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Sicilia California d’Europa? Oltre il sogno, servono investimenti, buon governo e cultura

Sicilia come “California d’Europa”. E Palermo come polo d’eccellenza internazionale per le biotecnologie e la ricerca biomedica, in grado di ”attrarre ricercatori, giovani e maturi, da tutto il resto del mondo”. Non è un sogno sicilianista né una boutade di propaganda su originali strategie di sviluppo del Sud, affascinanti da raccontare e storicamente, però, improduttive di risultati. Piuttosto, un progetto concreto, in corso di realizzazione. C’è infatti una Fondazione Rimed, che se ne occupa. E un piano di lavoro, finanziariamente sostenuto, che prevede che entro due anni a Carini, un paese a ovest di Palermo, vicino all’aeroporto di Punta Raisi intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sorga un Centro internazionale per la ricerca sulle biotecnologie. Palermo high tech, Sicilia terra di scienze e di lavoro di qualità.

Se ne scrive sulle autorevoli pagine de “Il Sole24Ore” (20 aprile), in una conversazione, firmata da Paolo Bricco, con Giulio Superti-Furga, direttore, da vent’anni, del CeMM di Vienna, il Centro di ricerca di medicina molecolare dell’Accademia delle Scienze e adesso coordinatore delle attività della Fondazione siciliana: “Oggi nel polo viennese ci sono trecento ricercatori e sei imprese biotech. Perché non possiamo fare lo stesso in Sicilia? E’ una terra complessa ma meravigliosa, con una gran voglia di rinascita e di riscatto, in grado di ospitare una struttura scientifica di standard internazionale e di attrarre scienziati e ricercatori da tutto il mondo”.

La Fondazione Rimed ha cinque soci fondatori, la presidenza del Consiglio dei ministri, il Cnr, la Regione Sicilia, l’università americana di Pittsburgh e il Pittsburgh Medical Center, le due strutture sanitarie che da oltre 25 anni hanno costituito, proprio a Palermo, l’Ismett, un efficiente centro trapianti di rilievo mondiale. E accanto al Centro di di ricerca biomedica, sorgerà un Ismett2. 250 milioni d’investimento iniziale per il Centro, altri 348 per l’ospedale. Sostiene Superti-Furga: “Saremo un polo biomedico unico in Europa, con un’idea culturale precisa: la medicina di precisione, basata sui meccanismi patologici molecolari e la salute come effetto combinato dei geni e dell’ambiente, la prevenzione quale viatico privilegiato all’efficacia delle medicine, un’impostazione quasi filosofica e antropologica della ricerca biomedica”.

Lavori in corso. Speranze da coltivare e da non deludere.

L’intuizione è corretta. E può fare da paradigma per riflessioni e iniziative più ampie, sulla crescita civile, economica e sociale della Sicilia e del Mezzogiorno. Superando limiti e condizioni di crisi.

La salute, in Sicilia, infatti, non rappresenta una delle pagine più luminose ed esemplari dell’esperienza regionale. “Il miglior medico, qui, è l’aereo” è il luogo comune diffuso, confermato anche dal fatto che la Regione spende, ogni anno, circa 140 milioni (metà dei quali per interventi “ad alta complessità”) per rimborsare alle amministrazioni sanitarie regionali più virtuose ed efficienti (l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, innanzitutto) le cure prestate a cittadini siciliani. E se è vero che anche in Sicilia ci sono strutture sanitarie pubbliche e private di grande qualità, è altrettanto vero che la spesa pubblica è tra le più alte d’Italia, ma il livello delle cure tutt’altro che all’altezza sia della spesa che degli standard nazionali.

Eppure, proprio elevate prestazioni sui temi della salute e, più in generale, della qualità della vita sono fattori essenziali di attrattività, sia per le famiglie che per i giovani “talenti” in cerca di migliori condizioni di lavoro e di vita. E per provare a ridurre l’allarmante “fuga dei cervelli” (quei 191mila giovani dai 18 ai 34 anni, che nel ‘24 sono andati via dall’Italia, il 20,5% in più dell’anno precedente) che impoverisce il paese e ne compromette il futuro.

Nel contesto di una nuova centralità del Mediterraneo, per motivi legati ai profondi rivolgimenti geopolitici in corso, il nostro Mezzogiorno, infatti, può ritrovare un significativo ruolo, come hub di ricerca scientifica, formazione, industria e servizi high tech, in raccordo con le università (ne fanno fede gli investimenti  di Apple e Microsoft a Napoli, di Pirelli in Puglia e di Bip, Business Integration Partners, a Palermo). Per non parlare delle opportunità rivolte a un turismo di lunga stanzialità della silver generation, gli anziani europei, innanzitutto.

