiali, l’evoluzione delle relazioni industriali (quei contratti di lavoro che investono fattori culturali e sociali fondamentali come i rapporti di potere e le funzioni di controllo, le dialettiche personali, i salari e il welfare aziendale, i servizi ecc.). Cultura sono i linguaggi del marketing e della comunicazione, che modificano comportamenti e aspettative. Cultura i processi di governance secondo cui si articolano i rapporti tra l’impresa, gli azionisti, i manager, i dipendenti e tutto il vasto mondo degli stakeholder. Cultura sono i bilanci, strumenti di progettazione e di resa dei conti. E cultura gli scambi su mercati aperti e ben regolati. Cultura, ancora, le scelte di sostegno mecenatistico di un’impresa ai processi creativi e artistici di chi raffigura e costruisce l’immaginario personale e sociale generale.

La cultura d’impresa, insomma, è un racconto corale e polifonico, un gioco d’orchestra. In elaborazione continua.

Le imprese, nel corso del tempo, si sono radicalmente trasformate, archiviando culture e metodologie della stagione taylorista della produzione in serie e delle “economie di scala”. Data driven e digitali, conoscono altre culture organizzative e di governance e altri tempi e metodi di lavoro e di calcolo della produttività e dell’efficienza. Sentono fortemente il senso di responsabilità delle relazioni positive sia con le proprie persone sia con l’insieme degli stakeholders. Ed è proprio questa trasformazione a sollecitare un nuovo racconto, una diversa e più pertinente rappresentazione dell’impresa stessa. Le imprese, insomma, devono imparare ad aprirsi e a essere trasparenti. A caratterizzarsi, nelle neofabbriche ad alta tecnologia, come “mani che pensano”. A vivere, insomma, una nuova stagione produttiva con evidenti connotazioni culturali. Per legare in modo sempre più efficace il “saper fare” al “fare sapere”.

L’innovazione, così, si caratterizza come un percorso a tutto tondo, soprattutto adesso che si entra nel vivo delle nuove sfide. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot. I simulatori high tech. Le nanotecnologie.  E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo, ai molteplici aspetti dell’economia e della vita. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio oggi vivendo e scrivendo. E che chiedono anche alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali. Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. E scienza e conoscenza sono sollecitate a una nuova dimensione della responsabilità.

(foto Getty Images)

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