I giovani hanno a cuore i valori della partecipazione politica, ma politica e scuola si occupano poco della loro crescita
I giovani italiani hanno a cuore i valori e gli interessi collettivi, a cominciare da quelli che riguardano l’ambiente. Ed esprimono un’evidente volontà di impegno. Ma guardano purtroppo con poca fiducia alla politica, anche perché la politica (e le istituzioni pubbliche) guardano poco a loro e al loro futuro. E perché in gran parte escono da una scuola che (per un ragazzo su due, alla soglia della maturità) non fornisce loro gli strumenti per capire un testo in italiano e per risolvere un problema di base in matematica (dunque per capire la realtà e affrontarne i vari aspetti). E se la base della democrazia liberale sta in una cittadinanza consapevole e cioè capace di un “discorso pubblico” ben informato (secondo la lucida lezione di Jurgen Habermas) e di un giudizio critico, a cominciare da un voto cosciente, ecco che delusione, disaffezione e ignoranza sono ostacoli radicali per mantenere in buona salute il nostro sistema politico (la democrazia fondata sulle libertà, l’economia di mercato e il welfare, appunto).
Sono queste le considerazioni che nascono dalla lettura di due recenti indagini, la prima curata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, in collaborazione con l’Ipsos e il Laboratorio di Statistica dell’Università Cattolica di Milano e la seconda costituita dal Rapporto Invalsi 2024 sulle competenze cognitive degli studenti delle scuole italiane.
Cominciamo dalla ricerca dell’Istituto Toniolo e di Ipsos, curata da Alessandro Rosina e fondata su 6mila interviste a giovani di cinque paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Polonia e Italia), con una particolare attenzione al nostro Paese (Corriere della Sera, 9 luglio). Le ragazze e i ragazzi italiani di Generazione Z e Millennials credono innanzitutto nella ricerca scientifica (74%) e poi nel volontariato (66%) e di seguito, con valori decrescenti, negli ospedali, nella scuola e nelle piccole e medie imprese. La prima istituzione degna di fiducia è il Presidente della Repubblica (55,2%), seguito da Unione Europea, forze dell’ordine, grandi industrie e, ancora, dagli enti locali con cui i giovani hanno un rapporto più ravvicinato (i comuni dove abitano, le regioni). A metà strada, gli strumenti dell’opinione pubblica, i social network e i giornali (con il 43,9% e il 42,5%) e, via via segnando un calo di consensi, i sindacati, le banche, il governo nazionale (35,3%), il Parlamento, la Chiesa cattolica (32,6%) e, ultimi, i partiti (31,6%). Un dato molto basso, quello sui partiti, anche se crescente: era appena il 13,8% nel ‘16 e il 29,1% nel ‘20.
Proprio su partiti e politica la ricerca insiste molto, cercando di capire meglio cosa ci sia in quello spazio pubblico giovanile segnato sia dalla grande fiducia nel volontariato (e cioè nei valori di comunità: impegno, altruismo, senso civile e caritatevole, capacità di farsi carico dei problemi altrui e di prendersi cura dell’ambiente, dei disagi sociali e dei bisogni delle persone più deboli) sia però anche dalla sfiducia nella politica praticata e nei partiti.
Tre giovani intervistati su quattro, infatti, sostengono che “è possibile impegnarsi in prima persona per migliorare il Paese” ma poi, guardando alla politica, solo il 5,2% dice che “la politica offre spazi di partecipazione e azione alle nuove generazioni”, contro un 20,4% che pensa l’esatto contrario, negando la possibilità di alcuno spazio. Il 41,9% dice “spazio molto limitato” e il 32,5% sostiene che lo spazio c’è, ma solo “in alcuni partiti e movimenti”. Il contesto è difficile, ma si può migliorare.
C’è una consapevolezza di fondo: il 61% ritiene che “senza partiti non c’è vera democrazia” e il 67,4% afferma che “è sbagliato dire che i partiti sono tutti uguali”. In ogni caso, per il 73,9%, “è ancora possibile impegnarsi in prima persona per fare funzionare le cose”.
Le ragazze e i ragazzi Millennials e della cosiddetta Generazione Z, pur fortemente critici, aprono una porta ai responsabili della politica attiva, fanno un gesto di fiducia, dichiarano una disponibilità, che sperano sia raccolta. E intanto, si danno da fare. Il volontariato diffuso, appunto, ne è una significativa conferma.