Ecco l’obiettivo: una Sicilia e un Sud in grado di offrire nuove opportunità di lavoro e di studio ai giovani che tornino o anche arrivino da tutto l’ampio bacino dell’Europa e del Mediterraneo, ma anche da altri paesi che apprezzano il Made in Italy e le sue dimensioni economiche e culturali, oltre che un originale e piacevole stile di vita.

L’ambiente gioca a nostro favore. La cultura mediterranea e meridionale, aperta, dialettica, inclusiva, rafforza l’attrattività di cui stiamo parlando. Senza naturalmente dimenticare che la Sicilia ha una storia e un’attualità di cultura di alto livello nelle arti figurative, in letteratura, nel cinema, nel teatro e nella fotografia, ma anche una solida cultura scientifica (il circolo matematico di Palermo e le scuole di biologia molecolare e marina, di fisica e di medicina ne offrono testimonianze storiche esemplari).

Una Sicilia accogliente e dinamica, insomma. In cerca di relazioni con altre aree economiche e culturali di respiro europeo (ne è conferma il Forum Milano-Palermo, promosso dai due sindaci Beppe Sala e Roberto Lagalla nei mesi scorsi e pronto ad approfondire le collaborazioni tra imprese, università, organizzazioni culturali).

Cosa serve, dunque, per rafforzare l’attrattività siciliana? Salute e qualità della vita, come abbiamo detto. Un’attenzione puntuale ed efficace per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio. Una serie di strutture culturali di livello (teatri, musica, musei, biblioteche) e di offerte per il tempo libero (a cominciare dagli impianti per fare sport). Un sistema formativo di qualità e di respiro internazionale, dalle primarie all’università, per i figli delle famiglie che sceglieranno di venire a lavorare in Sicilia. E infrastrutture efficienti per la mobilità, a cominciare da un sistema aeroportuale ricco di servizi e collegamenti con il resto dell’Europa e del mondo, potenziando di molto le offerte degli scali di Palermo e Catania, pensando non solo al turismo, ma alle attività professionali, imprenditoriali, di lavoro.

Serve, in altri termini, una lungimirante idea di sviluppo sostenibile. E una svolta di buon governo. La Sicilia, nonostante una storia di ombre e di intrecci tra cattiva amministrazione e criminalità organizzata, se ne è dimostrata capace. Il governo delle “carte in regola” di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, alla fine degli anni Settanta. Il governo attento ad attrarre investimenti nazionali e internazionali guidato da Rino Nicolosi, nella seconda metà degli anni Ottanta. E altre esperienze sia in Regione che in alcune città e comuni.

Esperienze da studiare. E considerare come buoni esempi, aggiornandoli ai contesti contemporanei. Perché ha ragione Superti-Furga quando parla di “voglia di riscatto, di rinascita”. E hanno ragione anche tutti coloro che, in ambienti culturali ed economici, non si arrendono all’idea della “irredimibilità” della Sicilia temuta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e alla “terribile insularità dell’anima” rilevata con preoccupazione da Leonardo Sciascia  (due esempi positivi recenti tra tanti: “Marea” a Catania, un’iniziativa promossa da Antonio Perdichizzi, imprenditore, per stimolare collegamenti e scambi tra siciliani andati via e siciliani rimasti; e “Sud Innovation” di Roberto Ruggeri a Messina, per proporre relazioni sulle nuove tecnologie utili allo sviluppo del territorio).

C’è, insomma, una speranza ricorrente, una volontà di non rassegnarsi a uno stereotipo della Sicilia e di un Mezzogiorno ridotti alla marginalità.

“L’alba della Sicilia” era il titolo di una raccolta di saggi di un gruppo di economisti, giuristi e politologi pubblicata nel 1996, quasi trent’anni fa, da Sellerio (e curata da chi scrive). Un’ipotesi di buon augurio, pur prendendo atto che “nel dialetto siciliano la forma del futuro non c’è, come se esistesse un’incapacità storica o una paura a dare espressione al tempo che verrà, a nominare l’evoluzione, a riconoscere dignità di linguaggio al domani”.

Oggi, nonostante tutto, anche grazie agli investimenti in scienza, cultura e buona economia, si può pur pensare che il viaggio al termine della notte consenta di far intravvedere presto un nuovo chiarore.

(Foto Getty Images)

Sicilia come “California d’Europa”. E Palermo come polo d’eccellenza internazionale per le biotecnologie e la ricerca biomedica, in grado di ”attrarre ricercatori, giovani e maturi, da tutto il resto del mondo”. Non è un sogno sicilianista né una boutade di propaganda su originali strategie di sviluppo del Sud, affascinanti da raccontare e storicamente, però, improduttive di risultati. Piuttosto, un progetto concreto, in corso di realizzazione. C’è infatti una Fondazione Rimed, che se ne occupa. E un piano di lavoro, finanziariamente sostenuto, che prevede che entro due anni a Carini, un paese a ovest di Palermo, vicino all’aeroporto di Punta Raisi intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sorga un Centro internazionale per la ricerca sulle biotecnologie. Palermo high tech, Sicilia terra di scienze e di lavoro di qualità.

Se ne scrive sulle autorevoli pagine de “Il Sole24Ore” (20 aprile), in una conversazione, firmata da Paolo Bricco, con Giulio Superti-Furga, direttore, da vent’anni, del CeMM di Vienna, il Centro di ricerca di medicina molecolare dell’Accademia delle Scienze e adesso coordinatore delle attività della Fondazione siciliana: “Oggi nel polo viennese ci sono trecento ricercatori e sei imprese biotech. Perché non possiamo fare lo stesso in Sicilia? E’ una terra complessa ma meravigliosa, con una gran voglia di rinascita e di riscatto, in grado di ospitare una struttura scientifica di standard internazionale e di attrarre scienziati e ricercatori da tutto il mondo”.

La Fondazione Rimed ha cinque soci fondatori, la presidenza del Consiglio dei ministri, il Cnr, la Regione Sicilia, l’università americana di Pittsburgh e il Pittsburgh Medical Center, le due strutture sanitarie che da oltre 25 anni hanno costituito, proprio a Palermo, l’Ismett, un efficiente centro trapianti di rilievo mondiale. E accanto al Centro di di ricerca biomedica, sorgerà un Ismett2. 250 milioni d’investimento iniziale per il Centro, altri 348 per l’ospedale. Sostiene Superti-Furga: “Saremo un polo biomedico unico in Europa, con un’idea culturale precisa: la medicina di precisione, basata sui meccanismi patologici molecolari e la salute come effetto combinato dei geni e dell’ambiente, la prevenzione quale viatico privilegiato all’efficacia delle medicine, un’impostazione quasi filosofica e antropologica della ricerca biomedica”.

Lavori in corso. Speranze da coltivare e da non deludere.

L’intuizione è corretta. E può fare da paradigma per riflessioni e iniziative più ampie, sulla crescita civile, economica e sociale della Sicilia e del Mezzogiorno. Superando limiti e condizioni di crisi.

La salute, in Sicilia, infatti, non rappresenta una delle pagine più luminose ed esemplari dell’esperienza regionale. “Il miglior medico, qui, è l’aereo” è il luogo comune diffuso, confermato anche dal fatto che la Regione spende, ogni anno, circa 140 milioni (metà dei quali per interventi “ad alta complessità”) per rimborsare alle amministrazioni sanitarie regionali più virtuose ed efficienti (l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, innanzitutto) le cure prestate a cittadini siciliani. E se è vero che anche in Sicilia ci sono strutture sanitarie pubbliche e private di grande qualità, è altrettanto vero che la spesa pubblica è tra le più alte d’Italia, ma il livello delle cure tutt’altro che all’altezza sia della spesa che degli standard nazionali.

Eppure, proprio elevate prestazioni sui temi della salute e, più in generale, della qualità della vita sono fattori essenziali di attrattività, sia per le famiglie che per i giovani “talenti” in cerca di migliori condizioni di lavoro e di vita. E per provare a ridurre l’allarmante “fuga dei cervelli” (quei 191mila giovani dai 18 ai 34 anni, che nel ‘24 sono andati via dall’Italia, il 20,5% in più dell’anno precedente) che impoverisce il paese e ne compromette il futuro.

Nel contesto di una nuova centralità del Mediterraneo, per motivi legati ai profondi rivolgimenti geopolitici in corso, il nostro Mezzogiorno, infatti, può ritrovare un significativo ruolo, come hub di ricerca scientifica, formazione, industria e servizi high tech, in raccordo con le università (ne fanno fede gli investimenti  di Apple e Microsoft a Napoli, di Pirelli in Puglia e di Bip, Business Integration Partners, a Palermo). Per non parlare delle opportunità rivolte a un turismo di lunga stanzialità della silver generation, gli anziani europei, innanzitutto.