Commenta Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Asvis, l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile: “E’ uno stereotipo che i giovani non siano interessati alla politica. Non sono interessati a questa politica, perché sono insoddisfatti della loro presenza nei partiti e di come agiscono, di una ‘politica politicante’ tipica dei talk show. Si impegnano invece nel sociale”, credono nei valori del merito e del lavoro ben fatto, si appassionano ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Tocca insomma ai partiti e alle istituzioni raccogliere le loro manifestazioni di attenzione e di interesse e cercare di dare risposte soddisfacenti.
Resta però, solo sfondo, un problema di formazione. E di strumenti adeguati a capire una realtà in rapido cambiamento. I test Invalsi (ne scrive Chiara Saraceno su La Stampa, 12 luglio) documentano un lento miglioramento nell’acquisizione delle competenze cognitive degli studenti italiani, dalla scuola primaria alle secondarie superiori, pur restando sempre grave il fenomeno della cosiddetta “dispersione implicita”, la condizione di ragazzi e ragazze che, pur completando il ciclo di studi, non raggiungono le competenze di base: il 44% per ciò che riguarda l’italiano, il 48% per la matematica e, rispettivamente, il 40% e il 55% per la comprensione di un testo scritto o parlato in inglese (il fenomeno è particolarmente grave nelle regioni del Mezzogiorno).
Commenta Chiara Saraceno: “Ci si preoccupa, giustamente, della scarsa competenza logico-matematica di una parte rilevante di ragazzi e ragazze e di un forte divario di genere a sfavore delle ragazze, che sembra già ben radicato nella scuola primaria (fenomeno non riscontrabile, almeno con la stessa intensità, in altri paesi). Ma dovrebbero preoccupare altrettanto le scarse competenze nell’uso della lingua italiana e della comprensione dei testi, che riguarda metà dei maturandi e più i maschi che le femmine”.
Insomma, “non dovrebbe essere sottovalutato il rischio che questi ragazzi siano avviati a un analfabetismo funzionale, che riduce la capacità di comprensione delle informazioni che si ricevono, di espressione ed elaborazione delle proprie ed altrui emozioni, di godimento delle cultura in tutte le sue forme, di capacità di fare valere i propri diritti in un confronto democratico”. Di far politica consapevolmente, insomma. Di vivere a pieno la propria cittadinanza. Una lesione di libertà, di partecipazione, di futuro.
(foto Getty Images)
I giovani italiani hanno a cuore i valori e gli interessi collettivi, a cominciare da quelli che riguardano l’ambiente. Ed esprimono un’evidente volontà di impegno. Ma guardano purtroppo con poca fiducia alla politica, anche perché la politica (e le istituzioni pubbliche) guardano poco a loro e al loro futuro. E perché in gran parte escono da una scuola che (per un ragazzo su due, alla soglia della maturità) non fornisce loro gli strumenti per capire un testo in italiano e per risolvere un problema di base in matematica (dunque per capire la realtà e affrontarne i vari aspetti). E se la base della democrazia liberale sta in una cittadinanza consapevole e cioè capace di un “discorso pubblico” ben informato (secondo la lucida lezione di Jurgen Habermas) e di un giudizio critico, a cominciare da un voto cosciente, ecco che delusione, disaffezione e ignoranza sono ostacoli radicali per mantenere in buona salute il nostro sistema politico (la democrazia fondata sulle libertà, l’economia di mercato e il welfare, appunto).
Sono queste le considerazioni che nascono dalla lettura di due recenti indagini, la prima curata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, in collaborazione con l’Ipsos e il Laboratorio di Statistica dell’Università Cattolica di Milano e la seconda costituita dal Rapporto Invalsi 2024 sulle competenze cognitive degli studenti delle scuole italiane.
Cominciamo dalla ricerca dell’Istituto Toniolo e di Ipsos, curata da Alessandro Rosina e fondata su 6mila interviste a giovani di cinque paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Polonia e Italia), con una particolare attenzione al nostro Paese (Corriere della Sera, 9 luglio). Le ragazze e i ragazzi italiani di Generazione Z e Millennials credono innanzitutto nella ricerca scientifica (74%) e poi nel volontariato (66%) e di seguito, con valori decrescenti, negli ospedali, nella scuola e nelle piccole e medie imprese. La prima istituzione degna di fiducia è il Presidente della Repubblica (55,2%), seguito da Unione Europea, forze dell’ordine, grandi industrie e, ancora, dagli enti locali con cui i giovani hanno un rapporto più ravvicinato (i comuni dove abitano, le regioni). A metà strada, gli strumenti dell’opinione pubblica, i social network e i giornali (con il 43,9% e il 42,5%) e, via via segnando un calo di consensi, i sindacati, le banche, il governo nazionale (35,3%), il Parlamento, la Chiesa cattolica (32,6%) e, ultimi, i partiti (31,6%). Un dato molto basso, quello sui partiti, anche se crescente: era appena il 13,8% nel ‘16 e il 29,1% nel ‘20.