Ecco l’obiettivo: una Sicilia e un Sud in grado di offrire nuove opportunità di lavoro e di studio ai giovani che tornino o anche arrivino da tutto l’ampio bacino dell’Europa e del Mediterraneo, ma anche da altri paesi che apprezzano il Made in Italy e le sue dimensioni economiche e culturali, oltre che un originale e piacevole stile di vita.

L’ambiente gioca a nostro favore. La cultura mediterranea e meridionale, aperta, dialettica, inclusiva, rafforza l’attrattività di cui stiamo parlando. Senza naturalmente dimenticare che la Sicilia ha una storia e un’attualità di cultura di alto livello nelle arti figurative, in letteratura, nel cinema, nel teatro e nella fotografia, ma anche una solida cultura scientifica (il circolo matematico di Palermo e le scuole di biologia molecolare e marina, di fisica e di medicina ne offrono testimonianze storiche esemplari).

Una Sicilia accogliente e dinamica, insomma. In cerca di relazioni con altre aree economiche e culturali di respiro europeo (ne è conferma il Forum Milano-Palermo, promosso dai due sindaci Beppe Sala e Roberto Lagalla nei mesi scorsi e pronto ad approfondire le collaborazioni tra imprese, università, organizzazioni culturali).

Cosa serve, dunque, per rafforzare l’attrattività siciliana? Salute e qualità della vita, come abbiamo detto. Un’attenzione puntuale ed efficace per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio. Una serie di strutture culturali di livello (teatri, musica, musei, biblioteche) e di offerte per il tempo libero (a cominciare dagli impianti per fare sport). Un sistema formativo di qualità e di respiro internazionale, dalle primarie all’università, per i figli delle famiglie che sceglieranno di venire a lavorare in Sicilia. E infrastrutture efficienti per la mobilità, a cominciare da un sistema aeroportuale ricco di servizi e collegamenti con il resto dell’Europa e del mondo, potenziando di molto le offerte degli scali di Palermo e Catania, pensando non solo al turismo, ma alle attività professionali, imprenditoriali, di lavoro.

Serve, in altri termini, una lungimirante idea di sviluppo sostenibile. E una svolta di buon governo. La Sicilia, nonostante una storia di ombre e di intrecci tra cattiva amministrazione e criminalità organizzata, se ne è dimostrata capace. Il governo delle “carte in regola” di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, alla fine degli anni Settanta. Il governo attento ad attrarre investimenti nazionali e internazionali guidato da Rino Nicolosi, nella seconda metà degli anni Ottanta. E altre esperienze sia in Regione che in alcune città e comuni.

Esperienze da studiare. E considerare come buoni esempi, aggiornandoli ai contesti contemporanei. Perché ha ragione Superti-Furga quando parla di “voglia di riscatto, di rinascita”. E hanno ragione anche tutti coloro che, in ambienti culturali ed economici, non si arrendono all’idea della “irredimibilità” della Sicilia temuta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e alla “terribile insularità dell’anima” rilevata con preoccupazione da Leonardo Sciascia  (due esempi positivi recenti tra tanti: “Marea” a Catania, un’iniziativa promossa da Antonio Perdichizzi, imprenditore, per stimolare collegamenti e scambi tra siciliani andati via e siciliani rimasti; e “Sud Innovation” di Roberto Ruggeri a Messina, per proporre relazioni sulle nuove tecnologie utili allo sviluppo del territorio).

C’è, insomma, una speranza ricorrente, una volontà di non rassegnarsi a uno stereotipo della Sicilia e di un Mezzogiorno ridotti alla marginalità.

“L’alba della Sicilia” era il titolo di una raccolta di saggi di un gruppo di economisti, giuristi e politologi pubblicata nel 1996, quasi trent’anni fa, da Sellerio (e curata da chi scrive). Un’ipotesi di buon augurio, pur prendendo atto che “nel dialetto siciliano la forma del futuro non c’è, come se esistesse un’incapacità storica o una paura a dare espressione al tempo che verrà, a nominare l’evoluzione, a riconoscere dignità di linguaggio al domani”.

Oggi, nonostante tutto, anche grazie agli investimenti in scienza, cultura e buona economia, si può pur pensare che il viaggio al termine della notte consenta di far intravvedere presto un nuovo chiarore.

(Foto Getty Images)

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