Proprio su partiti e politica la ricerca insiste molto, cercando di capire meglio cosa ci sia in quello spazio pubblico giovanile segnato sia dalla grande fiducia nel volontariato (e cioè nei valori di comunità: impegno, altruismo, senso civile e caritatevole, capacità di farsi carico dei problemi altrui e di prendersi cura dell’ambiente, dei disagi sociali e dei bisogni delle persone più deboli) sia però anche dalla sfiducia nella politica praticata e nei partiti.
Tre giovani intervistati su quattro, infatti, sostengono che “è possibile impegnarsi in prima persona per migliorare il Paese” ma poi, guardando alla politica, solo il 5,2% dice che “la politica offre spazi di partecipazione e azione alle nuove generazioni”, contro un 20,4% che pensa l’esatto contrario, negando la possibilità di alcuno spazio. Il 41,9% dice “spazio molto limitato” e il 32,5% sostiene che lo spazio c’è, ma solo “in alcuni partiti e movimenti”. Il contesto è difficile, ma si può migliorare.
C’è una consapevolezza di fondo: il 61% ritiene che “senza partiti non c’è vera democrazia” e il 67,4% afferma che “è sbagliato dire che i partiti sono tutti uguali”. In ogni caso, per il 73,9%, “è ancora possibile impegnarsi in prima persona per fare funzionare le cose”.
Le ragazze e i ragazzi Millennials e della cosiddetta Generazione Z, pur fortemente critici, aprono una porta ai responsabili della politica attiva, fanno un gesto di fiducia, dichiarano una disponibilità, che sperano sia raccolta. E intanto, si danno da fare. Il volontariato diffuso, appunto, ne è una significativa conferma.
Commenta Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Asvis, l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile: “E’ uno stereotipo che i giovani non siano interessati alla politica. Non sono interessati a questa politica, perché sono insoddisfatti della loro presenza nei partiti e di come agiscono, di una ‘politica politicante’ tipica dei talk show. Si impegnano invece nel sociale”, credono nei valori del merito e del lavoro ben fatto, si appassionano ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Tocca insomma ai partiti e alle istituzioni raccogliere le loro manifestazioni di attenzione e di interesse e cercare di dare risposte soddisfacenti.
Resta però, solo sfondo, un problema di formazione. E di strumenti adeguati a capire una realtà in rapido cambiamento. I test Invalsi (ne scrive Chiara Saraceno su La Stampa, 12 luglio) documentano un lento miglioramento nell’acquisizione delle competenze cognitive degli studenti italiani, dalla scuola primaria alle secondarie superiori, pur restando sempre grave il fenomeno della cosiddetta “dispersione implicita”, la condizione di ragazzi e ragazze che, pur completando il ciclo di studi, non raggiungono le competenze di base: il 44% per ciò che riguarda l’italiano, il 48% per la matematica e, rispettivamente, il 40% e il 55% per la comprensione di un testo scritto o parlato in inglese (il fenomeno è particolarmente grave nelle regioni del Mezzogiorno).
Commenta Chiara Saraceno: “Ci si preoccupa, giustamente, della scarsa competenza logico-matematica di una parte rilevante di ragazzi e ragazze e di un forte divario di genere a sfavore delle ragazze, che sembra già ben radicato nella scuola primaria (fenomeno non riscontrabile, almeno con la stessa intensità, in altri paesi). Ma dovrebbero preoccupare altrettanto le scarse competenze nell’uso della lingua italiana e della comprensione dei testi, che riguarda metà dei maturandi e più i maschi che le femmine”.
Insomma, “non dovrebbe essere sottovalutato il rischio che questi ragazzi siano avviati a un analfabetismo funzionale, che riduce la capacità di comprensione delle informazioni che si ricevono, di espressione ed elaborazione delle proprie ed altrui emozioni, di godimento delle cultura in tutte le sue forme, di capacità di fare valere i propri diritti in un confronto democratico”. Di far politica consapevolmente, insomma. Di vivere a pieno la propria cittadinanza. Una lesione di libertà, di partecipazione, di futuro.
(foto Getty Images)